Il Mese Classico. Intervista a Roberto Roganti su Tomaso Albinoni

Carissimi amici benvenuti di nuovo a Il Mese Classico condotto dall’amico e collega Roberto Roganti.

A Gennaio abbiamo iniziato questa rubrica con la vita e le opere di Isaac Albéniz, pianista e compositore spagnolo. Per il mese di Febbraio, Roberto ha scelto Tomaso Albinoni, ma lasciamo che sia lui stesso a presentarcelo.

MTDD: Ciao Roberto e grazie per essere di nuovo qui con noi oggi.

RR: Grazie a te, il piacere è il mio.

MTDD: Oggi ci presenti un altro importante compositore che, forse, non tutti conoscono: Tomaso Albinoni.

Cosa puoi dirci di lui?

RR: Tomaso Albinoni erafiglio di un cartaio, aveva studiato la musica da dilettante ma dovette ben presto dedicarvisi come professionista essendo mutate le condizioni economiche della ditta patema. Fu a Firenze nel 1703 e poi ancora nel 1722, a Monaco nel 1722, ma passò la maggior parte della vita a Venezia, dove per qualche tempo suonò il violino in orchestra di teatro, entrò in amicizia con Vivaldi e in campo operistico fu considerato un temibile rivale di Francesco Gasparini. Fu compositore fecondissimo (scrisse fino al 1740 una cinquantina di opere teatrali, di cui oggi ci rimangono solo poche arie, e gran copia di sinfonie, concerti, sonate e altra musica strumentale), ma dal 1740 circa aveva abbandonato ogni attività. Albinoni fu violinista provetto e, come tale, entra con una funzione precisa nella storia della fiorente scuola violinistica italiana del Settecento. Egli “sente” profondamente lo spirito degli strumenti ad arco ed è per questo forse che le sue piu ispirate e significative composizioni sono appunto quelle strumentali, dove ebbe modo di profondere le sue ricche doti musicali.

MTDD: Quali sono le caratteristiche principali della sua musica?

RR:  Albinoni è un tipico rappresentante del barocco italiano, ha un gusto preciso e sottile per l’ampio arco melodico, per l’armonia raffinata, per una strumentazione accurata. I suoi ritmi sono elastici e leggeri, il discorso è sempre nobile ed espressivo, l’orchestra si fonde in un corpo unico capace di coloriti diversissimi, preludendo in qualche punto agli sviluppi della scuola di Mannheim, al crescendo e a una cura minuziosa della dinamica. Con l’introduzione nelle op. 7 e 9 di strumenti a fiato (oboi) egli getta le basi per un ampliamento dell’orchestra, insegnando a fondere la sonorità dei fiati con quella degli archi. Inoltre individua con chiarezza superiore a quella dei suoi predecessor e contemporanei il concetto di “sinfonia”, intesa come brano strumentale in cui tutti gli strumenti dell’orchestra concorrono in ugual misura a dar vita al discorso musicale, a differenza del concerto dove si accentuava lo spezzettamento del discorso tra i “soli” e il “tutti” orchestrale. È sintomatico che Bach abbia studiato a fondo, insieme a quelle di Vivaldi, le composizioni di Albinoni, musicista che egli poneva sullo stesso piano del “Prete Rosso”: ed è dalle composizioni di Albinoni che Bach apprese molti accorgimenti rimasti poi tipici in tutta la sua più importante produzione. Non è possibile per Albinoni, come non lo è per molti altri autori barocchi italiani e stranieri, entrare nei dettagli delle singole composizioni. La sua produzione è vastissima e non si può dire che esistano finora dei pezzi che si siano imposti in modo particolare all’attenzione del pubblico; né tra le raccolte di musiche da lui pubblicate ve n’è qualcuna che eccella in modo particolare sulle altre. Per tutta la sua produzione valgono le caratteristiche stilistiche di cui si è detto nella parte introduttiva. Si tenga presente che molte composizioni di Albinoni sono rimaste manoscritte, e vengono riesumate gradualmente dall’amore di alcuni musicologi appassionati dell’antica produzione italiana.

MTDD: Quali sono le opere di questo compositore che vuoi presentarci oggi e perché hai scelto proprio queste?

RR: Per oggi ho scelto seguenti opere e di seguito ve ne indico anche le ragioni.

