La Costituzione a sostegno all’etica pubblica. Il focus di Giuseppe Rocco

L’etica pubblica è un modo di intendere i valori di un paese e di un popolo. Questa definizione liberal radicale è il lascito della rivoluzione francese. Anche negli Stati Uniti sono state elaborate forme di sacralizzazione dell’etica pubblica, come il rito collettivo dell’inno nazionale e i sentimenti rivolti alla bandiera degli Usa.
Secondo Beatrice Magni (1970 UniMi), l’etica pubblica è lo studio dei differenti approcci alla giustificazione delle scelte pubbliche e di rilevanza collettiva sui temi fondamentali del vivere comune. In questa accezione, l’etica pubblica è la disciplina che definisce i criteri della discussione pubblica sulle ragioni per preferire una regola, sui principi utilizzabili nelle politiche, nella legislazione e nelle istituzioni.
Partendo da questi preziosi criteri, l’etica è stata trattata dalla nostra Costituzione agli articoli che vanno dal 41 al 46 e parte dell’art. 99. Anzi è l’unica Carta costituzionale di tutto il pianeta che richiama l’etica. Non a caso la Costituzione italiana viene ritenuta la migliore del mondo.
L’Assemblea Costituente formata da 556 membri eletti in contemporanea al referendum, istituzionale tenuto il 2 giugno 1946 viene insediata il 25 giugno con presidente Giuseppe Saragat. Il partito maggiormente rappresentato era la DC con il 35%, seguito dal PSIUP con il 21%, dal PCI con il 19%, dal PLI con il 7%, dal Partito dell’uomo qualunque con il 5%, dal PRI con il 4% e a seguire da tanti altri partiti con piccole percentuali. Questa articolazione partitica dimostra come la Carta costituzione sia il frutto meditato di un ventaglio di movimenti, a garanzia del popolo italiano. Essa ha come compiti di eleggere il capo provvisorio dello Stato (28 giugno), di votare la fiducia al governo, di approvare le leggi elettorali e i trattati internazionali fino all’entrata in vigore della nuova Costituzione.
Il suo impegno primario era appunto quello di predisporre la nuova Costituzione. Per realizzare questo obiettivo, viene nominata una Commissione di 75 membri, presieduta da Meuccio Ruini, che dovevano predisporre una bozza di Costituzione, da far discutere poi da tutta l’Assemblea. La Commissione si suddivise in tre sottocommissioni: Diritti e doveri dei cittadini; Organizzazione costituzionale dello Stato; Rapporti economici e sociali.
L’art 41 entra nel vivo del problema, affermando che l’iniziativa economica privata è libera; essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
L’art, 42 prosegue, asserendo che la proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. La legge stabilisce le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Indi continua l’art. 43, il quale chiarisce che a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
La genesi dell’art. 45 della Costituzione italiana dedica l’orientamento al riconoscimento e alla valorizzazione dell’impresa cooperativa; un articolo che è eccezionale nel panorama delle Costituzioni europee e mondiali e ha avuto un’influenza strategica nel promuovere e preservare l’impresa cooperativa in Italia. Dopo una breve sintesi della legislazione italiana sulle cooperative precedente il dibattito dell’Assemblea Costituente, verranno analizzati i contributi offerti da coloro che partecipano a tale dibattito e determinano la formulazione dell’art.45 così come è oggi in Costituzione, per apprezzarne meglio il significato e il ruolo.
I beni economici possono essere oggetto di proprietà privata, cooperativistica e collettiva. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato. Cosa importante nel processo produttivo, la legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato.
L’art. 46 eleva l’attività economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
Infine l’art. 99 istituisce Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. È organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l’iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge.
Nella riflessione classica, da Aristotele a Tommaso d’Aquino intorno all’agire umano, due sono le forme di attività umana che vengono distinte: l’azione transitiva e l’azione immanente. Mentre la prima connota un modo di agire che produce qualcosa al di fuori di chi agisce, la seconda fa riferimento ad un agire che ha il suo termine ultimo nel soggetto stesso che agisce. In altro modo, la prima forma di agire cambia la realtà in cui l’agente vive; la seconda cambia anche l’agente stesso. Ora, poiché nell’uomo non esiste un’attività talmente transitiva da non essere anche sempre immanente, ne deriva che la persona ha la priorità nei confronti del suo agire e quindi del suo lavoro.
Si può ricorrere alla seguente asimmetria tra capitale e lavoro. Mentre la proprietà dei beni capitali può essere trasferita da un soggetto all’altro, la capacità di fornire lavoro è inalienabile. Consegue da ciò che un’impresa può ottenere i servizi di capitale di cui abbisogna sia da una stock di beni di sua proprietà sia da un flusso di servizi ottenuti da beni presi a prestito o acquistati. Il lavoro umano, invece può essere ottenuto solamente nella forma di un flusso di servizi, dato che non esiste lo stock di lavoro, se non in una società schiavistica.
