Simbiosi tra globalizzazione ed economia. Il focus di Giuseppe Rocco
Tra la fine degli anni cinquanta e sessanta, l’Italia ha vissuto un periodo di trasformazione profonda, da paese agricolo a paese industriale; così abbiamo acquisito una nuova cultura di vita, destinata a sovvertire in modo impetuoso le azioni umane. Dopo la prima enfasi, l’operaio scopre l’oppressione capitalistica, mascherata da benessere comune. Nell’evoluzione sociale, gli anni ottanta avvertono il dominio del mercato, che divora i comportamenti e i pensieri. Tutto il nuovo modello viene snaturato dalle impostazioni del mercato, che porta al consumismo e al desiderio di ingente e rapido guadagno di denaro.
Purtroppo questa evoluzione ha investito l’editoria, pervasa a obbedire alla politica e ignorando il vento deleterio della Borsa, quasi in una morsa di ipnosi arrendevole. Tutto ciò è una situazione che rientra nel fenomeno della globalizzazione.
Per chiarire, la globalizzazione è un fenomeno inarrestabile e importante, cioè la crescita sinergica e il processo attraverso cui i mercati diventano interdipendenti fra loro, in forza della dinamica di scambio di beni e capitali. In pratica ricorda il principio fisico dei vasi comunicanti, in cui l’acqua arriva alla stessa altezza se i vasi sono comunicanti; nella fattispecie arrivano on line tutte le notizie; quindi abbiamo un vantaggio nel progresso di grande rilievo: immaginiamo la divulgazione delle scoperte e delle notizie urgenti.
Se la globalizzazione non è gestita, può produrre danni come in questi ultimi anni, determinati dal feticismo del mercato finanziario e dall’efficientismo selvaggio, che hanno origine dalla Borsa valori.
La Borsa valori è Il tempio della finanza, che è un ottimo istituto perché adempie ad una funzione importante, in quanto mobilita il risparmio per farlo affluire verso settori di più alto rendimento. Quando però viene contaminata, come in questi tempi, può divenire un’arma a doppio taglio, creando anche squilibri finanziari e sociali.
Il feticismo del mercato finanziario (primo dei due veleni della globalizzazione) richiama l’adorazione attuale verso la Borsa valori, in cui prevalgono le Holding, le Corporazioni, le Multinazionali e gli speculatori, secondo l’agenda liberista. Non quindi movimentazione dei titoli in rapporto alle vere funzioni della Borsa valori, ma sulla base degli interessi e delle storture di addetti ai lavori.
Dove stanno le storture? Nell’uso delle vendite allo scoperto e più frequentemente dei derivati, i quali sono delle vere e proprie scommesse perché sono sottostanti ai titoli. I derivati sono contratti scritti in cui si stipula che, al verificarsi di una specifica previsione sul prezzo futuro di una certa attività finanziaria, la parte perdente si impegna a versare alla parte vincente una somma di denaro pattuita. Pertanto il contratto equivale a una promessa, in cui non esiste traccia di un bene reale, cui ancorarla. In modo chiaro, un esempio: se domani nevica io pago 100 euro a Tizio; se non nevica incasso i 100 euro.
Ne discende che, da una stima a livello mondiale, la massa finanziaria, costituita da carte, raggiunge un valore sette volte quello dell’economia reale, costituita da beni tangibili. Questa distorsione provoca crisi ripetute, che si trasmettono da paese a paese, con tragiche conseguenze sociali, in particolare sull’occupazione. L’esempio eclatante resta il fallimento nel 2008 della banca Lehman Brothers, i cui effetti sono giunti rapidamente in Europa, devastando l’economia pura e il benessere sociale.
Il secondo veleno della globalizzazione è l’efficientismo, che diventa selvaggio per varie ragioni. L’efficienza riguarda la competenza e la prontezza nell’assolvere le proprie mansioni; in particolare in economia si tende a rendere in modo ottimale la capacità di azione o di produzione con il massimo risultato e con il minimo di spesa, di risorse e di tempo impiegati. L’efficientismo, fenomeno molto diffuso nell’era moderna, ricerca l’efficienza a tutti i costi, anche sganciata da esigenze concrete e senza verifiche umane e sociali.
Con il 2000 tramonta il secolo del lavoro certo. Si assiste al passaggio dalla società del lavoro alla società del rischio, passaggio che sta diventando una realtà con cui misurarsi nei prossimi anni. L’aumento dell’instabilità lavorativa sta modificando progressivamente la composizione sociale della popolazione vulnerabile. Il Job Acts ha preso atto di una situazione internazionale di volatilità ma ha anche incresciosamente favorito il drammatico problema del lavoro, il quale resta sempre la fonte di guadagno e il simbolo della dignità personale. Appare così l’ombra del rapporto incolore e distaccato.
