Tappe dell’Unione Europea. Il focus di Giuseppe Rocco

L’Italia, priva di carbone, viene modernizzata dal punto di vista istituzionale, introducendo nel 1859 una legislazione commerciale liberista e un fisco allineato ai più avanzati sistemi europei. Il decollo industriale effettivo dell’Italia si registra nel 1895 e prosegue in parallelo con le altre Nazioni europee. Dall’Europa il percorso industriale si diffonde negli Stati Uniti, che ricalca il modello europeo, ma poi si differenzia impegnandosi sulla grande impresa, in quanto dispone di immense risorse territoriali e del sottosuolo e può contare su un esercito di immigrati disposti a trasferirsi con facilità sul territorio.

Attualmente l’Unione europea, pur se lontana dai modelli delle origini, rappresenta una realtà fondamentale e irreversibile nella vita degli Stati membri. L’industria e l’agricoltura sarebbero diverse se non ci fossero state le politiche comunitarie a riformarle e ad aprire nuovi sbocchi. In effetti l’Europa attenua gli squilibri economici fra le varie regioni, interviene nel campo sociale a proteggere i diritti dei lavoratori e nel settore della ricerca, difende l’ambiente, stimola la concorrenza, prepara le reti di trasporti, propizia il commercio intercontinentale. Eppure le istituzioni non sono entrate nella consuetudine e nella sensibilità dei cittadini.

La politica agricola ha raggiunto un buon livello organizzativo, anche se il peso finanziario risulta ancora elevato ma giustificabile. Qualche tarlo appare nei rapporti interni, quando vengono imposti principi nordeuropei a danno della genuinità dei prodotti latini (es. latticini senza latte e cioccolato senza cacao). Si registrano carenze nostrane, se si pensa all’aver preteso con forza l’istituzione di un Fondo regionale e una volta costituito, le Regioni non sono state in grado di attingere e utilizzare gli stanziamenti. Nello scenario delle disavventure, si annovera la speculazione prevalentemente anglosassone a sabotare la moneta unica, l’euro, grande baluardo della Comunità ma mal gestito.

La nascita dell’Unione è un’idea che serpeggia da secoli nella mente di illuministi europei. Già il 4 ottobre 1926 a Vienna, il primo Congresso paneuropeo, richiama la costituzione di un’entità politica. Alcuni attribuiscono a Carlo magno il merito di voler fondare l’Europa. L’autentico vero progetto per l’integrazione risale al primo dopoguerra, da parte del conte austriaco Richard Coudenhove-Kalergi, per prevenire ulteriori guerre fratricide e per intercettare i nuovi centri di potenza che si stavano costituendo: Usa, Giappone e Unione sovietica. L’idea dell’Europa unita è un concetto che si fa strada con la resistenza, come richiamo naturale al rischio di dominazioni dittatoriali. Fra tutti movimenti della resistenza, quello italiano appare il più convinto dell’unità europea; tra i partiti antifascisti che partecipano alla Resistenza, quello più assiduamente impegnato per la causa dell’unità europea è il Partito di azione, che per la forte componente culturale si delinea aperto ai rapporti internazionali. Purtroppo questo Partito ha poca vita.

Nella sequenza storica, appare la Democrazia cristiana, la quale dapprima attende la definizione degli schieramenti internazionali e poi assume la guida di unità europea, nel quadro di una politica atlantica di cui l’unità europea diventerà uno dei pilastri. I socialisti ondeggiano tra il PCI che rifiuta l’unità europea e la volontà prevalente di vedere una Unione libera federata di Stati, caricando la stessa di una forte componente anticapitalista.