Concerto in do maggiore per due oboi, archi e basso continuo, op. 9 n. 9

L’oboe, introdotto in Italia dalla Francia verso la fine del XVII secolo, fu dapprima usato come rinforzo degli archi. Albinoni fu tra i primi compositori italiani, assieme all’oboista virtuoso Giuseppe Sammartini, ad Alessandro Marcello e a Vivaldi, a scrivere dei concerti solistici per questo strumento, che a quell’epoca era dotato solo di due o tre chiavi. Del «dilettante veneto, musico di violino», come Albinoni stesso amava definirsi, ci rimangono 16 composizioni originali per oboe, equamente distribuite nell’op. 7 e nell’op. 9. Le due raccolte, pubblicate ad Amsterdam rispettivamente da Roger nel 1715 e da Le Cene nel 1722, sono simmetricamente divise in quattro concerti per violino (per archi nell’op. 7), quattro per oboe e quattro per due oboi. In questi lavori l’autore dimostra di conoscere a fondo le possibilità tecniche ed espressive dello strumento, che fu introdotto a San Marco nel 1698 e alla Pietà intorno al 1706, e di non essersi limitato a sostituire semplicemente il violino con l’oboe.

Albinoni decise di dedicare l’op. 9 a Maximilian Emmanuel II di Baviera perché probabilmente aveva sentito parlare della bravura degli oboisti attivi in quella corte. I concerti furono verosimilmente ben accolti dal momento che il «dilettante veneto» fu successivamente invitato a Monaco per organizzare le feste musicali in occasione delle nozze del principe elettore Carlo Alberto di Baviera con Maria Amalia, figlia più giovane di Giuseppe I.

Il Concerto in do maggiore per due oboi, archi e continuo op. 9 n. 9 è il penultimo dei concerti “doppi” presenti nella raccolta, che generalmente comprende composizioni più elaborate rispetto ai modelli offerti dall’op. 7. La tonalità di do maggiore è presente in quattro degli otto concerti per due oboi di Albinoni (dei rimanenti quattro, due sono in re maggiore e due in fa e sol maggiore). Ciò deriva dal fatto che spesso nel Settecento l’oboe veniva assimilato per funzioni e sonorità alla tromba, le cui tonalità naturali erano appunto quelle di do e re maggiore.

Nel primo movimento (Allegro, 4/4), gli interventi dell’orchestra sono articolati in tre-quattro motivi, variamente ricomposti ed elaborati nelle riproposizioni del tutti. I soli non hanno valore tematico ma si limitano ad un formulario melodico, prevalentemente per terze parallele, fatto di scalette, arpeggi, rapidi passaggi in semicrome, oppure di brevi incisi ripetuti o separati da una pausa di croma. 

Nel movimento centrale (Adagio, la minore) l’ampio respiro lirico del canto degli oboi viene impreziosito dalle imitazioni tra i solisti e gli archi. È importante notare che qui, come negli altri tempi lenti dell’op. 9, Albinoni preferisce servirsi di una tessitura musicale più elaborata, diversamente dalla moda dell’epoca di semplificare questo movimento per permettere la libera improvvisazione dell’esecutore. 

La struttura a ritornelli si ripresenta nell’ultimo tempo (Allegro, 3/8) che con quello iniziale condivide non solo la stessa struttura formale ma anche un identico percorso armonico: do maggiore – sol maggiore – la minore – mi minore – do maggiore. La diversità più evidente tra i due movimenti è costituita, oltre che dal ritmo, dal comportamento dei soli che, a differenza del primo movimento, hanno carattere tematico e sviluppano frequenti imitazioni.

