Anatomia del feticismo finanziario. Il focus di Giuseppe Rocco

Ogni periodo svela il suo mantra. Dal punto di vista ontologico, il feticismo risale al 1164, quando a Genova nasce il primo contratto derivato stipulato da un ente locale con la vendita ad un istituto finanziario (Monte) delle entrate fiscali future del Comune in cambio di un anticipo immediato. I primi mercati organizzati per lo scambio di derivati risalgono al sedicesimo e diciassettesimo secolo.
Sul piano allegorico e concettuale, l’allusione al feticismo richiama un oggetto adorato come divinità oppure come attrazione fanatica (feticcio) in uso rituale presso i popoli primitivi. Il feticismo si esprime come forma di adorazione di feticci, ovvero di oggetti o istituti ritenuti ricchi di poteri magici. Nel tempo l’adorazione per gli oggetti è stata superata, grazie alla civiltà che ha utilizzato le leve del progresso, ma sono rimaste le mode sociali non certamente naturali, ma sospinte in modo speculativo. Per vendere un prodotto diventa utile rappresentarlo in modo eccezionale e dotato di elementi di gaudio o serenità. Siamo nel campo della pubblicità commerciale, accettata da tutti i cittadini, anche nell’intento di conoscere le peculiarità del prodotto propagandato.
Con il feticismo del mercato finanziario si assiste ad una svolta copernicana. Mentre Copernico realizza una rivoluzione di grande coerenza scientifica, i manipolatori della Borsa valori ridisegnano il quadro dell’economia, rendendo questa come uno strumento di estrema fragilità e prodromica di danni sociali continui di enorme entità.
La Borsa valori, da movimentazione dei capitali che vanno alla ricerca di una migliore valorizzazione, è divenuta una sorta di osservazione economica, politica, sociale e storica. In tal modo, la solenne istituzione ha abbandonato il ruolo prettamente economico e di grande rilievo produttivo per imporre una instabilità intrinseca e continua. Siamo passati dalla libertà e opportunità dei movimenti all’arbitrio e alla corruzione. Un passaggio storico sopportato senza nessuno contrasto dagli Stati, dai politici e dagli economisti, in nome di un regime liberistico senza vincoli e cautele, cioè un vero pericolo ambulante.
Dal punto di vista storico e specifico il feticismo viene introdotto dai colonizzatori e missionari a fine 700, quando gli indigeni affidavano alle cose una potenza magica che sovrastava le cose. Si trattava dello spirito del possesso da designare quella caratteristica del mondo primitivo. Una forma di religiosità primitiva, per lo più a carattere magico o animistico, fondata sul culto tributato a oggetti materiali. Ammirazione fanatica ed esclusiva, che quasi si configura in adorazione verso qualcuno o qualcosa (come nel caso del feticismo del mercato finanziario). Arriva un richiamo da Karl Marx, che asserisce quando Il valore di un bene è quello vero si chiama valore d’uso; al momento che scatta lo scambio rientriamo nel feticismo che risponde alle esigenze del mercato.
Torniamo al nostro discorso di politica economica. Solo a seguito della rivoluzione industriale, alla fine del diciottesimo secolo, si avverte l’esigenza di standardizzare questo tipo di contratti, quando i mercanti europei, che si occupavano di importazioni dagli Stati Uniti, iniziarono a stipulare contratti sul cotone e sui grani detti “to-arrive contract“.
A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo questi strumenti hanno conosciuto una notevole diffusione legata a vari fattori:
- la fine, nel 1971, del sistema internazionale di cambi fissi per la caduta degli accordi di Bretton Woods, con il conseguente emergere del rischio di cambio;
- gli shock petroliferi del 1973 e del 1979: gli improvvisi forti aumenti del prezzo del petrolio causano una parallela intensificazione del rischio di mercato, sia per le ampie oscillazioni dei prezzi, sia per i conseguenti effetti sull’inflazione;
- la globalizzazione dei mercati e la contestuale introduzione dei computer, che permettono di svolgere velocemente complessi calcoli di prezzi relazionati tra loro;
- la modellizzazione teorica per il calcolo del prezzo dei derivati, attraverso il lavoro di Black, Scholes e Merton.
Tra il 1989-1992 i derivati si diffondono in modo rilevante arrivando ad una consistenza complessiva pari a 20.000 mld. di $. Ormai siamo a livelli incontrollati.