Il 1946 è l’anno in cui si manifestano i prodromi del conflitto Est-Ovest. Gli Usa contano sul piano Marshall e sul Patto atlantico. Il recupero politico della Germania, con la ricostruzione di uno Stato tedesco occidentale, diviene il fulcro della politica europea nell’ottica del rafforzamento del vecchio Continente, baluardo contro le mire espansive sovietiche. Il piano Marshall si appalesa strategico, poiché il programma di aiuti finanziari per la ricostruzione dell’Europa tende pure a riattivare le correnti di scambio commerciale e modernizzare l’apparato industriale, con l’obiettivo politico di elevare il tenore di vita dei popoli europei e per contrastare la diffusione del comunismo. Come risposta al piano Marshall e al Patto atlantico, l’Urss crea nel 1949 il Comecon, pure nell’intento di asservire le economie dei paesi satelliti e più tardi di realizzare un’integrazione economica.

Le prime iniziative di costituzione collegiale riguardano la Comunità europea di difesa e più comunemente dell’esercito europeo (CED), naufragata anche per l’osteggiamento della Francia; in cambio la Comunità europea del carbone e dell’acciaio riesce a prendere quota. Il tragico ricordo di Hiroshima e Nagasaki rafforzano l’idea di un’azione comune per l’uso pacifico dell’energia atomica. Così i Trattati che istituiscono la Comunità economica europea e l’Euratom sono firmati a Roma il 25 marzo 1957 nella sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio. Aderiscono sei Nazioni: Italia, Francia, Germania occidentale, Belgio, Olanda e Lussemburgo. La CEE si pone gli obiettivi di eliminare progressivamente i dazi doganali; avviare la libera circolazione dei cittadini e capitali; elevare le Regioni sottosviluppate. In concomitanza con la firma dei Trattati di Roma, i sei membri devono fare i conti con l’opposizione della Gran Bretagna, destinata a diventare una costante nota negativa della vita comunitaria. Ostile apertamente è l’Unione sovietica, sebbene Nikita Kruscev al XX Congresso del PCUS si scaglia contro il culto della personalità e i crimini d Stalin e nonostante apra alle vie nazionali del socialismo.

Oltre alle previste resistenze britanniche, la Comunità economica europea deve affrontare le stravaganze del presidente francese Charles De Gaulle, che vive nell’ambizione spropositata della grande Francia, concetto che altera i suoi rapporti persino con gli Usa.  Tuttavia prevale lo spirito del disegno di un’Europa come terza forza, tra Usa e Urss. Sul piano economico, la carta vincente appare la politica economica comunitaria (PAC), il cui strumento essenziale è la fissazione di un prezzo comunitario per ogni prodotto agricolo all’inizio di ogni anno; questi prezzi sono sostenuti da una serie di garanzie, prima di tutte quella della libera circolazione dei prodotti in tutti i Paesi membri. Inoltre la CEE, attraverso il Fondo europeo di orientamento e di garanzia agricola (Feoga), si impegna ad acquistare al prezzo comunitario le merci che non trovano collocamento sul mercato. La difesa più efficace dei prezzi avviene attraverso i prelievi sui prodotti provenienti da fuori della Comunità per scoraggiare l’importazione e le restituzioni al fine di incrementare l’esportazione. Inoltre vengono approntati altri provvedimenti per prevedere contributi destinati all’ammodernamento delle aziende agricole. Ovviamente queste misure suscitano le critiche degli americani, che si vedono sottratto un grosso mercato per i loro prodotti in esuberanza.

Nel luglio del 1968 scompaiono i dazi doganali all’interno del mercato comune; periodo in cui esce di scena la figura di De Gaulle, vera iniquità nei rapporti interni all’Unione e alfiere della prevenzione nell’adesione della Gran Bretagna. L’ingresso dell’Inghilterra nella CEE rappresenta una tappa storica nella vita comunitaria, favorendo un’integrazione più intensa. Pure i rapporti con gli Usa migliorano con l’avvento di Nixon, che ha chiamato il geniale ministro Kissinger, a disegnare la politica estera con forte successo. La necessità di creare un ordine europeo più solido viene capito allorché l’amministrazione Nixon, nell’agosto del 1971, abolisce la convertibilità del dollaro in oro. Nel 1979 si trova il consenso per un Sistema monetario europeo (SME), che conta sull’ l’ECU (European Currency Unit), quale unità monetaria di riferimento. Il suo valore è costituito da un paniere, cui contribuiscono tutte le monete della comunità fondata sul peso delle rispettive economie nazionali. Il meccanismo di cambio prevede che ogni moneta fosse in rapporto di cambio con l’ECU secondo una banda di fluttuazione del 2,5% in ambedue le direzioni, altrimenti bisognava intervenire vendendo o comprando moneta.

