Il Papa in Iraq come San Francesco
Nel discorso nella Piana di Ur il Papa ripercorre la strada solcata da S. Francesco 800 anni fa
Leggere un discorso del Papa e tentare di farne un articolo, prendere degli spunti per riportarne degli stralci, per coglierne il succo è cosa difficilissima. Si legge e si rilegge il discorso, quello tenuto nella piana di Ur in occasione della visita apostolica, e se ne rimane folgorati. Verrebbe da riportarlo integralmente vista la densità, la delicatezza con cui si sofferma su temi caldi, anzi scottanti, su come affronta ogni punto senza tirarsi indietro su nulla. Una lucidità, una franchezza, una chiarezza di giudizio dis…armanti (e lì non farebbe male…). Essere nel luogo in cui tutto ha avuto inizio, rivendicarne la diretta figliolanza, esaltarne la discendenza senza colpo ferire, con il tremore (quanta meschinità la mia) che possa uscir fuori qualcosa di suscettibile è entusiasmante. Di fronte alla Verità nulla genera tentennamento, figurarsi il Papa, portatore certo, pastore forte, e degno di un popolo comunque vittorioso. “Questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio.”
Un viaggio rivoluzionario allo stesso modo di S. Francesco che, circa 800 anni fa, si recò dal sultano per promuovere pace al di là di ogni presa di posizione politica o militare. Il Papa come il poverello di Assisi; un uomo che si arma delle uniche cose capaci di sconfiggere il mondo: la pace, l’unità, fratellanza in nome di Chi ha dato la vita per il bene del mondo. Questo rende lieti, uniti, legati inesorabilmente ad una stessa origine, il bene. “Contemplando dopo millenni lo stesso cielo, appaiono le medesime stelle. Esse illuminano le notti più scure perché brillano insieme. Il cielo ci dona così un messaggio di unità: l’Altissimo sopra di noi ci invita a non separarci mai dal fratello che sta accanto a noi. L’Oltre di Dio ci rimanda all’altro del fratello. Ma se vogliamo custodire la fraternità, non possiamo perdere di vista il Cielo”.
“Noi, discendenza di Abramo e rappresentanti di diverse religioni, sentiamo di avere anzitutto questo ruolo: aiutare i nostri fratelli e sorelle a elevare lo sguardo e la preghiera al Cielo. Tutti ne abbiamo bisogno, perché non bastiamo a noi stessi. L’uomo non è onnipotente, da solo non ce la può fare. E, se estromette Dio, finisce per adorare le cose terrene. Ma i beni del mondo, che a tanti fanno scordare Dio e gli altri, non sono il motivo del nostro viaggio sulla Terra. Alziamo gli occhi al Cielo per elevarci dalle bassezze della vanità; serviamo Dio, per uscire dalla schiavitù dell’io, perché Dio ci spinge ad amare”.
Ma Bergoglio ne ha per tutti. Incalza: “Da questo luogo sorgivo di fede, …affermiamo che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione …Sopra questo Paese si sono addensate le nubi oscure del terrorismo, della guerra e della violenza. Ne hanno sofferto tutte le comunità etniche e religiose. Oggi preghiamo per quanti hanno subito tali sofferenze, per quanti sono ancora dispersi e sequestrati, perché tornino presto alle loro case. E preghiamo perché ovunque siano rispettate e riconosciute la libertà di coscienza e la libertà religiosa: sono diritti fondamentali, perché rendono l’uomo libero di contemplare il Cielo per il quale è stato creato”.
Il terrorismo, quando ha invaso il nord di questo caro Paese, ha barbaramente distrutto parte del suo meraviglioso patrimonio religioso, tra cui chiese, monasteri e luoghi di culto di varie comunità. Ma anche in quel momento buio sono brillate delle stelle. Penso ai giovani volontari musulmani di Mosul, che hanno aiutato a risistemare chiese e monasteri, costruendo amicizie fraterne sulle macerie dell’odio, e a cristiani e musulmani che oggi restaurano insieme moschee e chiese. “Il grande patriarca ci aiuti a rendere i luoghi sacri di ciascuno oasi di pace e d’incontro per tutti! Egli, per la sua fedeltà a Dio, divenne benedizione per tutte le genti; il nostro essere oggi qui sulle sue orme sia segno di benedizione e di speranza per l’Iraq, per il Medio Oriente e per il mondo intero. Il Cielo non si è stancato della Terra: Dio ama ogni popolo, ogni sua figlia e ogni suo figlio! Non stanchiamoci mai di guardare il cielo, di guardare queste stelle, le stesse che, a suo tempo, guardò il nostro padre Abramo.”
Da dove può cominciare allora il cammino della pace? Dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia.
“Nella storia abbiamo spesso inseguito mete troppo terrene e abbiamo camminato ognuno per conto proprio, ma con l’aiuto di Dio possiamo cambiare in meglio. Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa.”
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