Il Carso triestino raccontato da Maurizio Radacich
Ho chiesto a Maurizio Radacich, speleologo e curatore della Kleine Berlin di Trieste, dei suoi progetti. Sta preparando un altro libro sulle grotte di Trebiciano, che non parla solo di grotte, come mi spiega a un tavolino dello storico Caffè San Marco, dove immagino abbiano sorseggiato il caffè Italo Svevo, Umberto Saba o James Joyce. Il libro tratterà del Carso, con sua la storia, l’economia, le tradizioni anche slovene, che come sempre correderanno le descrizioni delle numerose cavità carsiche – se ne contano seimila – che Radacich continua a catalogare e a studiare per il Club Alpinistico Triestino.
«Bisogna capire che sul Carso gli sloveni hanno sempre abitato e non ha senso parlare di differenze con gli italiani», spiega, introducendo uno spunto interessante sulla composizione etnica del confine orientale. In effetti è molto presente, soprattutto tra i triestini legati in qualche modo all’altopiano che sovrasta la città, questa consapevolezza, che il periodo della dittatura ha cercato in ogni modo di cancellare e che la questione di Trieste nell’immediato dopoguerra ha riproposto nei suoi risvolti più violenti. Dove vivevano da secoli slavi e italiani come in una terra comune, parte dell’Impero austriaco, fu imposta dal regime fascista l’idea di estraneità di una delle due componenti, emarginata, resa subalterna e umiliata in nome dell’italianità di quelle terre. Vennero creati, in seguito, confini da popoli estranei alla storia, acuendo le differenze tra due popoli che avrebbero potuto vivere in pace. Un altro regime, paragonabile al precedente, interessò la Jugoslavia, esasperando la situazione in modo irreparabile, fino all’arrivo dell’Europa Unita. Come sempre a creare le differenze sono motivazioni politiche e non le persone. Ci si sta lavorando e la divulgazione della cultura serve anche a questo.
Tornando a Maurizio Radacich e alla pubblicazione in preparazione, è lui pazientemente a raccontarmi che il volume ha preso consistenza, anche grazie alle numerose immagini contenute, per cui sta lavorando a una riduzione, eliminando quello che si può, perché la volontà di divulgazione che muove questa attività si scontra, logicamente, con i costi di stampa e perciò qualche taglio sarà necessario. Ma ci assicura che ne ha già pronti altri due, di cui uno dedicato al più vasto territorio di Opicina, dove compare anche la storia delle ferrovie con il passaggio dall’Austria all’Italia.
Radacich è uno studioso attento e ha uno sguardo ampio sui temi che tratta, affrontandoli nelle sue pubblicazioni in modo da inserire le informazioni in un contesto ben descritto e, nonostante la specificità di alcuni argomenti, di grande interesse per gli innamorati della speleologia, il modo di esporli rende questi libri del tutto accessibili a tutti. Del resto le visite guidate alle gallerie della Kleine Berlin sono un viaggio nella storia del periodo bellico. Lo sviluppo delle gallerie che, in pieno centro cittadino offrivano riparo durante i bombardamenti, oggi visitabili grazie alla gestione affidata al Club Alpinistico Triestino, rivela misteri e segreti che aggiungono fascino all’interessante visita. Una parte di queste era, infatti, stata scavata dai tedeschi durante l’occupazione del Litorale Adriatico dopo il 1943, e collegava ai luoghi del potere delle vere e proprie vie di fuga. L’interesse maggiore, ci racconta Radacich, lo dimostrano di solito le donne, pronte sempre a fare domande e approfondire le sue spiegazioni, e così anche i bambini delle scolaresche in visita. A loro spiega che nel periodo fascista fu bandita la stampa estera e anche i fumetti, ma siccome i figli del Duce amavano Topolino, fu inventata una versione italiana che ricalcasse quelle avventure.
Riportando l’attenzione sull’entroterra ci spiega poi che l’evoluzione dell’altopiano del Carso sta cambiando aspetto a causa dell’allevamento intensivo, favorito dai fondi europei, che mette a dura prova la sopravvivenza di specie vegetali, endemiche della zona, che a causa dello squilibrio creato stanno scomparendo. In più le proprietà sono tutte recintate, rispetto a una volta, e ciò costituisce un ostacolo all’esplorazione libera delle grotte, ma rispetto ai tempi passati la maggiore comunicazione con gli abitanti del posto mostra la loro grande disponibilità a concedere il permesso di esplorazione. Insomma non è più territorio di conquista ma un luogo dove si è presa coscienza che vi abitano legittimamente delle persone oggi anche maggiormente consapevoli dello spirito sportivo della speleologia e dei motivi legati allo studio del territorio.
«Quando scrivo un libro, – ci racconta – trovo spesso la disponibilità dello “storico” del villaggio che mi racconta e mi accompagna, divenendo riferimento importante per me e partecipe della mia ricerca. Spargendosi la voce, anche altri luoghi aprono le porte alla loro storia. Poi, quando presentiamo un libro, lo facciamo in loco. In queste occasioni fino ad ora abbiamo sempre avuto un riscontro molto positivo. Ci tengo a chiarire, però, che scrivo libri per la storia, non libri di storia, non mi permetterei e, dirò, ne ho pubblicati anche abbastanza. Per farlo, come dicevo, mi baso sulle testimonianze orali, che sono di fondamentale importanza, poi ci sono gli studiosi veri. Il problema, purtroppo, è che le persone che ricordano queste cose diminuiscono.»
La passione che anima l’uomo che ho di fronte mi affascina sempre, come il suo modo di raccontare mille storie, sempre sostenute da ricerche e documentazioni, oltre che dalle testimonianze orali, e così continuo a fargli altre domande su curiosità a argomenti che hanno attirato la mia attenzione durante il mio viaggio nella misteriosa Trieste. Me ne racconta tante e tante ancora. E nel frattempo aspetto l’uscita della sua prossima pubblicazione.
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