Combattere la rassegnazione sociale (Parte prima). Il focus di Giuseppe Rocco

Si chiama Robert Montgomery, uno dei più grandi chirurghi del mondo, geniale, temerario e indomito. Un uomo che nei primi anni di vita ha preso coscienza di una cardiopatia familiare: il padre muore a 52 anni e il fratello a soli 35 per arresto cardiaco; Robert viene anche lui travolto dal male e a 29 deve farsi impiantare un defibrillatore. Qui scatta la sua genialità e il suo zelo: decide di diventare medico cardio-chirurgo, per salvare coloro che hanno bisogno di trapianti di organi. Il suo impegno assume dimensioni eccezionali, al punto di entrare nel Guinness dei primati per aver effettuato il maggior numero di trapianti in un giorno.

La sorte gli gioca un brutto scherzo. Nonostante il defibrillatore, il cuore si ferma; lo rianimano ma ben presto si ferma diverse volte in pochi giorni, persino in Italia, a Matera in albergo nel 2018. Anche lui ha bisogno di un trapianto, ma ha deve aspettare il dono di un altro cuore, che arriva da un ragazzo, morto di overdose. Purtroppo quel ragazzo aveva l’epatite C. Montgomery afferra subito l’occasione e si affida ad un suo allievo, Nader Moazami, per l’intervento. Due settimane dopo torna in ospedale per operare e salvare altra gente. Per convincere gli indecisi racconta la sua situazione.

Nella personalità di Montgomery incontriamo una componente forte nelle decisioni. Per sintesi citiamo due casi. Il primo riguarda un suo viaggio aereo da Dallas a Parigi, durante il quale si trova seduto casualmente accanto a Denice Graves, mezzo soprano nero. L’incontro è sconvolgente poiché chiacchierano per tutto il viaggio e alla fine decidono di sposarsi, nonostante abbiano dei figli. Altra citazione riguarda il trasferimento del centro trapianti da New York in Ucraina, nel paese devastato dalla guerra.

Coraggio, sapienza, professionalità ed etica caratterizzano le iniziative virtuose del cardiochirurgo, ma aggiungiamo soprattutto mancanza di rassegnazione alle trappole della vita. Rassegnazione purtroppo diffusa nel nostro popolo italico. Abbiamo accettato la mafia, la malasanità, il covid 19, senza lottare. Adesso forse dovremo subire con rassegnazione la costruzione del ponte Messina-Reggio Calabria.  

Ci fanno convivere con la mafia, la cui permanenza pone dubbi sulla nostra civiltà. Ad ogni omicidio efferato in Sicilia, di natura mafiosa, i governi non si affrettavano a correre ai ripari con impegni polizieschi e giudiziari, ma dichiaravano “non occorrono leggi speciali”. Per un fenomeno così violento, deleterio e particolare, certo che occorreva una legge speciale. Speravano che un povero cittadino andasse a testimoniare di aver visto l’omicidio, con la certezza di essere a sua volta ucciso. Lasciamo la fantascienza nel suo alveo e pensiamo come risolvere razionalmente il problema. Persino è stato inviato il generale Alberto Dalla Chiesa a Palermo, senza la necessaria scorta!

Abbiamo atteso e rinviato il problema, compromettendone la risoluzione, poiché le organizzazioni si sono diffuse su tutto il territorio nazionale e si sono infiltrate nelle istituzioni. Cosa ancora più grave, la cultura mafiosa che coinvolge i cittadini anche non mafiosi, nel senso di accettazione del fenomeno e di riconoscimento, sino alla rassegnazione. In tal modo l’economia viene frenata, in quanto nelle zone a maggiore rischio, manca la spinta per le iniziative imprenditoriali a causa del rischio o della certezza di dover pagare “il pizzo”. Per capirci, chi lavora e guadagna onestamente, deve pagare cifre consistenti a vagabondi delinquenti.

La stessa rassegnazione pervade il popolo italiano nella evidenza di una malasanità, che si sta consolidando. In presenza di pochi medici, le visite e gli esami diagnostici slittano di mesi, ponendo a repentaglio la salute del cittadino. Come reagisce lo Stato? Reagisce riducendo i posti letti negli ospedali e continuando la liturgia del numero chiuso nell’accesso alla Facoltà di Medicina. Nel governo Draghi, pattuglia di tecnici e di saggi, hanno posto la ciliegina sulla torta, riducendo nei prossimi tre anni le risorse nel sistema sanitario di 6 mila miliardi. Ciò emerge dalla Nadef, la nota di aggiornamento del Def (Documento di economia e finanza), approvato dal Parlamento.

Dopo aver accresciuto le spese sanitarie di 6 miliardi nel 2021, con una spesa prevista di 129 miliardi, per il 2022 la cifra indicata è di 125 miliardi, mentre nel 2023 si prevede di sborsare 123 miliardi. In pratica, la spesa diminuirà di 4 miliardi l’anno prossimo e di altri 2 miliardi fra due anni: ciò significa che nell’arco di 2 anni saranno posti a disposizione della sanità 6 miliardi in meno. 

