Perfezione

Oggi, racconteremo di un mito, quello dell’uomo che, più o meno inconsapevolmente, naviga nella tempesta dei giorni frenetici, per raggiungere la meta tanto ambita della società della performance: la perfezione.

Il termine deriva dal latino perfectio -onis, derivato a sua volta di perficĕre, ‘compiere’,ovvero lo stato di ‘ciò che è portato a compimento’. Oggi, la perfezione indica qualcosa o qualcuno che è fatto “nel migliore dei modi possibili, tale che nel suo genere non si possa immaginare niente di meglio” (Perfezione).

Ricorda, il termine, una ricerca costante, quell’idea, spesso deleteria, che ci spinge a volerci modificare, a voler eliminare ogni difetto e tutto ciò che viene considerato come imperfezione, termine che non potrebbe non essere chiamato in causa nell’affrontare la tematica. Il fenomeno sembrerebbe essersi ulteriormente amplificato con l’avvento delle tecnologie e dei social, una vetrina che non ammette sbagli o difetti, che si parli del proprio lavoro, della propria forma fisica, della vita in generale, o del nostro stato d’animo. È “l’epidemia odierna”, come l’ha definita nel 2019 la psicologa Erica Benedetto, una tendenza che è causa di una sempre più grave sofferenza, soprattutto tra i giovani (L’epidemia odiera: i perfezionisti nevrotici e inconsapevoli).       
Eppure,  nonostante quello della perfezione sia un concetto ripreso in numerose discipline, come la matematica, la fisica o la chimica, nel nostro quotidiano non esiste uno strumento tecnico, un parametro oggettivo che possa dirci, con certezza matematica, cosa possa avvicinarci alla perfezione, perché quest’ultima non è nient’altro che un costrutto sociale, legato a una delle necessità individuate nella piramide di Maslow nella teoria psicologica descritta nel testo A theory of human motivation del 1943: l’autostima. È la catena delle opinioni altrui, quella di cui Vitangelo Moscarda, protagonista dell’opera pirandelliana Uno, nessuno e centomila, è inconsapevolmente vittima, e di cui si renderà pian piano conto quando sua moglie gli farà notare quel difetto del suo naso, momento che gli farà realizzare non solo di essere diverso a seconda delle percezioni altrui, ma da cui partirà la sua ricerca dell’autenticità spirituale.
Se volessimo però approfondire la questione, non allontanandoci da quella che è l’etimologia del termine, e dunque, la sostanza a cui dovremmo aspirare, potrebbe giungere in soccorso il quinto libro della Metafisica di Aristotele, in cui l’autore delinea tre sfumature del termine: 1) ciò che è completo e contiene tutte le parti necessarie 2) ciò che è così buono che niente di simile potrebbe essere migliore 3) ciò che ha raggiunto il suo scopo. Potremmo allora far nostra l’idea che se eliminassimo quelle “imperfezioni”, quei “difetti” che tanto temiamo nel confronto con gli altri, il nostro essere non sarebbe più completo. E questo non vorrebbe forse allontanarsi dalla perfezione? La stessa Rita Levi Montalcini, Premio Nobel per la medicina nel 1986, dedica la sua autobiografia all’imperfezione (Elogio dell’imperfezione), poiché gli insuccessi, al pari dei successi, sono stati significativi ed essenziali nel suo percorso. Ricorda, così, che è proprio dagli errori, e soprattutto da come li affrontiamo, li capiamo e li studiamo, senza il timore di riconoscerli, che spesso nasce il progresso scientifico e intellettuale.

È l’ideale della perfezione, di una bellezza irraggiungibile, utopistica, che fa cadere l’adolescente Camilla, protagonista del libro Il male di vivere  della Dott.ssa Silvana Grano (Edizioni Il Papavero), nel baratro dell’anoressia: un disturbo complesso, spiega l’autrice, dove spesso si cela un bisogno di amore, una ricerca, insieme a quella della felicità, che sembra essere elemento cruciale nella nostra società, tanto da influire sul benessere delle persone e che spesso sfocia nella distruzione di se stessi e nel rifiuto di qualsiasi aiuto. Temi centrali della narrazione sono i rapporti sociali, dalla famiglia agli amici, e l’incapacità di dialogare e comunicare, che incide fortemente sul percorso di guarigione. L’autrice sceglie la forma del romanzo per raccontare una tematica tanto attuale quanto delicata, per sensibilizzare soprattutto gli adolescenti attraverso le emozioni, arrivando dritto al cuore, ricordando che a oggi, l’unico vero strumento che abbiamo per affrontare questo disturbo è la prevenzione.

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About Martina Bruno

Martina Bruno, laureata in Lingue e Letterature Moderne, classe 1996, fermamente convinta che la comunicazione e la cultura, in tutte le sue sfaccettature, siano elementi fondamentali per entrare in relazione con gli altri e con il mondo. Non posso smettere di essere curiosa e osservare, c’è troppo da scoprire, assaporare e raccontare.