Ciò sta a significare che è il rapporto sbilanciato di potere e autorità che discende dalla fattispecie del contratto di lavoro subordinato che va corretto in radice. Relativamente al caso italiano, è degno di attenzione il fatto che, a far tempo da inizio secolo, è iniziata una nuova fase su tale fronte, come attesta la dichiarazione comune di CGIL, CISL, UIL del 14 gennaio 2016 col titolo “Un moderno sistema di relazioni industriali”. La partecipazione – vi si legge – deve essere organizzativa, economica, di governance. Due anni dopo, nel “Patto per la fabbrica” del 9 marzo 2018 – patto siglato anche da Confindustria – si rileva che la valorizzazione di forme di partecipazione nei processi in cui si definiscono gli interessi strategici dell’impresa, è un’opportunità preziosa che non può essere persa. Infine, il contratto collettivo dei metalmeccanici del 2021 muove un ulteriore passo avanti, prevedendo la nascita di un “Comitato Consultivo di partecipazione, a composizione paritetica”, nel cui ambito sindacato e direzione aziendale si confrontano sull’andamento economico e occupazionale dell’impresa e sulle sue scelte strategiche, in materia anche organizzativa. Sono questi (e tanti altri) segnali che indicano come ci si stia muovendo, sia pure lentamente verso il pieno riconoscimento della “superiorità dei diritti fondamentali della persona rispetto alle ragioni dell’economia”.
Ebbene, si dimostra che il modello della coordinazione non scongiura affatto il rischio dell’incoerenza psicologica e quindi il rischio dell’inefficienza organizzativa. Il modello della cooperazione invece offre una tale garanzia perché esso concede ai lavoratori quella discrezione decisionale che è necessaria per adattarsi alle circostanze locali. L’adattamento infatti richiede
sempre l’uso di informazione locale associata ad un particolare compito; informazione che appartiene esclusivamente al lavoratore adibito a quel compito. E’ ormai risaputo che, date le caratteristiche dell’attuale traiettoria tecnologica, uno dei problemi centrali dell’impresa moderna è quello di come adattare reciprocamente il disegno organizzativo e la struttura produttiva e ciò allo scopo di sfruttare al meglio le complementarità potenziali tra le risorse. E rispetto a tale problema il modello della cooperazione si dimostra decisamente superiore a quello della coordinazione.
Accanto alle speranze e i tentativi di consolidamento dell’etica, stanno emergendo fenomeni che iniettano veleni in questo campo. L’andamento internazionale che ha determinato la globalizzazione di tutto e in particolare dell’economia, mentre ha armonizzato i flussi di notizie e di scambi, nel contempo ha comportato due elementi gravi di perturbazioni. Il primo è rappresentato dal feticismo del mercato finanziario, fenomeno che devasta l’economia, in quanto ha fatto lievitare la finanza (composta di carte) a svantaggio dell’economia reale e produttiva (composta di beni e servizi). Il ricorso all’indicazione del feticismo, ricorda il passato tribale di adorazione a cose al di fuori di Dio.
Il secondo elemento negativo riguarda l’efficientismo selvaggio, il quale ha sofisticato i lavori rendendoli eccessivamente produttivi, al fine di aumentare i profitti. I guadagni dei capitalisti sono garantiti, ma il trattamento dei lavoratori subisce un declassamento, rendendo questi a semplici pedine sfruttate e richiamando la nota problematica marxiana dell’alienazione del lavoro.
Controllare la globalizzazione in toto non è possibile, ma contenere i danni certamente, ripulendo la Borsa valori ove avvengono le contrattazioni dei titoli e l’aumento sconcertante del numero delle operazioni; alcune di queste sono rappresentate dai derivati, titoli dipendenti da altri titoli a guisa di scommesse. Su queste si può intervenire e rilanciare la Borsa valori nei suoi contenuti nobili, di allocazione delle risorse verso i settori ad alto rendimento (e non a vantaggio dei manipolatori finanziari).
Più grave appare la contaminazione dell’efficientismo selvaggio nelle file di questo ultimo governo, i cui rappresentanti sono stati colti da una perversa retorica e inneggiano al lavoro precario, nella sciagurata concezione di salvataggio delle aziende. La garanzia del posto di lavoro è un affidamento di speranze, un riconoscimento della dignità personale e un rispetto dell’etica. Non riconoscerlo appare falso, strumentale e nemico della civiltà. Non credo che l’art. 1 della Costituzione italiana quando sancisce che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” intenda attività precarie!
Un grido di allarme è venuto dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che all’assemblea della Confindustria nel settembre del 2023 ha dichiarato di porre dei margini al capitalismo di pirata, che cerca concentrazioni e tende ad aumentare il profitto. Parliamo del modello classico che eleva a divinità l’efficientismo selvaggio.
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