Napoli, bombe e solidarietà. La Sartoria di via Chiatamone di Marinella Savino, pp.176, Nutrimenti, 2019
Prima opera per la scrittrice napoletana, che oggi vive a Roma, La sartoria di via Chiatamone narra la storia del laboratorio più in voga della Napoli bene degli anni ‘30 e ‘40. Finalista al Premio Calvino 2018. il volume è stato pubblicato da Nutrimenti lo scorso gennaio.
Napoli sotto le bombe sganciate dagli inglesi e dagli americani, prima da nemici poi da alleati, registra l’immane tragedia di chi perde la casa, l’attività, la vita. La sartoria di via Chiatamone continua a sfornare abiti per le ricche signore, mentre Carolina, la proprietaria, sfodera la sua grinta per combattere una guerra personale: quella contro la fame. L’inarrestabile protagonista del racconto teme solo, infatti, che finiscano le provviste alimentari ma tiene a bada l’incombenza del pericolo grazie a una parossistica lungimiranza e alla volontà di portare tutta la famiglia viva fuori dalla guerra.
E a tratti sembra di sentire parlare Pupella Maggio, grande interprete delle commedie di Eduardo, mentre la vita da manicomio, che a un certo punto della guerra coinvolge la famiglia, allargatasi suo malgrado, viene sottolineata dall’odore intenso del caffè napoletano servito con quell’ombra di zucchero dispensato “con tre dita, come il sale”, prezioso come l’oro.
Risolutezza, dignità, fede e filosofia dalla penna della brava Marinella Savino danno forma a uno spaccato di vita ai confini, in bilico tra la vita e la morte di madri, padri, fratelli, figli che devono accettare il loro destino ma che, grazie alla madre di famiglia, sfuggono all’orrore e alla disperazione.
La sensibilità dimostrata dall’autrice nel tracciare i sentimenti dei personaggi aiuta ad entrare in sintonia con essi e il libro, nonostante l’uso prezioso del dialetto partenopeo rallenti necessariamente il ritmo della lettura, va giù tutto d’un fiato. Confesso che alcuni passaggi mi hanno coinvolta fino alla commozione.
Ripercorrere la storia d’Italia in un periodo così difficile come quello del nazifascismo e della guerra è sempre difficile, ma lei ci è riuscita nel modo più naturale: narrando la vicenda che visse la famiglia di Carolina e la sua sartoria e facendo riferimento alle memorie di suo padre.
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