Nomadland. Un sogno americano incerto

Basato sull’omonimo libro di Jessica Bruder, “Nomadland” è un film del 2020 scritto, diretto, co-prodotto e montato dalla regista Chloé Zhao ed è interpretato da Frances McDormand nel ruolo di Fern.

Il film inizia con la fine di ‘Empire’, una città in Nevada costruita dalla USG company, città che cessa letteralmente di esistere con la fine delle attività estrattive presso la miniera di gesso locale e con la chiusura dell’annessa fabbrica di cartongesso.

Fern, rimasta vedova, acquista un furgone bianco che battezza con il nome di “Vanguard” e personalizza con una zona notte, una zona cottura e uno spazio di archiviazione per i pochi ricordi della sua vita precedente.

Fern e Vanguard si uniscono a una tribù in movimento, una sottocultura di americani itineranti che con i loro veicoli si spostano da uno stato all’altro in cerca di lavoro e nuove opportunità. Vite instabili in una nazione instabile, dunque, all’interno dei confini degli Stati Uniti. Vite che contraddicono in maniera critica e politica il sogno americano.

Fern e i suoi amici, infatti, sono uniti tanto dall’esperienza del lutto quanto dallo spirito d’avventura e molte delle storie che condividono sono storie di perdita e di dolore.

Il film, che segue gli sviluppati della Grande Recessione, enfatizza gli sconvolgimenti economici e la frammentazione sociale che spingono persone come Fern – di mezza età o anziani – della classe media, a vivere on the road.

Tutte queste soggettività, scosse dalla disoccupazione, da matrimoni interrotti, dal crollo dei valori degli immobili e dalla perdita delle proprie pensioni, lavorano lunghe ore nei magazzini di smistamento dell’azienda Amazon durante le vacanze invernali e nei parchi nazionali nei mesi estivi.  

Fern, dunque, riesce con la propria storia a mettere sulla scena la dissezione del sogno americano, la cruda realtà economico-culturale che scioglie e scinde i legami sociali e apre le porte alla disperazione, schiacciando queste soggettività sotto il peso dalla crescente disuguaglianza.

Nomadland porta in scena l’esperienza dei nomadi moderni, i quali con un passato doloroso e un presente privo di speranze restano riluttanti nell’abbracciare qualsiasi tipo di futuro.

Il film ha vinto il Leone d’oro alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il Golden Globe per il miglior film drammatico e per la miglior regista, oltre a tre Premi Oscar, rispettivamente per il miglior film, la miglior regia e la migliore attrice protagonista.

Nonostante i numerosi premi e riconoscimenti, Nomadland ha ricevuto diverse critiche per la rappresentazione dei magazzini Amazon e a come le pratiche di lavoro dell’azienda siano state ignorate.

All’interno del film non c’è nessuna condanna diretta all’impero di Bezos, questo piuttosto diviene un elemento utile per commentare e problematizzare il problema più ampio relativo all’abbandono di ampie fasce di persone da parte del capitalismo americano. Le condizioni di lavoro offerte da Amazon sono dunque un complesso sintomo di ciò che è accaduto, sintomo sul quale è necessario operare una riflessione critica e di cambiamento.

Il cambio scena, che in maniera tagliente e potente mette in circolo questa narrazione e che muove alla riflessione, prende vita nel passaggio subitaneo e brusco che cattura Fern, libera e a braccia protese verso l’oceano in tempesta con Fern rinchiusa nell’immenso magazzino della compagnia americana, intenta a trascorrere ore a inscatolare prodotti in cambio di pochi dollari. La macchina da presa cattura in maniera sapiente e dolorosa la libertà e la prigionia in uno scatto che dura pochi secondi ma che riesce a durare lungamente nel tempo e nello spazio personale dello spettatore.

Fern, inoltre, sceglie di indossare un ‘guscio duro per non essere più ferita dal mondo ma, nonostante questo, non c’è nessuna rivalsa finale, nessuna vittoria. Mentre si siede nei campi e lavora sul suo amato furgone, potrebbe essere chiunque, Fern potremmo essere noi.

Chloé Zhao ci mostra, in maniera magistrale, tragica e semplice, il costo umano che esiste dietro la ricchezza di pochi e la forza che ci vuole per sopravvivere, resistere e andare avanti.

In compagnia di Fern, e attraverso i suoi occhi e le sue orecchie, si scopre un nuovo paese, un luogo molto più reale di quello che ci appare negli spot o sulle riviste, un mondo crudo che esiste e resiste, lontano dallo scintillio delle narrative dominanti.

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About Marianna Spaccaforno

Laureata in Scienze Filosofiche presso L’Università di Napoli “Federico II”. Ha conseguito un Master in studi Politici e di Genere presso l’Università di Roma “Roma Tre”. La sua formazione e le ricerche svolte in ambito accademico, l’hanno portata a interessarsi a tematiche connesse alla tutela dei diritti umani e ambientali. E’ impegnata in diversi progetti che si occupano di tutelare le soggettività marginalizzate. Lettrice appassionata, si definisce creativa e curiosa.