Il clima è completamente cambiato, avendo acquisito il modello americano iper liberale, in cui prevale il bello, il forte, il ricco; situazione nuova che crea tante disparità nelle quali molti cittadini tendono a perdere il mordente e la spinta per combattere in un mondo divenuto sempre più concorrenziale. Indubbiamente la concorrenza fra colleghi è sempre esistita in termini naturali; ora diviene uno strumento di lavoro ingeneroso e matrice di sensazioni tumultuose che erodono il fisico.
Ogni giorno vi sono continue testimonianze dello sciagurato fenomeno. Basta andare al supermercato o in una banca e scoprire che i dipendenti non hanno una mansione e un posto fisso, ma una collocazione a seconda dei bisogni o meglio dei desideri dell’azienda, che vuole il profitto prescindendo dal rapporto di umanità.
In questa nuova era si sono affermate le multinazionali, favorite dalla globalizzazione. La lezione globale e avvilente che si ricava dall’agenda liberista va oltre l’economia e giunge al degrado del sistema politico nei paesi occidentali, ostaggi dei capitalisti.
Per tali effetti, gli Stati, perdono il loro potere, proprio perché sono alla mercè delle Holding; queste possono far fallire in qualsiasi momento aziende importanti sul territorio nazionale, con il gioco delle vendite delle azioni, facendo calare il capitale sociale e mettendo sul lastrico l’azienda. L’unica possibilità dello Stato è nazionalizzare l’impresa, cosa fattibile al massimo per un’impresa rappresentativa del paese. Inoltre le Holding possono trasferire la propria sede legale e fiscale in altro Stato e pagare in quel paese le imposte più basse.
Soltanto una legislazione internazionale, possibilmente sotto le vesti della Convenzione, potrà ridare respiro alle transazioni commerciali, senza caducare la Borsa valori. Forse il luogo più idoneo potrebbe essere la Banca mondiale, opportunamente configurata ad una nuova politica per il popolo, ceto medio e cittadini-consumatori.
Probabilmente vi saranno resistenze a livello internazionale da parte degli Usa (laboratorio del liberalismo economico), ma si deve proporre e tentare, magari con un’azione parziale che riguardi soltanto l’Unione europea, sempre che questa acquisti una maggiore personalità.
L’indirizzo iperliberale è accresciuto con la visione manichea dei modelli produttivi: economia collettivizzata e pianificata, ossia il modello URSS è saltato dimostrandosi una gigante di carta ed è rimasto il modello liberale. Ora la Russia di Putin vuole restituire la cornice imperiale, perduta con il dissolvimento dell’Unione sovietica. Il leader del Cremlino coltiva l’idea di scardinare il sistema mondiale, che aveva sigillato il Novecento, sostituendolo con un nuovo ordine geopolitico. In altre parole, Putin avverte un’esigenza messianica di rifiutare la sentenza del secolo scorso in base alla quale la Russia aveva perso la guerra fredda. Putin si sente il depositario di una missione universale per la Russia, alfiere e testimone di un’altra modernità contraria alla globalizzazione Nonostante questi segnali della storia si registra una diffusione totale del modello iperliberale.
Invece la dinamica andrebbe moderata al punto giusto, riportandolo al modello renano, che assume il nome dal fiume Reno, il quale abbraccia sei Stati europei e in cui si evince il dominio della Germania. Questo modello, quasi accettato dall’Italia, prevede il Consiglio di sorveglianza, in cui i lavoratori, attraverso i sindacati partecipano alla gestione dell’azienda. In altre parole se è risultato vano e inefficiente la pianificazione sovietica, non è detto che per esclusione il modello iperliberale Usa rappresenti la verità. Ritengo che si debba realizzare una via di mezzo, cioè un sistema a base liberale con correzioni da parte dello Stato, sia per assicurare la sopravvivenza di enti di pubblica utilità che evitare disfunzioni catastrofiche sul piano economico e sociale.
La lenta penetrazione di nuovi modelli, come la globalizzazione e il feticismo del mercato finanziario, si realizza in modo spontaneo e senza volerlo. Questo accade perché il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media satura i cervelli che non riescono più a discernere, quindi a pensare con la loro testa, e diventano alienati di un sistema che li governa a proprio piacimento. Questo processo inavvertito si definisce “Effetto della rana bollita”.
Il principio della rana bollita, usato dal filosofo americano Noam Chomsky, è una metafora dei popoli, i quali accettando passivamente il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica, finiscono per riconoscere la deriva della società soltanto in ritardo in modo irreversibile.