L’efficienza riguarda la competenza e la prontezza nell’assolvere le proprie mansioni; in particolare in economia si tende a rendere in modo ottimale la capacità di azione o di produzione con il massimo risultato e con il minimo di spesa, di risorse e di tempo impiegati. L’efficientismo, fenomeno molto diffuso nell’era moderna, ricerca l’efficienza a tutti i costi, anche sganciata da esigenze concrete e senza verifiche umane e sociali. Peraltro secondo una concezione filosofica, tutte le parole che terminano con “ismo” evocano una deformazione del contenuto in modo vago ed elastico; infatti efficientismo conduce a una degenerazione del fenomeno conosciuto come efficienza, in cui gioca in aggiunta una sofisticazione elaborata e contorta[1].
Con l’occasione pare necessario puntualizzare anche, la differenza fra i termini di efficacia ed efficienza, spesso usati indistintamente come sinonimi, i quali riflettono in realtà due concetti ben distinti. L’efficacia indica la capacità di raggiungere l’obiettivo prefissato, mentre l’efficienza valuta l’abilità di farlo impiegando le risorse minimali indispensabili. Efficacia ed efficienza sono concetti molto importanti nel mondo del lavoro e in generale nella pianificazione e nel controllo di qualsiasi attività. Se due atleti si prefiggono di correre i cento metri in meno di dieci secondi e riescono nel loro intento, sono entrambi efficaci; tra i due risulterà più efficiente quello che avrà raggiunto l’obiettivo con il minimo dispendio di risorse (tempo dedicato all’allenamento e costi per materiale tecnico, allenatore, nutrizionista, integratori ecc.). In modo più semplice e banale, se la massaia riesce a spendere poco durante la spesa giornaliera, diventa efficiente ma non è detto che sia efficace in quanto il minor costo rispetto al mercato, potrebbe anche indicare una scarsa qualità dei prodotti comprati. Per dirla in modo super sintetico, l’efficacia inerisce alla qualità e l’efficienza alla velocità.
Col feticismo del mercato finanziario, si afferma l’anomia, ossia un postulato sociologico, che è epistemologicamente indimostrabile ma assume un significato empirico tale da connotare un concetto. In genere viene rammentato come termine sociologico, per lamancanza di norme, norme non rispettate, obsolete, non esaustive (tipiche dell’industrializzazione, lotta di classe, mass media, mutamenti repentini, film gialli, ozio, ribellioni classi inferiori).
Si può pure rinvenire l’effetto cornice, inteso come la struttura che creiamo per interpretare i significati. Esprimendoci con il linguaggio, le parole possono modificare la percezione e la comprensione delle cose. Una storiella spiega il legame fra l’impostazione e il processo decisionale. Due sacerdoti fumatori chiedono al vescovo il suo parere: il primo domanda “posso fumare mentre prego il Signore?” E il vescovo tuona: “NO”; l’altro chiede con parole diverse: “Nei momenti di debolezza che mi portano a fumare, posso dire una preghiera al Signore?”. E il vescovo risponde: “Ma certamente figliolo”. Come si evince la formulazione della domanda modifica la decisione del vescovo. Se ne deduce che occorre ben verificare se la cornice è adatta al problema.
Nel nostro periodo ogni strategia diventa inutile, ma occorrono decisioni ferme per il bene del pianeta. La metafisica del potere è quella condizione immateriale in cui il legittimo sovrano esprime la sua guida non col comando ma con l’autorità ed esercita la sua influenza creando il senso comune e interpretandolo, sino a proporre false credenze e trasmetterle alla popolazione come vere e necessarie per un cambiamento ideale. Parliamo dell’affermazione di un mito, che non è ottenibile con le strategie, poiché il mito si impone da solo con il suo magnetismo.
Se vivessimo al tempo della mitologia greca, la finanza avrebbe una sua Dea molto impegnata e alla ricerca dello sfasciamento del benessere sociale. Al tempo attuale, non abbiamo una Dea, ma peggio, una perversione sociale e mondiale, che assorbe molte risorse del patrimonio sociale e lascia quell’aridità nei cuori all’insegna di un altro Dio, il Dio denaro. Nella mitologia greca e nei pagani esistevano contenuti di apprezzamento versi figure, come animali; ancora oggi vi sono vestigia di paganesimo, come accade a Taiwan, ove alcuni cittadini adorano oggetti e animali.