Organico: 2 oboi, 2 violini, violetta, violoncello, basso continuo

Composizione: 1721 – 1722 circa

Edizione: Michel Charles Le Cene, Amsterdam, 1722

Dedica: Massimiliano Emanuele, duca di Baviera

Sinfonia in la maggiore, per archi e basso continuo, op. 2 n. 5

Di sette anni più anziano di Vivaldi, Tomaso Albinoni lo precedette di tredici nella pubblicazione della sua prima raccolta di Sinfonie e Concerti a cinque op. 2, uscita in Venezia dai torchi dello stampatore Sala nel 1700 (come è noto, i dodici Concerti dell’Estro Armonico vivaldiano videro la luce ad Amsterdam nel 1713). La fondamentale opera albinoniana precedette altresì, e di ben quattordici anni, la famosa opera Vi di Corelli, anche se è accertato da numerose testimonianze che l’Europa musicale non dovette attendere la pubblicazione postuma (1714) di quei capolavori per ammirarne e assumerne a modelli le terse architetture, giacché copie manoscritte dei Concerti grossi corelliani circolavano nelle sale di musica e negli archivi patrizi fin dall’ultimo decennio del secolo XVII. Traguardi cronologici a parte, ad Albinoni spetta il merito (ovviamente, non esclusivo) di avere definito, nell’ambito della civiltà musicale veneta, le strutture del Concerto barocco nei due «generi» da chiesa e da camera: al primo di questi appartiene la bellissima Sinfonia in la maggiore, che, quantunque conservi il vecchio nome caro alla strumentalità padana del tardo Seicento, si deve in realtà considerare come un vero Concerto grosso, articolato nei quattro tipici movimenti, con episodici stacchi dei soli contro la massa dei «tutti». La composizione si apre con un Grave caratterizzato da figurazioni, in ritmo puntato, strettamente imitate tra i due violini, sullo sfondò delle due viole e del basso. Segue un Allegro fugato a due soggetti che svolgono una scenografica polifonia a cinque voci, dalla quale primo e secondo vìolino emergono con brevi interventi solistici. UnAdagio al relativo minore, improntato a fervida cantabilità, introduce l’Allegro finale in tempo di giga, con vivace esposizione fugata.

Grave

Allegro

Adagio

Allegro

Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello, basso continuo

Composizione: 1694

Edizione: Giuseppe Sala, Venezia, 1700

Dedica: Ferdinando Carlo, principe di Mantova

Sinfonia in sol minore, per archi e basso continuo, op. 2 n. 11

Violinista e studioso dei problemi del canto, Albinoni si distinse come fecondo operista a Venezia, Mantova, Firenze e Monaco di Baviera, scrivendo una cinquantina di melodrammi in gran parte, andati perduti: musicò anche La Didone abbandonata di Metastasio (1725). Insieme a Vivaldi, di cui fu amico, egli appartiene alla gloriosa scuola musicale veneziana, che nel Settecento ebbe grande rilevanza e influenza per la definizione e lo sviluppo del concerto solistico in campo strumentale. 

Certamente il contributo di Vivaldi a questa forma di espressione musicale è più universalmente conosciuto e apprezzato, ma non si può negare che anche Giuseppe Torelli, veronese della scuola strumentale di Bologna, e Tomaso Albinoni siano stati anelli importanti nel processo di trasformazione del rapporto tra «solo» e «tutti», ai fini di una più varia e organica articolazione orchestrale, anche per mettere in maggiore evidenza il contributo dell’esecutore in funzione virtuosistica. In particolare, nella produzione di musica strumentale di Albinoni, la successione dei tre tempi Allegro – Adagio – Allegro, che sostituivano i soliti quattro tempi delle sinfonie, contiene tre periodi solistici invece di due, offrendo esempi di più ampia elaborazione tematica.

Va rilevato inoltre come nelle diverse raccolte albinoniane scritte per più archi e lo strumento solista, sia violino o violoncello o oboe, i temi affidati al «solo» assumano un respiro più ampio e articolato, quasi a sottolineare la preferenza del compositore verso quel tipo di discorso solistico che avrebbe avuto larga risonanza in seguito, a cominciare da Giuseppe Tartini e fino a tutto l’Ottocento. Anche nel campo delle sonate e dei concerti per archi l’importanza di Albinoni è significativa per l’essenzialità del motivo melodico e il gusto per i movimenti lenti, carichi di uno spiccato lirismo, in una tessitura armonica puntata continuamente sul rapporto fra tonica e dominante.

Un esempio delle caratteristiche musicali di Albinoni si può ricavare dall’ascolto della Sonata a cinque in sol minore, classificata come la sesta dell’op. 2 edita dapprima nel 1695 ad Amsterdam e poi a Venezia nel 1700 e compresa nella raccolta conosciuta con il titolo di «Sinfonie e Concerti a cinque per due violini, alto, tenore, violoncello e basso». In questo caso il termine di sinfonia va inteso nel senso classico della parola, come componimento destinato ad un complesso strumentale piuttosto compatto e articolato in quattro movimenti in cui si alternano due tempi adagi a due tempi allegri. Ciò non toglie che queste sinfonie siano stilisticamente delle sonate da camera, con tutte le figurazioni e fioriture violinistiche di tipica ascendenza veneziana.