La capacità di adattarsi ai cambiamenti è una qualità positiva e trova espressione nel concetto di resilienza, che indica l’attitudine e l’abilità ad affrontare e superare in maniera costruttiva le difficoltà. Tale definizione implica una reazione adeguata e segna una netta differenza con il subire gli eventi e accettare in maniera passiva situazioni spiacevoli, scomode o avvilenti.
Il principio della rana bollita descrive una pedissequa capacità dell’essere umano moderno, in cui si realizza: ovvero la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi. Viviamo, infatti, in una società nella quale il popolo è letteralmente schiacciato dall’economia, dalla politica, dai media, e accetta passivamente il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica che derivano da questo continuo subire, in silenzio, senza mai reagire.
Il comportamento può essere, tuttavia, calato in realtà diverse tra loro: ad esempio può essere usato per descrivere il comportamento delle persone inerti, immobili, remissive, rinunciatarie, noncuranti, che si deresponsabilizzano di fronte alle scelte quotidiane di vita. Ma vediamo nel dettaglio cosa ci racconta il principio della rana bollita:
“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano e presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50°C avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”
In verità il fenomeno della rana bollita risale ad una ricerca condotta dal “John Hopkins University” nel lontano 1882. Durante un esperimento, alcuni ricercatori americani notarono che lanciando una rana in una pentola di acqua bollente, questa inevitabilmente saltava fuori per trarsi in salvo. Al contrario, mettendo la rana in una pentola di acqua fredda e riscaldando la pentola lentamente ma in modo costante, la rana finiva inevitabilmente bollita.
Questo principio viene applicato quotidianamente nella società moderna attraverso delle subdole tecniche di manipolazione di massa e delle coscienze. Tecniche travestite da benessere, apparentemente a favore dell’umanità, come il vivere meglio, la salute, il prolungamento della vita, sempre più prodotti, più servizi, progresso, tecnologia, nuove morali. Un esempio l’avvento della pubblicità che stressa quando vediamo la televisione e ci toglie la gioia dello spettacolo.
L’obiettivo è rendere la massa inoffensiva, talmente anestetizzata e confusa da non rendersi nemmeno conto della gabbia in cui è rinchiusa.
Siamo rane messe a bollire dentro un pentolone a fuoco lento,
siamo bravi soldatini che marciano sincroni senza sapere dove stanno.
In verità il principio della rana bollita ci dimostra che quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta, da diventare pertanto invisibile, sfugge alla coscienza e non suscita, per la maggior parte dell’umanità, nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta.
Ci sono persone che credono ancora che questa crisi economica, politica e sociale, sia momentanea e non strutturale, ci sono persone che sperano ancora che le soluzioni arrivino dall’alto, convinti che nel frattempo possono tranquillamente lasciarsi avvolgere dal comfort della vita quotidiana. Un po’ come la rana apprezzava il momento in cui l’acqua si riscaldava pian piano. La verità è che queste persone sono già mezze bollite, sono i dormienti, i pigri di questa società. La loro fine sarà identica a quella della rana bollita. Bisogna saltare non per fuggire, ma per affrontare la situazione ed esaminare le possibili soluzioni, prima che sia troppo tardi.
Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subendo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Tante cose che avremmo disprezzato 40 anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e oggi ci disturbano solo leggermente o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute
Va pure detto che una delle cause principali è la paura dell’ignoto e del futuro che porta a non agire nel timore di innescare un meccanismo che si ritiene di non essere in grado di gestire e che potrebbe condurre a una nuova realtà peggiore dello status quo. Di fatto, questa credenza irrazionale prende forma in una profonda resistenza al cambiamento e si traduce nella scelta (più o meno consapevole) di mantenere le cose come stanno.
D’altra parte, non di rado, chi si trova nella condizione della rana continua a restarci non perché abbia paura di modificare lo status quo, ma perché non ha la consapevolezza della situazione che vive. In entrambi i casi, l’unico modo per fermare il processo di bollitura consiste nel chiedersi chi si vuole essere davvero. La presa di coscienza di sé è il primo e fondamentale passo per intraprendere un percorso di crescita personale che porta non solo ad abbracciare il cambiamento e ad evitare la fine della rana, ma anche a trovare il proprio scopo nella vita e a perseguirlo.
Dopo queste considerazioni, si rilancia la necessità avviare una Conferenza che porti ad un protocollo internazionale, al fine di apportare variazioni benefiche alla Borsa valori e liberarla da contaminazioni pericolose, che abbiamo incautamente accettate negli ultimi decenni.
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