Goffredo Petrassi. Intervista a Roberto Roganti di Maria Teresa De Donato

MTDD: Amici carissimi, oggi ci troviamo nuovamente con un graditissimo ospite, il caro amico e collega Autore e Blogger Roberto Roganti pronto a presentarci un altro interessante compositore per la nostra Rubrica Il Mese Classico.
Ciao Roberto e bentornato.
RR: Ciao Maria Teresa. Saluto cordialmente anche tutti i lettori e le lettrici che ci stessero leggendo.
MTDD: Roberto, sino ad ora abbiamo presentato al nostro pubblico di lettori grandi compositori classici, a prescindere dalla fama che mentre erano in vita abbiano ottenuto. Ognuno ha contribuito, tuttavia, in modo indelebile ad arricchirci culturalmente il nostro Mondo.
Quale altro illustre personaggio ci presenti oggi?
RR: Oggi vi presento Goffredo Petrassi, nato a Zagarolo il 16 luglio 1904 e deceduto a Roma il 3 marzo 2003, un nostro contemporaneo quindi.
MTDD: Benissimo. Cosa puoi dirci della sua formazione e produzione musicale?
RR: Iniziati relativamente tardi gli studi musicali, Petrassi li compì con Bustini e Germani a S. Cecilia di Roma, dove insegnava dal 1939. Dal 1937 al ’40 è stato sovrintendente della Fenice a Venezia e dal 1947 al ’50 direttore artistico dell’Accademia Filarmonica Romana, mentre dal 1954 al ’56 ha presieduto la Società Internazionale di Musica Contemporanea. Svolgeva intensa attività didattica (dal 1958 è stato titolare del corso di perfezionamento per compositori dell’Accademia di S. Cecilia a Roma) e si è presentato in pubblico anche come direttore di composizioni proprie.
Petrassi entrò ben presto in contatto con la migliore tradizione italiana vocale e strumentale del ‘500-‘600. Pur risentendo inizialmente l’influenza dello stile neoclassico, individuò poi un linguaggio personale, caratterizzato da un ampio senso della vocalità e da un’ariosa polifonia: in questo senso è stato, accanto a Dallapiccola, tra i maggiori rappresentanti di ciò che è stato chiamato “neomadrigalismo” italiano, mentre dopo la seconda guerra mondiale il suo interesse si è spostato con maggior frequenza alle forme strumentali.
Alieno – almeno inizialmente – da ogni influenza dodecafonica, il suo spirito lo portò ben presto a seguire con interesse gli sviluppi delle nuove tecniche seriali; e senza mai assumere apertamente la tecnica schonberghiana, ne ha assorbito esemplarmente lo spirito nella produzione più recente. Le acquisizioni della “musica seriale,” definitasi a Darmstadt, hanno trovato in Petrassi un osservatore attento, che ha adottato un linguaggio liberamente cromatico e atonale avvicinandosi a tratti perfino al principio della “alea,” inaugurato da Boulez e Stockhausen.
Nella parabola compiuta da Petrassi si individua peraltro un’evoluzione assai coerente. Egli non ha mai ubbidito alla moda corrente, ma ha elaborato e maturato elementi di linguaggio già presenti nelle prime composizioni, vagliandoli al livello dell’attuale coscienza musicale europea: ha trovato così la strada della propria individuazione, e rimane a tutt’oggi una personalità in divenire, ricca di fermenti, amante della ricerca, interessante in ogni sua nuova produzione.
Come si è detto, in Petrassi ha svolto un ruolo di primo piano la musica vocale: oltre alle opere Il Cardavano (1949) e Morte dell’aria (1950) ricordiamo il Salmo IX per coro, orchestra e due pianoforti (1936), Coro di morti (1941) e Noche oscura (1950), oltre ad alcune liriche e inni per voce e strumenti o voce e pianoforte. Nel campo della musica da camera è autore di un quartetto (1956), della Serenata per cinque strumenti (1958), di un Trio (1959) e di vari pezzi per pianoforte. Ha composto anche 2 balletti, musica di scena e per film.
MTDD: Se ricordo bene Petrassi lo avevamo già menzionato in una precedente intervista in riferimento alla ‘partita’ che ha contraddistinto anche altri suoi illustri colleghi…
RR: Esatto. Vorrei menzionare nello specifico la Partita del 1932. Infatti,analogamente a Dallapiccola e Ghedini, Petrassi inizia la sua produzione orchestrale con una Partita: il che significa allacciamento diretto e intenzionale all’antica musica strumentale italiana (tipica della seconda metà del ‘600), nell’aspirazione a rinnovare e ridar significato moderno a una forma classica prediletta dagli antichi maestri. Il musicista rivive peraltro in maniera tutta moderna e personale lo spirito della musica barocca italiana: e di tipicamente italiano vi è nella Partita il discorso melodico luminoso e disteso, il ritmo vigoroso, lo strumentale energico e limpido, un linguaggio fondamentalmente diatonico a basi chiaramente tonali. Chiare sono, d’altronde, anche le influenze dei maggiori musicisti contemporanei, da Bartòk a Stravinski (si noti a proposito di quest’ultimo la velata citazione dall’Uccello di fuoco, affidata al saxofono nel primo tempo), sì che la Partita è la testimonianza viva di un musicista impegnato in un’operazione di rinnovamento di linguaggio che non vuole d’altra parte rinnegare la propria tradizione.
La successione dei tre tempi è quella della partita classica: “Gagliarda” (‘Mosso ed energico’ in 3/4), “Ciaccona” (‘Molto moderato’ in 3/2, forse il brano migliore della composizione) e “Giga” (‘Gaio e leggero in 12/8-4/4), il pezzo più brillante dell’intera Partita.
MTDD: Grazie Roberto per tutti questi dettagli. Molti tra i nostri lettori si stanno appassionando alla musica classica e a questi compositori proprio grazie alle informazioni che tu provvedi. Inutile dire che ti aspetto presto per un altro incontro…
RR: Grazie, Maria Teresa, per l’invito e per le tue parole. Il sapere che i nostri lettori e le nostre lettrici stanno apprezzando questi nostri articoli mi fa immensamente piacere. Alla prossima, dunque!
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