Emergenza educativa per dare senso alla vita
Mai come nell’ultimo periodo si registra un’escalation di episodi criminosi di sangue tra giovanissimi. Schegge impazzite, imprevedibili fuori da sistemi, che in qualche modo ne regolavano gli intenti, assistiamo ad episodi incontrollati, con esiti irreversibili. Giovani vite spezzate senza un motivo che ne giustifichi la ferocia. Una violenza in ascesa basata su interpretazioni di una supponenza di superiorità dettata e incoraggiata dal possesso facili di armi, non più giocattolo, che decidono l’interruzione di una vita come in un grande videogioco. E qui sta la ferocia e la disumanità di questi atti, vittima e carnefice spesso si interfacciano e si confondono, entrambi accomunati dalla stessa concezione di vita che valore non ha, essenza non ha, senso non ha. Abbagliati dal ruolo cinematografico del potente su tutto e tutti, del più forte del momento che si arroga il diritto della sopraffazione. L’identikit è lo stesso, studi interrotti, soldi facili, look omologato, sguardo sempre pronto alla sfida, all’attacco, età tenerissima e soprattutto la mancanza di esempi positivi, di prospettiva, di futuro se non quello di affrontare il nuovo giorno, la nuova notte brava in cerca di adrenalina e forti emozioni in uno scontro con il prossimo tuo nemico. La vittima diventa l’eroe, la narrazione è la stessa: era un bravo ragazzo, un incensurato, scene strazianti dei parenti, amici o semplici conoscenti, palloncini bianchi, magliette e gadget con l’immagine della vittima con scritte tipo ‘io leggenda’ o un eroe, un angelo, immaginetta alla cappella votiva o dedicata e cosi via alla prossima vittima senza fermarsi un attimo a capire in che direzione vogliamo muoverci per invertire la rotta.
La famiglia, così bistrattata nella nostra epoca, così progressista che tende alla sua svalutazione e inconsistenza invece è proprio responsabile e fulcro di questa escalation. Genitori distratti dall’ultimo tic-toc o dall’ultimo intervento estetico, per colmare il bisogno di apparire non curante dell’essere, sono gli esempi di figli per di più lasciati soli con la fame di amore e considerazione che pretendono con un coltello, un’arma un tirapugni. Motorini all’impazzata in circolo, regalati per sopire un senso di colpa per un’assenza, senza meta o scopo se non farsi notare, e questo bisogno di amore è autodistruttivo, amore a tutti i costi per rendersi visibile se non ascoltato. E dopo l’ultimo episodio di sangue di minori innocenti, capitati per caso o per volontà al via i tavoli delle Istituzioni per correre ai ripari di un fenomeno incontrollato. Sotto accusa in primis la Scuola, che ha come colpa il non essere più autorevole di aver cambiato volto e anima, di pensare di risolvere con i circle time e l’ultimo progetto accattivante, di scendere a patti con i disvalori che si portano dentro questi ragazzi, svuotandosi essa stessa di valore. L’apprendimento passa attraverso la frustrazione, l’impegno, l’abnegazione senza trascurarne la relazione e il confronto e fornendo agli alunni a rischio, gli strumenti per una scelta di vita alternativa. Il territorio, troppo spesso assente, non fornisce luoghi di incontro alternativi; spesso le associazioni si appoggiano alle scuole già strutturate e non sono capaci di una contiguità strutturata per accogliere ragazzi sbandati occupando il loro tempo libero con attività di valore educante. Se è vero che l’imprinting dei valori avviene dai zero ai sei anni, allora è troppo tardi intervenire dopo.
Napoli ha il primato non del crimine in genere, ma nell’avere giovani criminali con l’età più bassa. Ragazzini, senza strumenti cognitivi sviluppati o strutturati per scelte consapevoli, con l’aggravante di non aver sviluppato un animo che dia direzione e senso alla propria e all’altrui vita.
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