La Kick Boxe di Michele Ranucci e Carmine Genovese

La ricerca di giovani promesse sportive di wwwitalia.eu mi conduce alla palestra Freedom di Avellino per incontrare il Maestro di Kick Boxe Michele Ranucci con il suo allievo Carmine Genovese.

Michele Ranucci è 5° Dan dal 2009.

La Kickboxing prevede, infatti, il 1° di cintura nera che equivale alla qualifica di allenatore, il 2° Dan che vale la qualifica di istruttore mentre con il 3° si consegue la qualifica di Maestro che consente di poter diventare il responsabile tecnico di una propria ASD.

Michele Ranucci insegna da 28 anni.

Ho visto poco fa al termine del loro turno uscire dei bambini piccolissimi. Lei ha una carriera lunghissima.

Qual è la sua esperienza con i ragazzi?

Nella mia lunga esperienza ciò che ho notato è il cambio di atteggiamento nei confronti di questa disciplina, che io intendo proprio come una forma di arte marziale anche se è un’arte marziale moderna, e cioè l’abbandono dell’idea che fosse uno sport un po’ estremo, violento, diseducativo. Mi sono da sempre battuto e speso affinché le persone si togliessero questa idea dalla mente perché la violenza non dipende da che tipo di sport si pratichi, perché violento può essere anche un giocatore di scacchi. Mentre, invece, anche se c’è un minimo di contatto fisico in uno sport in cui magari si può graduare l’ intensità fino ad arrivare al contatto pieno, questo può avere dei valori che possono essere tranquillamente inseriti, appunto, nel contesto educativo e di crescita di un bambino. Non è stato semplice inizialmente dover trasmettere questa idea. La fortuna è stata che avendo io tanti anni di esperienza di palestra all’attivo ho iniziato ad avere i figli di quei ragazzi che quasi 30 anni fa erano miei allievi e quindi con loro, che mi conoscevano e si fidavano completamente, è venuto fuori questo gruppetto di piccolissimi allievi.

Secondo lei che cosa piace ai ragazzi di questa disciplina? Perché la scelgono?

Di fondo io credo che ci sia sempre nella scelta di uno sport di un bambino l’invito da parte dei genitori. Magari, invece, per l’adolescente che si rivolge alle arti marziali in generale, può esserci di base un minimo di voglia di miglioramento fisico e del senso di insicurezza e  timidezza. Scegliere un’attività che fa intraprendere, in modo più o meno consapevole, un percorso teso alla conoscenza di se stesso e poi vincere tante piccole paure che possono essere anche quelle di doversi scontrare, seppur ad un livello amatoriale, o anche semplicemente quella di incrociare qualcuno e ricevere un colpo, aiuta nella crescita non solo fisica ma anche psicologica e caratteriale.  

Chiaramente la forma di allenamento che viene proposta ai bambini è completamente diversa perché è basata soprattutto sulla psicomotricità; è una forma ludica di avviamento alle arti marziali perché non mi interessa creare il campioncino a 12 anni che poi diventa un adulto che odia lo sport perché lo ha vissuto in modo estremamente rigido. Quindi si può dire che quasi non  propongo l’attività agonistica ai bambini di età inferiore ai 12 anni. Preferisco che si divertano e che amino fare quello che fanno. Poi se diventano anche campioni sono contento.

Tramite il divertimento i bambini, in ogni caso, imparano una disciplina, devono comportarsi in un certo modo,  perché se lasciati a loro stessi in una palestra tendono a sfogare la loro vivacità rischiando anche di farsi male. Quindi come affrontano l’insegnamento?

Bisogna canalizzare le loro energie. Far divertire un bambino è facile  però è necessario trovare gli elementi giusti in modo da farlo divertire avviandolo ad un’attività sportiva così che diventi consapevolmente formativa. L’aspetto educativo rientra nel contesto del gioco e dello stare in gruppo; è conseguente perché se devi giocare con altri cinque bambini è necessario stabilire delle regole e rispettarle. È chiaro che un bambino di 4 anni fa fatica perché è ancora in una fase di gioco egoistico ma fa parte della crescita, viene naturale. Quello che magari può risultare più complicato è proprio l’apprendimento di tecniche specifiche delle arti marziali  ma questo viene sempre in relazione all’età.  Piuttosto che un bambino di 6 anni che sa fare una tecnica di calcio precisa ma che poi non sa rotolare, saltare e correre preferisco ottenere un calcio meno preciso ma che impari a fare altre attività perché è questo che ci hanno insegnato alla scuola dello sport e all’Università. È necessario dare degli elementi di motricità di base, i famosi schemi motori, che poi saranno utili nella sua vita di relazione a prescindere dallo sport che farà.

Vengono anche le bambine?

Si, vengono anche le bambine e, in realtà, loro sono quasi sempre più concentrate e riescono più a focalizzare mentre, invece, i bambini sono un po’ più esuberanti e meno attenti.

La kick boxe prevede anche delle gare. Come sono organizzate? Lei, come sceglie chi presentare a una competizione?

La prima distinzione è che c’è una kickboxing che si fa fuori dal ring senza contatto fisico e ,quindi, senza possibilità di KO. Questo è uno sport molto più praticato e praticabile; chiaramente ci sono dei  rischi di incolumità fisica pari a qualsiasi attività sportiva.

Diverso, poi, è il discorso degli sport da ring. In tal caso l’atleta deve sapere che può vincere ma anche perdere per KO. In questo caso c’è, almeno teoricamente, una maggiore incidenza agli infortuni.

Questa distinzione già fa una certa selezione. Io consiglio sempre a tutti di fare attività agonistica leggera per un primo approccio e già molti la scelgono.

