Intervista a Michele Capitani, autore del romanzo Storia del nostro nascondino

Il nostro appuntamento mensile con la rubrica L’autore del mese, dedicata agli autori segnalati dal gruppo Facebook La Casa del Menestrello, oggi è dedicato allo scrittore Michele Capitani, cui porrò alcune domande. Il gruppo Facebook accoglie scrittori e lettori per la divulgazione di opere e la condivisione di opinioni e recensioni, oltre ad organizzare eventi, premi e video-presentazioni ed video-incontri, grazie all’attivismo dell’instancabile Domenico Faniello. Chi volesse leggere le precedenti interviste le trova QUI.

Gentile professor Capitani. Oggi ci dirà qualcosa del suo libro Storia del nostro nascondino, edito da Bertoni ed uscito tre anni fa, nel settembre 2019. Le pongo subito una domanda per inquadrare la sua pubblicazione. Si tratta di un giallo, come la trama lascia intuire, o di un romanzo di formazione, come alcuni indizi lasciano invece pensare?

Si tratta di un romanzo di formazione in cui la trama gialla serve da spunto, in modo da iniziare con una “posta” che il lettore intuisce che potrà mano mano essere rilanciata (uso una nota metafora della narratologia), e ciò è stato utile per mantenere una certa tensione; questo purtroppo sembra, nella narrativa odierna, quasi un obbligo, nel senso che è andata scemando nei più la capacità di leggere un testo profondo e di una certa lunghezza (per non parlare di un periodare che non sia a frasi brevi o brevissime e pieno di “a capo”), perciò una trama gialla, o comunque una trama in cui vi sia netta preminenza dei fatti sui pensieri, sembra obbligatoria per sfamare un lettore mediamente voglioso più di una lettura che distragga e non che prenda nel profondo. Pare che i concetti o li si “passa” coi fatti o non si possano dire: è la schiavitù dello “show, don’t tell”, che ormai non è più né un consiglio né un criterio bensì un rigido dogma; e dove ci sono dogmi, io divento sospettoso… Era un’apparente digressione, in realtà una premessa per dire che anche per questo, almeno per ora, ho pubblicato un solo romanzo.

Capisco perfettamente ed è bene tenere sempre presente che, nonostante le mode narrative, non bisogna fermarsi mai e sperimentare tecniche nuove o già sperimentate per dire ciò che si ha intenzione di dire. Ci sono, però, cose che non si possono raccontare, un concetto questo che traspare dalla presentazione che lei fa del suo libro. Ma, alla fine, lei riesce a raccontarle in Storia del nostro nascondino?

Credo che questa risposta la debbano dare il lettore e la lettrice, ma per quel che mi riguarda io dico di sì: l’antifrasi è un vecchio trucco per lasciar pensare che non si è detto, o si è detto il contrario, mentre si è arrivati esattamente al punto che ci si era prefissati. È chiaro che in un testo di narrativa non si può esprimere troppo didascalicamente, bensì ciò deve passare soprattutto attraverso i personaggi, tramite ciò che essi agiscono, dicono o pensano, e anche quel che non viene esplicitamente enunciato ma si comprende tramite i fatti, gli sguardi, le allusioni…

I “senza fissa dimora”, una presenza di significato nel suo romanzo, occupano, a quanto pare, stabilmente un luogo nel suo vissuto. Ce ne vuole parlare?

Questo riguarda la mia attività di volontariato con persone che vivono per strada; nel romanzo Storia del nostro nascondino hanno una presenza importante innanzitutto perché scuotono e invitano implicitamente la protagonista a uscire da sé, dalle sue abitudini e dalle sue nevrosi; inoltre devo “svelare” che una grande protagonista del romanzo, anche se non tutti ci fanno caso, è la casa, il concetto di abitazione, anche interiore, come luogo ambivalente di sicurezza e di trappola da cui non si riesce a uscire (effettivamente o simbolicamente) anche da adulti. Dunque persone senza casa che si relazionano con un’agorafobica promettevano di far nascere qualcosa di interessante, nella narrazione, e spero che così sia successo.