Quando il denaro diventa il fine ultimo, tutti i beni che non sono di natura economica come l’intelligenza, la cultura, l’arte, la bellezza, l’amore, cessano di essere valori in sé, perché lo diventano limitatamente alla loro convertibilità in denaro. Il pesce è importante dopo la cattura perché esprime un costo e l’albero pure perché diviene legno e facilmente componibile e vendibile. La nostra cultura purtroppo ha assunto il denaro come unico generatore simbolico di tutti i valori.
Nel frattempo da questa cultura gli uomini sono percepiti unicamente come produttori e consumatori. La produzione però non si limiterà a produrre beni, ma, con la pubblicità, provvederà a produrre anche nuovi bisogni. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché chi è felice non consuma.”
Alla persona viene universalmente riconosciuta una dignità altissima, una sacralità inviolabile, un valore assoluto (non strumentale): l’uomo è degno di stima e di rispetto sempre ed ovunque, per sè stesso e non per la sua razza, la sua età, la sua religione, il suo sesso, la sua salute, le sue ricchezze.
La crisi culturale molto grave che sta attraversando la nostra società nel terzo millennio, è una crisi di valori. La società attuale è una babele di codici, di valori, di atteggiamenti opposti ma interscambiabili; la sua cultura è caratterizzata da un relativismo assiologico integrale, che consente a ognuno di stimare valido, degno, nobile grande ciò che gli conviene; spesso il relativismo si trasforma in nichilismo. Le conseguenze del crollo della dimensione assiologica sono terribili: il tessuto sociale si logora rapidamente ed è destinato alla disgregazione; la cultura procede verso la dissoluzione e l’uomo regredisce non alla condizione della sua originaria innocenza, bensì allo stato selvaggio.
Dal punto divista l’uomo è soggetto a spinte psicologiche, come la “Destrudo”. Secondo la psichiatria freudiana la destrudoè l’energia dell’impulso distruttivo inconscio della mente umana per sua natura disgregatrice. Si contrappone alla libido. Mentre la libido è un’energia che proviene da Eros, il dio dell’erotismo e dell’amore che stimola a creare, la destrudo deriva da Thanatos il dio della morte che stimola a distruggere.
Bisogna elaborare un’etica dei valori, in cui si rivendica a questa entità una dimensione ontologica che sfugge alle minacce psicologiche. Il termine valore ha tre significati: economico, etico e ontologico. In economia significa denaro; in etica indica virtù; in ontologia dice la qualità per cui uno possiede dignità e rispetto.
L’etica deve diventare una episteme, termine che indica la conoscenza certa e incontrovertibile delle cause e degli effetti del divenire, ovvero quel sapere che si stabilisce su fondamenta certe, al di sopra di ogni possibilità di dubbio attorno alle ragioni degli accadimenti; in pratica i valori veri e la verità.
Episteme vuol dire stare sopra; vuol dire assoluto e immobile; non si può avere episteme nel divenire. –
L’epistème per Platone rappresenta la forma più certa di conoscenza, che assicura un sapere vero e universale. Questo può essere ottenuto in due modi: tramite ragionamento o intuizione, che sono a ogni modo complementari tra loro, e delle quali però la seconda è superiore alla prima. Come in Platone, anche per Aristotele l’epistème rappresenta la forma di conoscenza più certa e più vera, contrapposta all’opinione. Nella filosofia contemporanea, il termine comprende l’insieme delle conoscenze positive e delle teorie scientifiche che caratterizzano una data epoca, con una sfumatura relativa ai loro comuni presupposti; è usato anche, con riferimento a una determinata disciplina, a un movimento di pensiero, a un autore di particolare importanza, per indicarne le tesi fondamentali o proposte interpretative, dalle quali derivano sia suggerimenti per altri campi della ricerca sia sollecitazioni ideologiche e filosofiche: in tal senso, dal rinvenimento delle epistemi trae origine la considerazione interdisciplinare del sapere.
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[1] Il termine sofisticazione ha due significati: il primo riguarda un’alterazione dolosa o colposa rispetto alla genuinità di un prodotto; il secondo inerisce a materiali e lavorazioni del più elevato livello tecnico. Le metodologie oggi applicate attengono ad ambedue i significati, con una propensione verso la prima accezione.
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