Premierato, ritorno al passato. Il focus di Giuseppe Rocco

La sindrome del colibrì, piccolo e colorato uccello migratore dalle piume iridescenti, si concretizza col il “volo a punto fisso”, caratteristica straordinaria che consente all’uccello di muovere le ali sessanta volte al secondo pur restando fermo. La persona affetta da sindrome del colibrì, pur potendo e volendo volare via, tende a girare intorno alla relazione stessa di tipo malsano, come quella di un narcisista o nella dipendenza affettiva o del potere. Un dinamismo che metaforicamente potremmo utilizzare per rappresentare la presentazione delle forze politiche in campo. Si annuncia un profluvio di promesse dal sapore profondamente retorico, mentre appaiono immobili rispetto agli obiettivi attesi, come l’utilizzo dei fondi europei messi a disposizione del nostro Paese, gli investimenti per accrescere la capacità occupazionale, la garanzia sanitaria e l’affermazione della giustizia in tempi rapidi.

Tutto questo preambolo, per giungere alla ineffabile proposta del premierato forte, cioè una propensione alla verticalizzazione del potere e nel contempo sviare le idee dei veri bisogni del popolo. L’Italia, popolo di fervente ed affermata democrazia, non deve essere governata da un solo soggetto decisionale. La soluzione civile e in linea con la storia resta un apparato di governo, cioè un insieme di personaggi collegati, che sappiano gestire le diverse variabili del sistema nella sua vasta complessità.

Nella realtà, chi accentra il potere si trova nella necessità di creare un proprio apparato, quasi riservato, con fedeli gerarchi che applicano leggi non discusse nella propria ampiezza. In effetti ciò si riscontra nelle presunte democrazie, a libertà limitata, come accade in Russia.

Nel secondo dopoguerra, gli italiani hanno potuto godere di un potere variegato, indirizzato alla libertà e al consenso popolare. Negli ultimi vent’anni, il clima è cambiato, sotto l’onda populista, che tende a rinunciare alla dimensione tecnica e professionale degli apparati di governo, per affidarsi ad un prodotto nuovo di incompetenti, come è accaduto quando hanno preso il sopravvento i nuovi elementi appartenenti a Cinque Stelle.

Non si può improvvisare l’attività politica e affidarsi a gerarchi perché questi, per diventare una classe di oligarchi, devono attendere tanto tempo, necessario alla maturazione politica.

In via generale, l’uomo solo al comando genera un governo forte, che riduce notevolmente la libertà, Tra l’altro, oggi prima che arrivi lo sciagurato premierato, assistiamo ad una caduta della libertà, in particolare per i giornalisti, i quali sono asserviti ai poteri e continuano a dar fastidio quando dicono la verità. Non sappiamo se in Italia vi sia stata una vera “democrazia compiuta”, ma è certo che negli anni sessanta/settanta si respirava un’aria di libertà più pura e più limpida, rispetto all’asfissiante “omologazione” che ammorba l’aria attuale.

Tra la fine degli anni sessanta e la metà dei settanta, oltre ad una classe politica più sensibile verso i diritti e i sentimenti dei politici, esisteva un’aria di libertà. Nonostante il terrorismo, che ha infangato le strade italiane, e i servizi deviati, esisteva un senso civico e un maggior rispetto verso i giornalisti. In altri termini considerato che facciamo parte di una comunità, dobbiamo di conseguenza esigere rispetto per tutti.

Non vi erano turbamenti se si organizzava una manifestazione studentesca per onorare il martirio di Jam Palach, per chiedere una manifestazione studentesca per la cessazione della guerra nel Vietnam, per invocare la parità dei diritti delle donne. Addirittura nel 1984, Pippo Baudo, dal palco di Sanremo, ha dato parola ad una rappresentanza sindacale degli operai dell’Italsider per affermare una lotta decorosa.

A proposito di lotte dignitose, oggi avremmo il dovere di insorgere per il trattamento ignobile della salute. Stiamo assistendo ad una riduzione senza precedenti di risorse per il SSN, al netto di una narrazione come sempre distorta del Governo. Si è creato un sistema vessatorio verso tutto il personale sanitario, che tanto ha dato al Paese, soprattutto durante la pandemia. C’è un vero e proprio attacco ai valori che risulta inaccettabile. Comprimere i diritti dei lavoratori della sanità significa, indirettamente, anche peggiorare la qualità dei servizi per i cittadini. La legge di Bilancio 2024 si è rivelata del tutto iniqua e punitiva per tutti i dipendenti pubblici, con norme sulle pensioni addirittura retroattive e di dubbia costituzionalità. I tagli alle pensioni di anzianità future di molte categorie del lavoro pubblico sono semplicemente assurdi. A ciò si aggiunga il congelamento di opzione donna e la riduzione del rendimento del riscatto della laurea. I diritti acquisiti sono compromessi e il futuro previdenziale diventa del tutto incerto. Così tutto il sistema si appresta a finire in un baratro. Non alludiamo esclusivamente al governo Meloni. Il “mitico Draghi” ha tagliato la sanità di sei miliardi per tre anni e noi lo abbiamo acclamato come salvatore della patria. A prescindere dal colore politico, dobbiamo chiedere maggiore rispetto per gli italiani, ritenuti più anziani in Europa e quindi bisognosi di maggiori cure.

