Parole e violenza: la denuncia della giornalista Titti Festa
AVELLINO – Dura denuncia della giornalista Titti Festa, volto noto dell’informazione sportiva irpina.
“Da anni – ha denunciato pubblicamente Festa – sono subissata dai commenti e dalle ingiurie sessiste che un collega pubblicista mi rivolge attraverso i social. L’ho denunciato più volte per stalking ma la giustizia stenta a fare il suo corso. Ho ricevuto la solidarietà dei colleghi e dell’Ordine dei Giornalisti della Campania ma quest’uomo continua impunemente con la sua violenza verbale inaccettabile, a cui si aggiungono i commenti inqualificabili di alcuni suoi sostenitori. Il mondo del calcio è già profondamente maschilista per cui una donna deve lavorare il doppio per dimostrare la sua professionalità. Ma è ancora più grave che questi insulti vengano da un collega. Sono molto stanca, mi rivolgo a chi di competenza affinchè vengano presi provvedimenti seri nei confronti di quest’uomo.”
La denuncia è giunta al margine del corso formativo-deontologico organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Campania tenutosi stamane presso il Circolo della Stampa di Avellino incentrato proprio sulla violenza di genere. A moderare l’incontro il Presidente Ottavio Lucarelli.
A partire dal Manifesto di Venezia la discussione è stata incentrata sul ruolo fondamentale che gli operatori dell’informazione e della comunicazione hanno nel trattare fatti di cronaca sulla violenza di genere.
“Solo a partire dal 1975 – ha spiegato l’avvocato Bianca Maria d’Agostino – l’ordinamento giuridico riconosce alla moglie gli stessi diritti del marito. Precedentemente il marito era considerato il capo della famiglia che provvedeva ai bisogni della moglie e dei figli, quasi come se fossero di sua proprietà. Questo retaggio culturale, purtroppo, è presente ancora oggi in alcune realtà. I femminicidi infatti avvengono lì dove la donna osa fare delle scelte autonome e dirompenti. La violenza di genere è la reazione dell’uomo alla percezione dell’insubordinazione della donna. I giornalisti non devono chiamarli “delitti passionali” perché la passione è un sentimento positivo mentre l’omicidio viene da istinti primordiali. Così come la parola “raptus” è inappropriata in quanto è tipico di soggetti con patologie, non di una persona normale. Bisogna evitare parole che giustifichino l’oppressore e colpevolizzino la donna. Occorre invece fare riferimento ai centri antiviolenza per debellare il fenomeno, raccontare la vicenda per intero e non soffermarsi su particolari pregiudizievoli come l’abbigliamento della vittima.”
All’incontro è intervenuta anche la dottoressa Rosaria Bruno, Presidente dell’Osservatorio sul Fenomeno della violenza sulle donne del Consiglio regionale della Campania. Dopo aver illustrato i numeri della violenza di genere in Italia e nel mondo, che vedono nel nostro Paese 3000 omicidi in 19 anni e circa 2000 orfani di donne uccise, ha fatto il punto sul ruolo che l’Osservatorio svolge nella rete degli operatori preposti a contrastare il fenomeno.
“La violenza domestica rappresenta il 70% della violenza di genere – ha commentato Bruno – e arriva in maniera subdola, quasi inconsapevole da parte della donna che tende a restare con il proprio partner violento per proteggere i figli e perché economicamente non autonoma. L’ Osservatorio fa azione di prevenzione, monitoraggio, educazione e sensibilizzazione ma spesso questa attività educativa contrasta con ciò che passa attraverso i mezzi di comunicazione che devono invece avere una funzione di supporto.”
Alessandra Malanga, addetta stampa dell’Azienda Ospedaliera Moscati di Avellino, ha messo in evidenza come spesso sia proprio il Pronto Soccorso il primo luogo di accoglienza delle donne vittime di violenza sottolineando la necessità di formare gli operatori sanitari. Rivolgendosi poi ai colleghi giornalisti li ha invitati ad usare sempre il buonsenso nel trattare casi di violenza.
Anche l’Arma dei Carabinieri, dopo l’introduzione, nel 2009, di pene più severe per il reato di atti persecutori ha istituito una sezione speciale per i reati di genere, dove quasi sempre i militari sono laureati in psicologia.
“Accogliamo le vittime in una sala protetta – ha illustrato il maresciallo del Comando Provinciale di Avellino, Francesca Bocchino, specializzata nel trattare questo tipo di reato – arrivano spesso in tarda serata, dopo l’ennesimo episodio di violenza, accompagnate dai figli minorenni. Il primo passo è quello di conquistare la fiducia della vittima, bisogna togliersi la divisa e ascoltarla, abbracciarla. Poi occorre spiegarle l’iter successivo alla querela perché il persecutore venga immediatamente iscritto nel registro degli indagati. Per fare questo ci vuole tempo anche tutta la notte se necessario. Bisogna poi tutelare la vittima mettendola in contatto con i centri antiviolenza del territorio, molto attivi qui ad Avellino, e pensare anche agli aspetti civili di un eventuale processo che potrebbero ritorcersi contro la vittima. L’allontanamento da casa con i figli infatti può essere considerato un reato per cui bisogna garantire al padre almeno la possibilità di sentirli. I centri antiviolenza garantiscono un legale in maniera gratuita per cui le donne non devono preoccuparsi degli aspetti economici. In caso di necessità, se siete vittime di un episodio di violenza o ne siete testimoni, anche se è solo un sospetto, abbiate il coraggio di denunciare. Basta chiamare il numero 1522 e avrete tutte le indicazioni necessarie.”
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