23 NOVEMBRE. LA COSCIENZA DI UN POPOLO FIGLIO DEL TERREMOTO
A 36 anni dal sisma che colpì l’Irpinia le ferite rischiano di riaprirsi
Quando parli del terremoto con un irpino sentirai sempre raccontare una storia, il racconto di quella sera che ha cambiato la sua vita. Era il 23 novembre dell’ 80 quando la quotidianità operosa dei paesi colpiti dalla forte scossa fu spezzata per sempre e da quel giorno si vede ancora anno dopo anno negli occhi di chi racconta lo spavento, la meraviglia, la paura, perché da allora niente fu più come prima.
Chi abitava in montagna, a Chiusano San Domenico, racconta del boato che si avvertì in paese causato – si scoprì dopo – dal distacco di una parete rocciosa e poi il fuoco. Quello delle lingue di fuoco è un racconto diffuso tra chi abita in montagna dove le masse rocciose per attrito liberano energia in questo modo. «Uno spettacolo incredibile – ci racconta Mario – con tutto quel fumo rosso che si alzava di fronte a noi. Ero andato a trovare la mia fidanzata a Chiusano (l’anno dopo la sposai) e restammo incolumi uscendo in fretta dalla sua casa mentre iniziavano a crollare balconi e soffitti». Ancora nel suo sguardo si legge il dolore che lo unisce a chi non ce l’ha fatta eche per 36 anni è stato parte di lui.
Sentendo questo e tanti altri racconti da quando vivo in Irpinia, rivivo ogni volta la stessa sensazione: che il dolore comune abbia costruito un popolo al di là di altre tante appartenenze. Dal dolore comune sono nati gli irpini, mentre i loro figli conservano rispettosamente i racconti dei genitori e dei nonni che diventano sempre di meno, celebrando in questo giorno di lutto e di memoria qualcosa che va al di là della sciagura, che purtroppo continua a colpire inesorabile l’Italia.
A riattivare i ricordi si aggiungono anche le recenti constatazioni che il patrimonio scolastico avellinese non è più sicuro per i figli di questa terra e per chi ci si è trasferito in cerca di luoghi più sani in cui crescerli. E non può non toccare i cuori di chi la sa lunga in fatto di dolore la consapevolezza che domani potrebbe essere un’altra scuola ad essere chiusa dopo la media Enrico Cocchia e il liceo artistico P.A De Luca (nella foto), lasciando altri studenti al punto di partenza, a quel 24 novembre 1980, a quel lunedì senza più scuola.
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