Adagio

Allegro

Grave

Allegro

Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello, basso continuo

Composizione: 1694

Edizione: Giuseppe Sala, Venezia, 1700

Dedica: Ferdinando Carlo, principe di Mantova

Adagio in sol minore per archi e basso continuo

L’Adagio in Sol minore di Albinoni è uno dei pezzi più popolari. Il cinema lo ha più e più volte utilizzato, il suo andamento lento – e quel profondo ricamo barocco di archi – esprime un impatto emotivo adatto alle scene più commoventi. Un’unica citazione? “Gli anni spezzati”, un film del 1981 di Peter Weir, ma la lista potrebbe essere lunga pagine e pagine. Ma questo Adagio viene suonato anche nelle cerimonie funebri, da Enrico Berlinguer a Margaret Thatcher. Eppure la storia di questo capolavoro è più complicata di così. Si tratterebbe infatti della più grande frode nella storia della musica.

Questo semplice movimento barocco proviene da un compositore veneziano, Tomaso Giovanni Albinoni (Venezia, 1671), che aveva studiato canto ed era divenuto un violinista, ma ben presto prestò il suo talento alla composizione sia operistica che strumentale. Albinoni si riferiva a se stesso come a “un dilettante veneto”, ma in verità fece della musica il suo mestiere, fino alla sua morte (nel 1751). Poiché le sue opere non furono mai pubblicate, fu conosciuto soprattutto per le sue 99 Sonate, i 59 Concerti e le 9 Sinfonie che erano, ai suoi tempi, favorevolmente paragonate alle produzioni dei contemporanei Antonio Vivaldi e Arcangelo Corelli.

MTDD: Che fine fece la sua produzione una volte che Albinoni morì?

RR: Dopo la morte di Albinoni, gran parte della sua musica si diresse verso la Biblioteca di Stato sassone, dove venne conservata prima di andare completamente distrutta nei bombardamenti del 1945. E proprio in quell’anno, il musicologo Remo Giazotto scrisse una biografia di Albinoni (il libro s’intitola “Musico di Violino Dilettante Veneto”), catalogandone le opere rimanenti. Qualche anno dopo, Giazotto affermò di aver recuperato un frammento di musica inedita di Albinoni dalla Biblioteca di Dresda: un pezzetto di manoscritto, probabilmente del lento movimento di una Sonata in Sol minore, che consisteva solo in un basso continuo e in sei battute di melodia. Lo studioso affermò quindi di aver completato il singolo movimento di Albinoni in omaggio al compositore e pubblicò, con il nome del medesimo, il famoso Adagio in Sol minore nel 1958. Il brano entrò velocemente nelle grazie di musicisti, classici e non solo, e, soprattutto, in quelle del pubblico. I Doors lo reinterpretarono nell’album “An american player” del 1978 e potremmo citare altre rivisitazioni, incluse quelle del Rock Progressive. L’Adagio si ritrova persino nelle pubblicità televisive, in tutto il mondo.

Secondo i musicologi, l’operazione di Giazotto rimane, a suo modo, la testimonianza di un falso storico trasformato in grande successo: nel XX secolo, egli sviluppò il frammento di Albinoni completando un’opera secondo le regole – e il gusto – barocco. Il trionfo prosegue anche nel XXI secolo, tanto che il brano è stato di recente utilizzato interamente nella serie televisiva “The assassination of Gianni Versace”. La sua potenza malinconica ed emotiva mantiene intatta la sua forza ed io son certo che Albinoni ringrazierebbe Giazotto per questo omaggio.

MTTD: Grazie, Roberto, per averci presentato questo importante e forse non molto conosciuto compositore italiano e per tutti i dettagli che ci hai fornito sulla sua musica e sulle sue opere. Ti aspettiamo con piacere a Marzo…

RR: Grazie a te Maria Teresa. È stato un piacere anche per me. Alla prossima! 

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About Maria Teresa De Donato

Romana di nascita, dopo aver studiato lingue straniere e giornalismo in Italia, si è trasferita negli USA dove vive da oltre 28 anni ed ha ultimato i suoi studi giornalistici presso l’American College of Journalism e conseguito le lauree Bachelor, Master e Dottorato di Ricerca in Salute Olistica presso Global College of Natural Medicine, specializzandosi in Omeopatia Classica, Ayurveda e Medicina Tradizionale Cinese. Un’appassionata blogger, dal 1995 ad oggi ha collaborato con varie riviste, giornali e periodici in qualità di giornalista freelance. Scrittrice eclettica, olistica e multidisciplinare è anche autrice di numerose pubblicazioni, tra cui due romanzi. I suoi libri sono disponibili su tutti i canali di distribuzione Amazon, librerie incluse.