Per il  contatto pieno mi devono convincere al 100% di uscire dal ring giocandosela. Poiché il rischio c’è mi sentirei troppo responsabile di una loro sconfitta e delle sue conseguenze. Quindi, solo quando sono effettivamente pronti combattono sul ring.

Entrambi i livelli comprendono una fase regionale, poi i campionati nazionali di serie C,B e A e il professionismo. Io ho avuto la fortuna di essere campione nazionale di ring nel 1997 dopodiché c’è stato un buco lunghissimo in cui ci sono stati ragazzi che hanno gareggiato arrivando a buoni risultati a livello nazionale e poi, finalmente, a Febbraio un mio allievo, Giuseppe Ciampa,  dopo aver compiuto tutto il percorso, ha fatto sei match e ha vinto il titolo italiano a Rieti.

È stata una soddisfazione enorme per me che sognavo di vestire il tricolore anche da tecnico.

Al momento lui ha ricevuto proposte importanti non solo in Italia e le sta valutando.

E lei rimarrebbe sempre il suo allenatore?

Si, certo. Attualmente lui si allena due volte a settimana a Grottaminarda con il suo gruppo e una volta con me perché anche lui è allenatore e svolge lì la sua attività.

Prima lei lo ha accennato anticipando la mia domanda. Molti giudicano le arti marziali come violente. I bambini, i giovanissimi, come parano i colpi, imparano prima a difendere o ad attaccare?

Anche in questo caso dobbiamo sempre diversificare il bambino dall’adolescente e l’adulto che indossano, sia in allenamento che in gara,  dei guantoni, delle protezioni e dei calzari. Il professionismo, chiaramente, ha meno protezione.

Tornando alla domanda, se la vedi come esternazione della forza fisica va bene ma la violenza è un’altra cosa. La forza di combattere c’è, e siamo d’accordo, ma la violenza no perché chi è sul ring sa di avere di fronte un avversario che è un suo pari in peso, forza e voglia di vincere. Negli altri sport esistono comunque i falli e spesso vengono commessi quando, magari, l’arbitro non guarda.

Nel caso dei bambini la tutela è ancora maggiore perché indossano anche un caschetto come quello della scherma.

Tornando al ragazzo di 12-13 anni. Se si trovasse a litigare, secondo lei, di impulso, sarebbe portato a utilizzare ciò che ha imparato in palestra?

Sicuramente qualsiasi persona che pratica arti marziali se si trova in difficoltà le usa. Normalmente arrivano in palestra persone convinte di imparare per poi portare in strada ma durano poco. Presto si rendono conto che è tutto il contrario di quello che pensavano: cioè andare in palestra, imparare a picchiare e portare in strada. Ciò che trovano è lavoro duro, fatica e sudore e non ho neanche necessità di cacciarli via perché se ne vanno da soli. Non arrivano mai a termine. Il bullo non si ispira a quel modello di vita, rigido e pieno di regole.

Attualmente lei insegna solo qui?

Si ma con la mia associazione, che fa parte della Federazione Italiana ed è riconosciuta dal CONI, abbiamo altre tre sedi: una è a Grottaminarda con Ciampa, una ad Atripalda dove insegna Roberto Capozzi e un’altra che sta ad Aiello con Mario Preziosi. Sono tutti istruttori miei allievi a cui io faccio da supervisore.

Dopo le eloquenti informazioni datemi dal M° Ranucci, incontro il suo allievo Carmine Genovese di 17 anni il quale a febbraio 2018 si è classificato secondo in finale alle interregionali Sud Italia.

Inizio a parlare un po’ con lui e mi racconta che per lui praticare Kickboxing non è assolutamente sinonimo di “fare a botte”.

Ha iniziato ad allenarsi all’età di otto anni praticando Taekwondo e a 15 anni ha iniziato Kickboxing. Sin da quando era bambino gli piacevano gli sport da combattimento e, in particolare, i colpi calciati.

Riguardo l’affrontare le gare inizialmente si sente un po’ teso e chiede a se stesso se ce la farà o meno. Poi, salito sul ring, cerca di fare del suo meglio per vincere.

Mi racconta che di fronte a lui non c’è un nemico ma un ragazzo come lui che ha il suo stesso obiettivo: vincere.

Prima delle gare aggiungono delle sedute in più rispetto al solito allenamento che consiste in corsa, tecniche allo specchio, parte tecnica di pugni e calci e, infine, lo sparring cioè il combattimento.

Chiedo a Carmine come si coniuga l’impegno scolastico con quello sportivo agonistico e lui mi risponde che la scuola premia chi pratica agonistica con crediti e assenze giustificate.

La chiacchierata con Carmine si conclude con la sua speranza che i sacrifici di oggi lo portino ad arrivare il più in alto possibile, magari agli europei e ai mondiali.

È sicuramente quello che gli auguro io ringraziandolo per la sua disponibilità e facendo i miei più sinceri complimenti al M° Michele Ranucci che lo porterà lontano.

Maria Paola Battista

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About Maria Paola Battista

Amo ascoltare, leggere, scrivere e raccontare. WWWITALIA mi dà tutto questo. Iniziata come un’avventura tra le mie passioni, oggi è un mezzo per sentirmi realizzata. Conoscere e trasmettere la conoscenza di attori, artisti, scrittori e benefattori, questo è il giornalismo per me. Riguardo ai miei studi, sono sociologa e appassionata della lingua inglese, non smetto mai di studiare perché credo che la cultura sia un valore. Mi piace confrontarmi con tutto ciò che è nuovo anche se mi costa fatica in più. Attualmente mi sto dedicando alla recensione di libri e all'editing. Ho scritto, inoltre, diverse prefazioni a romanzi. Grazie ai lettori di WWWITALIA per l’attenzione che riservano ai miei scritti e mi auguro di non deluderli mai. mariapaolabattista@wwwitalia.eu