Il ridimensionamento della scuola colpisce la sua funzione primaria
Ormai è decreto attuativo il piano di ridimensionamento della scuola, come già è avvenuto nella Sanità, nella regione Campania come nel resto del Paese. Scuola e Sanità sono da decenni presi di mira dai governi che si sono succeduti negli ultimi decenni, entrambe necessarie di investimenti sostanziosi da dover appunto ridimensionare, perché ritenute spese passive. Un Paese che non investe sul proprio futuro e sul benessere dei suoi abitanti perde sicuramente la bussola. Non si poteva usare parola più appropriata “ridimensionamento” perché di questo si tratta, accorpare scuole con anime e storia differenti solo per il numero di iscritti è ridimensionare la valenza di prossimità di una scuola. Al di sotto dei 900 alunni una scuola deve accorparsi, fare corpo unico con istituti magari distanti, addirittura di altri comuni. La conseguenza è un’unica amministrazione accentrata e distante, come distante dalla didattica è divenuta, negli ultimi anni, la gestione di natura puramente aziendale che è votata a produrre capitale umano. Ed è proprio l’umano ad essere ridimensionato in queste strategie che seguono i dettami dell’economia e non della relazione umana necessaria a un processo di formazione. Da una parte si è voluto perseguire l’autonomia delle scuole, dall’altra questa autonomia non è riconosciuta, forzando unioni di scuole con anime, platee e identità completamente differenti. Sono politiche che disorientano tutti i protagonisti della scuola: docenti, collaboratori scolastici, amministrativi e soprattutto alunni. Quello che viene meno è il senso di comunità, il senso di appartenenza, il senso identitario che fa squadra con un progetto comune. Classi aperte, continui cambi dirigenziali e amministrativi dove il dirigente sempre più spesso mette in atto gestioni gerarchiche e distanti dai reali bisogni. Come capo d’azienda, deve necessariamente accaparrare fondi per sopperire alla mancanza di fondi dello Stato, che eroga somme per il funzionamento sempre più esigue e insufficienti all’organizzazione scolastica basilare. E quindi via ad accaparrarsi bandi per progetti europei con farraginose piattaforme e iter burocratici complessi, che rubano tempo prezioso alle reali necessità di gestione di una realtà che profuma ancora di umanità, di problematiche quotidiane da affrontare giorno per giorno, trascurate per la mancanza di tempo ed attenzione.
Non sarebbe troppo tardi per tornare a una scuola territoriale, uniformando tutti gli istituti in bisogni comuni e necessari al diritto all’istruzione di tutti, anche in quei piccoli paesini con pochi abitanti, dove la scuola è presidio di legalità e di possibilità di una formazione egualitaria. I costituzionalisti del dopoguerra avvertivano la necessità di colmare l’analfabetismo del paese rilevato in altissima percentuale, prevedendo scuole per ogni territorio,ma oggi quell’analfabetismo è emergenziale ancor di più, trattandosi di un analfabetismo emotivo, valoriale, educativo. Si rimpiange il direttore didattico che entrava in classe a vigilare che si praticasse una didattica adeguata e che conosceva i propri ‘iscritti’ uno per uno e non come numero, ma come persona. Il ridimensionamento è l’ennesimo colpo di mannaia a una Scuola ormai avulsa dalla sua funzione primaria: formare il cittadino e il futuro sempre più incerto del nostro Paese.
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