Gli effetti a lungo termine del Covid-19 e l’invecchiamento biologico
Un interessante studio recentemente pubblicato sul Journal of Molecular Sciences dal titolo“Revealing the Hidden Impacts: Insights into Biological Aging and Long-Term Effects in Pauci – and Asymptomatic COVID-19 Healthcare Workers” ovvero “Rivelando gli impatti nascosti: approfondimenti sull’invecchiamento biologico e sugli effetti a lungo termine in lavoratori sanitari con lievi sintomi o sintomatici COVID-19″ è stato condottodal team interdisciplinare Medicina del Lavoro dell’Azienda Ospedale dell’ Università di Padova. Lo studio mira aesplorare quanto l’infiammazione e dello stress ossidativo, caratteristiche del COVID-19, giochino un ruolo significativo nell’accelerazione dell’invecchiamento biologico; in quanto conseguenze a lungo termine dell’infezione anche in forma lieve o per nulla sintomatica.
La ricerca, guidata dalla professoressa Sofia Pavanello del Dipartimento di Scienze Cardio – Toraco – Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università di Padova, è stata effettuata su 76 operatori sanitari dell’azienda ospedaliera che sono stati contagiati nella prima ondata riscontrando sintomi lievi o nessun sintomo del COVID-19. Il campione – sebbene piccolo, visto il limitato contagio nella struttura ospedaliera (144 su 8240 degli operatori sanitari), grazie alle attente politiche di prevenzione attuate – può essere considerato come rappresentativo dell’intera popolazione. Per ogni soggetto della ricerca sono stati raccolti dati personali quali demografia, stile di vita, storia medica ed esposizione ambientale e occupazionale. Tutti sono stati sottoposti a un esame clinico con test di funzionalità respiratoria e valutazione cardiaca con esiti della variabilità della frequenza cardiaca, al questionario WAI (Work Ability Index) per la valutazione della loro capacità lavorativa e sono stati raccolti campioni ematici per test di biochimica di base, profili immunologici, biomarcatori di infiammazione e analisi dell’invecchiamento biologico.
«L’approccio scientifico e l’importanza della ricerca è duplice: da un lato si riescono a monitorare e gestire le condizioni di salute degli operatori sanitari nel lungo termine, dall’altro, poiché il campione analizzato è statisticamente rappresentativo dell’intera popolazione che ha contratto il COVID-19 con sintomi lievi o assenti, i risultati offrono importanti indicazioni per la salute pubblica, suggerendo strategie di gestione personalizzate e interventi di supporto per le persone più suscettibili alle conseguenze a lungo termine del virus – dice Sofia Pavanello. Lo studio è stato portato a termine dal team multidisciplinare della Medicina del Lavoro che si è dimostrato vincente intrecciando saperi interdisciplinari per risolvere le sfide sulla salute pubblica».
La ricerca ha analizzato i parametri ematochimici tra cui indicatori di infiammazione, nonché meccanismi alla base della nostra ipotesi per l’accelerazione dell’invecchiamento biologico persistessero dopo un anno dall’infezione. Sono stati anche esaminati parametri di capacità lavorativa tramite il questionario WAI, la salute respiratoria e l’attività cardiaca.
«Abbiamo riscontrato che l’aumento della DNAmAge – un marker molecolare di invecchiamento– oltre ad essere associato alla durata dell’infezione, era in relazione ad un declino della funzionalità polmonare, della variabilità della frequenza cardiaca (HRV) e una bassa frequenza cardiaca media (HR). Un aumento della DNAmAge indica un invecchiamento biologico accelerato, aggravato da fattori come l’infezione da SARS-CoV-2; la capacità respiratoria, la frequenza cardiaca, sia basale che non basale, tende a diminuire con l’età, rendendo le persone anziane più inclini alla bradicardia, e anche la variabilità della HRV diminuisce con l’invecchiamento – sottolinea Sofia Pavanello –. Il campione preso in esame mostra un aumento della DNAmAge con una riduzione della capacità respiratoria e della frequenza cardiaca media un anno dopo l’infezione da SARS-CoV-2 rispetto alla fase post-acuta, evidenziando l’impatto delle infezioni sull’invecchiamento biologico. La prima evidenza emersa dallo studio è che il monitoraggio della capacità respiratoria, della frequenza cardiaca e la HRV, e il mantenimento degli stessi attraverso interventi mirati, potrebbero mitigare l’accelerazione dell’invecchiamento. Inoltre, dai test clinici e dai campioni biologici, emerge che un numero alto del campione (il 30%) ha sperimentato sintomi persistenti come difficoltà respiratoria (dispnea) e problemi cognitivi (problemi di concentrazione, memoria e ansia) fino a un anno dopo l’infezione».
L’invecchiamento biologico riguarda i cambiamenti naturali del corpo nel tempo. È un processo che può variare da individuo e individuo anche per fattori genetici e ambientali. Per valutarlo, nella ricerca, si sono misurati parametri molecolari precoci di invecchiamento cellulare. Si è in presenza di un invecchiamento accelerato quando i segni molecolari di invecchiamento sono più avanzati rispetto a quelli tipici dell’età cronologica del soggetto.
«A un anno dal contagio si è riscontrato un invecchiamento biologico accelerato nelle cellule dell’espettorato rispetto ai leucociti del sangue e alle cellule nasali. Questa evidenza suggerisce un tessuto polmonare particolarmente vulnerabile anche in soggetti contagiati con poca o nulla sintomatologia da COVID-19. In termini di significatività – conclude Sofia Pavanello – la ricerca indica che questo invecchiamento biologico si associa maggiormente al genere maschile. Altro dato importante è che a parità di contagio e sintomi, chi presenta glicemia alta e alti livelli di LDL (colesterolo cattivo) ha un maggior rischio di invecchiare più velocemente».
Link alla ricerca: https://doi.org/10.3390/ijms25158056
Titolo: “Revealing the Hidden Impacts: Insights into Biological Aging and Long-Term Effects in Pauci – and Asymptomatic COVID-19 Healthcare Workers” – «Journal of Molecular Sciences» – 2024.
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