SMETTO QUANDO VOGLIO: AD HONOREM – RECENSIONE (no spoiler)
Torna per la terza e ultima volta sul grande schermo la Banda dei Ricercatori guidata da Pietro Zinni, nel capitolo finale della trilogia della saga, Smetto quando voglio – Ad Honorem.
L’impeccabile regia del giovane talento Sydney Sibilia e una sceneggiatura coerente e ben legata in tutti gli episodi della saga, oltre all’interpretazione magistrale dei personaggi, fanno sì che questo ultimo capitolo non stanchi affatto lo spettatore, che continua anzi ad essere stupito e divertito dalle situazioni e gag comiche propinategli.
Al termine del secondo film, Pietro Zinni e la sua banda erano stati incastrati, dopo essere stati colti in flagranza di reato nel laboratorio della SOPOX, smart drug scoperta poi essere molecola per la produzione di gas nervino. Le “menti più brillanti in circolazione” dovranno, questa volta, evadere da Rebibbia per fermare il piano del cattivo di turno, il professore Walter Mercurio.
Sibilia, alla sua terza avventura dietro la macchina da presa, non smette di sorprendere e meravigliare. L’effetto acido e saturo della fotografia, realizzata con una color correction del tipo “flou pop”, è ormai divenuto un suo marchio di fabbrica, come il ritmo molto cadenzato e vivace delle scene.
Un elogio va anche alla sceneggiatura, realizzata dallo stesso Sibilia in collaborazione con Francesca Manieri e Luigi Di Capua (The Pills). Si nota che Smetto Quando Voglio era stato progettato fin dall’inizio come una sorta di miniserie: frequenti e soprattutto coerenti sono i collegamenti con il secondo e soprattutto il primo film, di cui quest’ultimo rappresenta la chiusura di questioni lasciate aperte.
Impeccabile è la performance degli attori in scena, unitisi in maniera pregnante e definitiva ai personaggi interpretati, con cui lo spettatore ormai si identifica e che conosce alla perfezione, avendo a questo punto con loro una certa familiarità. Ottima anche la caratterizzazione dei “cattivi”, di cui vengono raccontati gli eventi che li hanno portati ad esserlo, finendo per fornirgli una sorta di giustificazione al loro agire vendicativo.
Dei tre capitoli, infine, quest’ultimo è quello che sembra avere un tono e un messaggio più profondo e meno scanzonato, che può sembrare in apparenza amaro ma che in realtà cela un intento e una morale edificante: nonostante la logica arrivista e servile italiana, non bisogna mai arrendersi soprattutto se si ha talento, ma reagire al sistema e farsi valere.
Francesco Medugno
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