Abbiamo assistito alle contorsioni di Renzi, spintosi verso la finanza (altro che uomo di sinistra!) e di altri governi, ma il finanziere Draghi non riusciamo a comprenderlo. A comprova che non si tratti di una svista, constatiamo che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato distribuito a pioggia sui territori, a guisa di una festa di fine anno, dimenticando che i fondi dovevano servire per risolvere gravi problemi come sanità e giustizia. Assumendo poliziotti, carabinieri, magistrati, infermieri e medici, indirettamente avrebbero di fatto risolto in buona parte la componente occupazione. Dai fondi è toccato alla sanità soltanto il 10 per cento e in modo chiaramente irrazionale.

Ebbene il popolo italiano non solo ha plaudito al governo Draghi e lo ha rispettato come il toccasana della politica e dell’economia. Il trasporto ideale avrebbe dovuto richiamare i cittadini in piazza per protestare contro questi metodi e invece è rimasto inerme. Anzi alcuni scalmanati sono andati in piazza per protestare e distruggere vetrine, non contro la riduzione delle risorse nella sanità ma contro un pezzo di carta, il “Certificato Green Pass”, strumento di grande calibratura e genialità politica. Il “Green pass” consentiva di capire chi era vaccinato e quindi legittimato a girare sui mezzi pubblici e lavorare in comunità. In tal modo gli altri erano costretti a vaccinarsi e creare un cordone di benessere, riducendo l’infezione covid. Abbiamo perso anche questa occasione. Oggi si gira senza il “Green pass” e senza mascherina”. Cosa vuol dire? Vuol di che dobbiamo convivere con la malasanità e con il Covid 19, come è successo con la peste del Trecento, che è durata cento anni. Ma a quei tempi non vie erano farmaci!

Accettiamo che le case farmaceutiche dettino le regole, con farmaci nocivi e inutili, senza la forza del potere politico di far rispettare. Rimpiangiamo la ferrea ministra della Salute, Tina Anselmi, donna di grossa personalità e capace di gestire un Dicastero importante senza tentennamenti. Si rammenta la sua posizione quando nel 1979, allora ministra della sanità, decide con un decreto di ritirare dal mercato 165 farmaci, che una Commissione tecnica aveva giudicato inutili e persino dannosi. La ministra non si è arresa nonostante le pressioni delle case farmaceutiche e pare un attentato non riuscito alla sua auto nel cortile.

Oggi accade il contrario. Una giovane scienziata italiana, Francesca Sacco, ha scoperto – effettuando ricerche nella sua attività in Baviera – un possibile rimedio farmacologico per la cura del diabete di tipo 2, la forma più comune della malattia.  La scienziata è tornata in Italia ed opera all’Università di Roma Tor Vergata ed ha scoperto in un lavoro su animali che una molecola, ‘GSK3’, impedisce alle cellule pancreatiche di produrre insulina, l’ormone che regola la glicemia. I primi test sui topi suggeriscono che spegnendola si potrebbe frenare la malattia. Pubblicato sulla rivista Cell Metabolism, lo studio, in collaborazione con università tedesche e australiane, ha avuto il contributo di Piero Marchetti dell’Università di Pisa[1]. Ha scoperto che GSK3 è in eccesso in topi diabetici rispetto ad animali sani; ha pure scoperto che ‘spegnendo’ GSK3 con un inibitore specifico (un farmaco sperimentale attualmente in fase di test nella cura del melanoma) si può ripristinare la capacità del pancreas di produrre insulina. Dove sta il problema? L’Università non dispone delle risorse per una ricerca interessante e che riguarda una malattia debilitante. Il Ministero della salute non interviene a sostenere l’impegno di acquisizione notizie. Probabilmente vi saranno freni da parte delle case farmaceutiche, le quali vedono evaporare diversi miliardi per mancata vendita di farmaci antidiabetici. Forse le ragioni saranno altre, ma in ogni modo appare incomprensibile una tale insensibilità per una patologia mortale, che peraltro riguarda tutto il pianeta. Il ministero della Salute si muove con tecniche sciagurate, all’insegna della burocrazia inutile e dannosa. Un esempio resta l’invenzione del “Piano terapeutico” per nuove specialità medicinali, per le quali il cittadino paziente deve presentare il Piano in farmacia. Questo ha una prima scadenza di sei mesi o poi di un anno, obbligando il malcapitato a recarsi dal medico per la prosecuzione alla scadenza, pena l’interruzione della terapia. Sono questi i problemi del Ministero?

Sull’andazzo attuale, si può condividere un avvenimento spiacevole, occorso al sottoscritto. Nel giugno del 2019, mi sono sottoposto ad intervento di decongestione chirurgica dei turbinati, presso un pubblico ospedale di Bologna. Dopo 33 giorni dall’intervento è saltata una grossa crosta che ha provocato un’epistassi molto abbondante. Per mia fortuna mi trovavo nei pressi del policlinico e mi sono salvato. Se accadeva in un posto di villeggiatura dove ero stato appena dopo l’intervento, avrei incontrato molti rischi per la sopravvivenza. Tutto ciò è stato causato da macchinari obsoleti dell’ospedale, che non era aggiornato alle tecniche laser. Con il laser, che non crea sanguinamento, avrei evitato questa grave crisi. Ma il macchinario costava e l’ospedale non voleva spendere. (La seconda parte dell’articolo uscirà il 12 novembre).

©Riproduzione riservata


[1] Notizia pubblicata il 20 marzo 2019 da Chiara Moretti su AdnKronos.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.