Grazie di averci svelato questo particolare, da tener presente nella lettura. Nelle altre pubblicazioni, Romanzi non scritti. Drammi e salvezza nelle storie dei senza fissa dimora, Edizioni Dehoniane, (Bologna, 2014) e L’uomo che dribblava i treni. Storie di un’umanità senza fissa dimora, ediz. Paoline (Milano, 2016), ha trattato proprio questo argomento; mentre in Pinocchio Le ragioni di un successo Prospettiva (2010), Il Celacanto, Zona (2011) e, infine, Odissee. Enciclopedia degli aneddoti di viaggio e-book Librinmente (2013) si è spostato dalla letteratura per ragazzi alle poesie ai viaggi. Si è fatto un’idea del suo percorso di scrittore? Come nasce e come evolve, dal suo punto di vista, Michele Capitani?

La risposta un poco paradossale è che per me la scrittura non è stata mai l’attività principale rispetto alle altre; piuttosto ha seguìto, accompagnato o talvolta ha vissuto autonomamente rispetto alle altre esperienze della mia vita, dunque niente di strano se ho esplorato varie forme e modalità. La scrittura è come una stanza in cui le esperienze e le idee trovano posto per essere appoggiate, riordinate ed eventualmente rimandate fuori con un ordine, un senso e una leggibilità, mettiamola così. Uscendo dalle metafore, in generale posso dire che per me scrivere è un modo per fissare, comunicare e condividere, e alle volte ampliare la vita reale; dev’essere per questo che nella narrativa di non-finzione mi trovo più a mio agio (i libri sui senza-dimora, da te menzionati, e i racconti su immigrati, carcerati, ragazze-madri, drogati eccetera, tuttora in uscita mensile su Spaziolibero.blog). Ciò non toglie che anche inventare personaggi e racconti dia soddisfazioni, anche perché narrare il reale e narrare l’inventato presentano molti più punti di contatto che differenze (ma sulle ragioni per cui l’uomo scrive si aprirebbe un discorso immensamente affascinante ma che non è questa la sede per affrontare. Se ti va, ci ritorneremo).

L’ultimo racconto, da te pubblicato nel 2021, (passiamo al tu, concordo) Non speravo di rincontrarti vestita, per Rivista Salmace, invece di cosa tratta?

È appunto uno dei racconti di finzione a cui poc’anzi accennavo: il mondo delle riviste (perlopiù online) offre la possibilità di scoprire molte cose ben fatte, tra cui specialmente di narrativa; anche per questo è stata una soddisfazione venire selezionato per questo e per altri racconti (sulle ottime riviste Salmace e Quartacorda); i successivi sono stati La parola più difficile e Mario e i fiori (tutto peraltro viene messo sul mio profilo Facebook, per chi volesse seguirmi).

Allora ci dici se hai altri progetti editoriali in mente che vuole condividere con noi?

Li condividerei volentieri ma, al momento, pur essendo moltissimi, non c’è niente di concreto per l’immediato futuro. In realtà sto approfondendo sempre più il mondo della meditazione, e scrivere un libro sul silenzio sarebbe in realtà il mio sogno più bello. Hai visto mai…

Grazie per le tue risposte e a presto con un nuovo libro. Hai visto mai…

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About Eleonora Davide

IL DIRETTORE RESPONSABILE Giornalista pubblicista, è geologa (è stata assistente universitaria presso la cattedra di Urbanistica alla Federico II di Napoli), abilitata all’insegnamento delle scienze (insegna in istituti statali) e ha molteplici interessi sia in campo culturale (organizza, promuove e presenta eventi e manifestazioni e scrive libri di storia locale), che artistico (è corista in un coro polifonico, suona la chitarra e si è laureata in Discipline storiche della musica presso il Conservatorio Domenico Cimarosa di Avellino). Crede nelle diverse possibilità che offrono i mezzi di comunicazione di massa e che un buon lavoro dia sempre buoni risultati, soprattutto quando si lavora in gruppo. “Trovo entusiasmante il fatto di poter lavorare con persone motivate e capaci, che ora hanno la possibilità di dare colore e sapore alle notizie e di mettere il loro cuore in un’impresa corale come la gestione di un giornale online. Se questa finestra sarà ben utilizzata, il mondo ci apparirà più vicino e scopriremo che, oltre che dalle scelte che faremo ogni giorno, il risultato dipenderà proprio dall’interazione con quel mondo”.