Oggi la parola è Hiraeth

281 milioni i migranti a livello globale, secondo il Rapporto Mondiale sulle Migrazioni 2024, presentato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, a cui si aggiungono 117 milioni di persone che fuggono per conflitti, violenze, disastri. 6.134.100 i maggiorenni italiani residenti all’estero con diritto di voto, come mostrano i dati pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale, aggiornati al 31 dicembre 2023 per la predisposizione delle liste elettorali. Con questo nuovo articolo, esploriamo un nuovo intraducibile: hiraeth.
Si tratta di un sostantivo gallese, considerato un intraducibile poiché non ha un corrispettivo diretto che permette di renderlo nella nostra lingua. Hiraeth è una sensazione, quella della malinconia, della nostalgia per un luogo in cui non è possibile tornare. Un luogo che forse neanche è mai esisto; è il rimpianto per quei posti perduti del passato. Migranti in cerca di fortuna, di speranza, di casa, con lo sguardo rivolto al futuro e il cuore nel passato.
Foscolo, come tanti altri autori, è legato da sempre a Zante, sua isola natale e le dedicherà un componimento (A Zacinto), uno dei più celebri, affrontando il tema dell’esilio e di quell’amara consapevolezza, mista al ricordo nostalgico della propria terra, di chi è condannato a “un’illacrimata sepoltura”.
Anche quando l’abbandono non è imposto, ma, a volte, è fortemente desiderato, il legame affettivo con la terra che ci ha dato i natali è indissolubile. Parla di noi, da dove veniamo e, in parte, di chi siamo. Ed ecco che, fuggendola, la si impara a guardare con occhi diversi e si è colpiti da quella sensazione dolce-amara descritta dal sostantivo gallese. Cesare Pavese in La luna e i falò racconta attraverso la voce di Anguilla proprio della malinconia di chi ha dovuto lasciare il proprio paese e, in un certo senso, lo riscopre. Aperto alla vastità del mondo da scoprire da vivere, il protagonista realizza che un paese, il proprio paese, è un punto fermo nella vita, come una famiglia, lì ad aspettarti ad accoglierti, anche quando lo avrai lasciato, e quando ne sentirai la nostalgia capirai che “un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo”.
Ma hiraeth non è solo nel cuore di chi va. Quel desiderio di ritornare in luoghi, in momenti che non sono più nostri è anche di chi deve lasciare andare, restando. Mariagrazia, protagonista di L’altro figlio di Pirandello, vivrà la partenza dei suoi figli come un dolore immenso, una ferita insanabile per la quale non può far altro che scrivere lettere su lettere, con l’aiuto della signora Ninfarosa, nella speranza che prima o poi tornino da lei, restando legata a un tempo che fu e ormai non è più, se non nei suoi ricordi.

Il pazzo di Pollica di Dario Vassallo, edito da Edizioni Il Papavero, riporta il lettore proprio ai tempi dell’emigrazione. Quando giovani e padri di famiglia erano costretti a lasciare il proprio paesino per trovare fortuna all’estero, in quelle terre lontane ma ricche di speranza. Peppino, emarginato dai compaesani per la sua intelligenza, parte però per scoprire anche un po’ se stesso, per darsi la possibilità di mettere a frutto i suoi studi e le sue capacità, per cogliere occasioni che la sua terra non avrebbe potuto dargli. Lì, in America, realizzerà i suoi sogni, troverà il successo e l’amore. Eppure, la sua terra, la sua famiglia, le sue radici le porterà sempre nel cuore, avvolte dalla malinconia, e, tra colpi di scena e un’avventura che potrebbe essere d’ispirazione a molti, torna lì dove tutto è iniziato.
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