KAMLALAF. DALLA BOLIVIA IL DIARIO DI VIAGGIO

Arriva dalla Bolivia il diario di viaggio di Arianna Badini, vent’anni, partita alla fine di luglio con ProgettoMondo Mlal nell’ambito di Kamlalaf, il percorso formativo che il Comune di Piacenza promuove ormai da diversi anni con le associazioni del territorio, per sensibilizzare i giovani a esperienze di turismo consapevole e responsabile, favorendo nel contempo la conoscenza dei Paesi in cui operano le nostre realtà umanitarie. Accanto alla referente dell’associazione, Danila Pancotti, insieme ad Arianna c’è anche Federica Nembi, che lo scorso anno aveva visitato, sempre con ProgettoMondo Mlal e Kamlalaf, il Perù e questa volta partecipa in veste di accompagnatrice.

Segue la sua testimonianza.

Siamo partiti a fine luglio per la Bolivia con l’idea di poterla visitare mantenendo un contatto attivo e consapevole con la popolazione e le dinamiche del Paese. ProgettoMondo Mlal ha infatti supportato le comunità locali nella creazione di Tusoco Viajes (Turismo Sociale Comunitario): un’agenzia di turismo responsabile che permette ai viaggiatori di conoscere i progetti solidali e condividere la vita del Paese, approfondendone problematiche e valori.

I primi giorni siamo stati al Parque Nacional Amborò, una riserva naturale dell’Amazzonia Nord orientale che abbiamo raggiunto da Santa Cruz. Il parco ha un’estensione di 430 mila ettari e ospita una biodiversità unica al mondo. Siamo stati ospitati a Villa Amborò, un ecorifugio semplice e accogliente, collocato nella parte della riserva in cui, secondo una precisa regolamentazione, si può costruire e vivere. Augustin, la nostra guida, ci ha permesso di scoprire la foresta, la sua bellezza e unicità, le sue esigenze e problematiche. Le comunitá se ne occupano attraverso turni di pulizia, monitoraggio e mantenimento dei sentieri, per potersi aprire a un turismo rispettoso e consapevole, che possa mantenere vivo l’interesse del parco e delle sue vite, per preservarlo dalla privatizzazione e dallo sfruttamento delle sue risorse.

Dopo tre giorni di foresta ci siamo spostati nel centro del paese per raggiungere, dopo una breve sosta a Cochabamba, l’isolata Chuño Chuñuni. Il paesaggio cambia lentamente durante la notte di viaggio: passiamo per montagne aspre e secche, polverose e deserte. L’ altipiano, a più di 4000 metri, é una terra difficile e arcaica, dove le colture nascono a fatica, le greggi pascolano su mais secco e cactus, anziani e adulti le curano per il sostentamento della comunità, colpita da un forte spopolamento. Per poter pagare gli studi di figli e nipoti nelle città più vicine le donne vendono tessuti artigianali. Ci mostrano i processi di filatura al telaio e come, attraverso la cocciniglia, o con piante e cortecce di vario tipo, tingono naturalmente la lana di pecora, lama e alpaca. Il lavoro unito ai doveri della comunità e della famiglia é interminabile ed estenuante, ma ognuno dei locali lo compie con dignità e orgoglio, sperando che le generazioni future possano continuarlo nella terra natìa.

Il giorno successivo scendiamo verso Sud fino a Uyuni; da qui partiamo per attraversare il Salar e arrivare, dopo chilometri tra la distesa desertica di cristalli di sale e qualche rara isola di pietre e cactus, fino a Santiago de Agencha e, il giorno successivo, ad Alcaya. La temperatura si abbassa, il paesaggio é ancora più difficile, le comunità sono piccole, alcune anche se ormai disabitate sono organizzate in turni che permettano la gestione di strutture e pascoli e l’accoglienza dei turisti. È infatti un  dovere e valore primario per le popolazioni locali il mantenimento delle proprie radici, identità e patrimoni culturali, da poter condividere con chi visita questi luoghi. Tra gli anfratti delle montagne e i greggi di vigogne infatti sono custoditi silenziosamente i resti delle popolazioni pre incaiche, memorie intatte di 4500 anni fa. L’atmosfera é evocativa e dal valore semiotico unico: abitazioni e tombe, tessuti, utensili e ceramiche, resti di quelli che la popolazione locale considera i diretti antenati e dei quali ha mantenuto rituali, abitudini, tradizioni.

Risalendo verso occidente arriviamo a La Paz, che terremo come base per gli spostamenti successivi. La cittá, dopo giorni di luoghi sperduti, sembra ancora più caotica e viva. É domenica, incontriamo Riccardo Giavarini, direttore della casa famiglia “Munasim Kullakita” (“Ti voglio bene sorellina”) di El Alto, città di un milione di abitanti creatasi dall’espansione della capitale. Visitiamo la casa e le 18 bambine e ragazze minorenni tolte dalla prostituzione e dalla tratta di persone. Parliamo con loro e con Riccardo delle loro esperienze e della vita in casa: vanno a scuola, fanno laboratori di gruppo, gestiscono una piccola panetteria e hanno un costante sostegno psicologico e  medico. Le problematiche che devono affrontare sono molte, oltre i traumi passati in famiglia e in strada alcune hanno avuto figli quando erano molto giovani, altre sono vittime di malattie sessualmente trasmesse e la maggioranza é sieropositiva.

Per continuare il percorso una volta compiuta la maggiore età, è stata costruita la “Casa de la Ternura” (Casa della Tenerezza), dove ognuna può vivere gestendosi autonomamente per prepararsi a un futuro nuovo e a una totale indipendenza. Le ragazze, come i ragazzi del carcere di “Qalauma” (“L’acqua che rompe la pietra”) che visiteremo nei giorni successivi, sono il riflesso di una società e politica problematiche che generano danni e soprusi a scapito degli angoli più emarginati di una città e di un Paese che lentamente si muove, con retromarce e delusioni ma anche con piccole speranze e scorci di purezza verso un orizzonte nuovo.

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