Come mettere in atto l’identità missionaria. Intervista a Elvira Napoletano sul Progetto Avellino-Dakar
Un passo alla volta i sogni si realizzano per chi guarda con speranza a un futuro migliore. Ma per farlo è necessario rimboccarsi le maniche e metterci del proprio. È quello che Elvira Napoletano ha capito da tempo, sperimentando con il progetto Avellino-Dakar, che da volontaria ha inserito tra le attività dell’Associazione Avellino per il mondo, insieme alla Caritas e Migrantes, le povertà lontane da noi.
Ce ne parla in un’accorata intervista in cui, facendo seguito ai nostri precedenti incontri e di ritorno dal Senegal, ci racconta la sua nuova esperienza.
È riuscita a incontrare gli abitanti del villaggio?
Per niente, sono rimasta bloccata a Dakar con il carico, a causa di uno sciopero portuale che ci impediva di raggiungere Thidelly, a sbrigare le incombenze burocratiche per far sì che il carico di aiuti e strumentazioni, raccolti in mesi per completare il poliambulatorio, oltre a materiali sportivi, compreso il logo ufficiale dell’US Avellino, materiale sanitario, generi di prima necessità, abbigliamento, giocattoli e materiale didattico, grazie alle numerose donazioni ricevute dall’Associazione, giungessero a destinazione. Alla fine ce l’abbiamo fatta ma era scaduto il mio tempo e sono dovuta rientrare.
Immagino che comunque non abbia perso tempo.
Oh no, ho pensato piuttosto alla possibilità di mettere a frutto il viaggio per creare nuove relazioni, di persona. Queste cose sono importanti. Ho avuto così la grazia di essere ricevuta dall’Abbè Micael Carlos Andrejzwski, segretario e diplomatico della nunziatura apostolica del Senegal, mancando il nunzio apostolico vescovo di Kolda, Mons Pierre Basseéne. Sono stata accolta con semplicità, ricevendo la promessa del sostegno della chiesa locale per il nostro prossimo viaggio e parlando con lui delle necessità delle popolazioni locali. Lui mi ha raccontato che le suore che hanno scuole lì accolgono classi intere di bambini musulmani, che tra loro e i cristiani sussiste una grande integrazione, rammaricandosi che ciò non avvenga in altre parti del mondo, come in medio Oriente, ad esempio.
Una grande opera quella che compie la Chiesa nel mondo. Ma mi dica, come si sente quando torna lì in Africa?
Andare in Africa, fuori dai circuiti turistici, s’intende, è un’esperienza che segna nel profondo. Credo che in particolare per i giovani sia un’esperienza importante da fare per capire meglio come funzionano le cose. Sono appena tornata proprio da un corso per Tutor missionari, organizzato dal Centro Unico Missionario italiano, che si è svolto a Verona, e lì ho potuto constatare la grande partecipazione di giovani alle missioni, cosa che vedo meno qui al Sud.
Da cosa dipende secondo lei?
Credo che lì sia molto sentita la tradizione degli oratori, che evidentemente funzionano bene come centri di aggregazione e per affrontare l’argomento del volontariato e della missione, molti giovani, invece di organizzare una vacanza, si attivano per partecipare a campagne missionarie all’estero. Da una sola città partono anche 120 ragazzi nel periodo estivo per missioni brevi di un mese o un mese e mezzo. Credo siano pratiche virtuose.
Cosa si potrebbe fare per invogliare i nostri giovani a partecipare?
Penso che la via migliore sia incontrarli nelle scuole. Ho riscontrato che gli organizzatori lì fanno così e con buoni risultati a quanto vedo. Se non c’è informazione e condivisione sull’argomento, sarà difficile che le cose possano cambiare.
Torniamo all’Africa. Quali le prossime tappe del progetto?
In effetti una grossa novità c’è: si tratta di un altro progetto dedicato all’Africa, ma che ha come obiettivo il Madagascar. Ho incontrato di recente, grazie al presidente dell’Associazione Marco Cillo, un padre redentorista di Avellino, padre Lorenzo Gasparro, che è parroco a San Tommaso, che è stato per quindici anni in Madagascar e che mi ha detto che anche loro hanno una missione nell’isola africana, dove hanno costruito una clinica ostetrica con sala operatoria, che però non può operare per mancanza di energia elettrica. Con Marco ci siamo detti subito: ma abbiamo la disponibilità di 600 pannelli fotovoltaici che erano destinati al nostro progetto, dove ne servivano meno e, inoltre non entravano tutti nel container, che ci sono stati donati da Ecosistemi di Avellino, dell’ingegnere Catello Di Capua. Vuol dire che saranno destinati al Madagascar. E siamo partiti con l’organizzazione della consegna insieme a un tecnico che sovrintenderà al montaggio e alla messa in opera. Dovendo inviare un container, faremo in modo da raccogliere altre cose che siano necessarie. Sono davvero contenta che le cose siano andate così.
Lei si potrebbe dire che è capace di fare miracoli, ma sono bene che è capace di intessere ottime relazioni ed ha un gran cuore. Non posso che augurarle il meglio per Natale e che i progetti che la vedono così impegnata portino quel bene che noi tutti dobbiamo all’Africa da troppo tempo.
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