Torniamo al premierato. Attualmente la Costituzione enuncia un impianto tematico ben equilibrato, in cui i diversi poteri sono felicemente armonizzati. L’eventuale struttura, imperniata sul premierato forte, riduce inesorabilmente i poteri del presidente della Repubblica e pure del Parlamento. Se poi in concomitanza passa l’altra istanza della divisone dei poteri in magistratura, anche la Procura potrebbe essere sottomessa al Governo. Questa nuova ipotetica architrave rappresenterebbe un arretramento culturale, civile e politico, tornando ai regimi degli anni 1920, quando imperava il dirigismo politico ed economico dello Stato in Europa.

Questo argomento è stato trattato già sotto diverse sfaccettature su questo giornale in data 4 febbraio del 2023. Con la democrazia rappresentativa 

(come in Italia), tipica della concezione liberale democratica dello Stato, i cittadini eleggono i rappresentanti ai quali delegano l’esercizio della propria sovranità; in altre parole essi decidono in via esclusiva sulle politiche che lo Stato deve operare. Perciò il popolo è titolare della sovranità ma la esercita indirettamente, essa perciò viene anche definita democrazia indiretta. Il momento attraverso il quale si manifesta tale volontà è il momento delle scelte elettorali nelle cabine. Sbagliare è molto facile. Il filtro italiano della democrazia parlamentare consente un maggiore dibattito, il confronto delle idee rappresenta un momento di mediazione. Questa soluzione è frequentemente adottata nelle recenti democrazie.

Ricordiamo che la democrazia diretta è tipica di un governo tribale, talebano e democratico in modo rozzo e primitivo. A conferma, in Italia abbiamo il vanto di aver avuto dei presidenti della Repubblica di grande valenza, preparati, equilibrati, che hanno sempre saputo decidere e garantire la Costituzione. Il presidenzialismo, cioè l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, o il premierato forte si prestano a forzature populistiche, che premiano l’imbonitore del momento, che quasi sempre non dispone degli elementi professionali idonei a tale carica.

Dobbiamo ricordare un elemento importante, quello della partecipazione elettorale dei cittadini, caduta nelle ultime chiamate alle urne al 63,69%. Con una profonda riflessione, possiamo affermare che i partiti minoritari non avrebbero speranza con il premierato e diventerebbe un deterrente al clima partecipativo. Una ulteriore riduzione dell’affluenza del popolo italiano alla scelta dei candidati accrescerebbe l’abulia e la disaffezione politica e partitica, creando un vuoto di enorme entità non apprezzabile in un Paese avviato al progresso della democrazia e della libertà. Il problema va inquadrato nel momento storico e nella dinamica dei tempi. Una scelta di governo forte e peggio di premierato forte, offre un grave segnale di ritorno al passato e per intenderci all’Ottocento.

Richiamando gli scritti di Umberto Eco nel 2001, il filosofo intravvedeva una carnevalizzazione della società. Come sappiamo nell’anno si colloca un breve periodo di giochi a volontà, chiamato carnevale. Eco avvertiva la grande mutazione antropologica, in cui il carnevale tendeva ad espandersi a tutti i giorni dell’anno. In altre parole ogni giorno si manifesta la licenza della trasgressione burlesca da parte di chi per il ruolo pubblico non dovrebbe trasgredire. Il pensiero primario corre verso Trump, l’ex presidente americano e ancora candidato, il quale offre scene non adatte ad una persona di quel livello. In verità ci stiamo abituando a comportamenti del tutto carnevaleschi in tutto il mondo, non esclusa l’Italia, in cui la richiesta del premierato forte potrebbe rientrare nel contesto.

In queste decisioni politiche, il nerbo rimane di natura economica. Al cittadino non interessa la separazione delle carriere, non interessa il premierato forte o debole, non interessa il ponte sullo stretto, ma interessa la sanità e la giustizia. E pensare che due governi (Draghi e Meloni) hanno dissipato i miliardi venuti dall’Unione europea, attraverso il PNRR, offrendo regalie a pioggia, mentre avrebbero dovuto investire proprio sulla sanità e sulla giustizia; indirettamente avrebbero accresciuto l’occupazione. Prima della politica, dell’economia e del diritto va osservato il buon senso, un po’ come avviene col concetto anglosassone dell’equità. Secondo il buon senso, non va intaccata la democrazia, perché è un gesto contro la libertà e contro la storia. Va ricordato che la libertà dell’uomo ha un’apertura sconfinata, che rasenta i confini dell’infinito e dell’eterno.

Votare in via definita il premierato è un terribile rischio. Viene in mente la nottola di Minerva (metafora usata da Hegel in filosofia), la quale si alza in volo solo quando le ombre della notte si stanno addensando. Vuol significare che una volta che l’innovazione economica, digitale, politica è avvenuta e sono state implementate funzioni forse sbagliate, ci si accorge dell’errore. Spesso gli errori sono irreversibili e le soluzioni giuste sono irrecuperabili, proprio come il caso del premierato.

©Riproduzione riservata

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.