Le prime elezioni a suffragio universale diretto del Parlamento di Strasburgo si svolgono nel giugno del 1979. Sulla scia della democrazia partecipata, sorgono programmi diretti ai giovani, come PETRA per la formazione professionale, ERASMUS per lo scambio fra studenti, COMETT per un programma di cooperazione tra Università e imprese. Nel gennaio del 1981 aderiscono all’aggregazione europea la Spagna e il Portogallo, spostando il baricentro della comunità verso il Sud e caratterizzando l’architettura di toni latini. Nel febbraio dell’anno dopo, si registra una defezione, quella della Groenlandia, possedimento danese con larga autonomia, popolato da poche decine di migliaia di abitanti e con una superficie uguale a quello della CEE.

Nel percorso storico e politico, si giunge all’Atto unico, che entra in vigore il 1 luglio 1987. L’Atto si articola in due titoli: uno comprende le modifiche istituzionali ai Trattati di Roma e l’altro fissa le disposizioni sulla cooperazione politica, cioè sulla collaborazione tra gli Stati membri per definire una politica estera comune. Abbinato all’Atto unico si accede all’Unione economica e monetaria (UEM), che porterà nel tempo alla creazione dell’euro. Sempre in quell’epoca crolla il muro di Berlino nella notte fra il 9 e il 10 novembre 1989. La riunificazione tedesca altera in modo decisivo gli equilibri europei e ripropone una Germania di 80 milioni di abitanti. A parte le problematiche territoriali e ancestrali sollevate sempre dall’Inghilterra, l’Unione è sottoposte a fibrillazioni temporanee della Francia, che a seconda del suo Presidente o delle condizioni politiche spingono o intralciavano i progetti comunitari. Tuttavia dal primo gennaio 1993 parte l’accordo di Schengen, per favorire la circolazione delle persone, accordo posto più volte in discussione nei momenti attuali in cui una ingente massa di immigrati raggiunge le coste comunitarie.

Quarant’anni dopo la nascita della Comunità, nella città di Maastrict[1], i dodici Paesi membri raggiungono il noto e imponente accordo sul Trattato, che entra il vigore 1 novembre 1993 e che suggella la nascita dell’Unione europea. Documento di svolta, composto da 252 articoli e 17 protocolli, che poggia su tre pilastri: il primo è quello della Comunità europea con l’occhio verso la moneta unica; il secondo riguarda la politica estera e sicurezza comune; il terzo inerisce alla giustizia e agli affari interni. Le competenze vengono ampliate circa i settori di attività, prevedendo un più frequente ricorso alla maggioranza qualificata rispetto alla regola dell’unanimità. Con questa svolta, l’Unione estende il suo raggio di azione alla ricerca e allo sviluppo tecnologico, all’ambiente, all’industria, allo sviluppo delle reti di comunicazione, alla formazione professionale e alla politica sociale. Interessante nel Trattato l’introduzione del principio della sussidiarietà, secondo il quale l’Unione europea viene legittimata ad assumere iniziative quando gli obiettivi non possono essere realizzati adeguatamente dagli Stati membri, ovvero dove l’azione comunitaria diventa più efficace degli Stati.

Un passo verso la liberalizzazione del commercio si nota con gli accordi nell’Uruguay Round, in base ai quali si riducono le tariffe doganali; liberalizzazione affrettata e condivisa per motivi di bandiera. Tuttavia gli accordi ignorano che ogni iniziativa del genere va favorita in condizioni ugualitarie e non in situazioni dissimili di economia. Registriamo così un avvio di politiche economiche e finanziarie che pesano sugli scambi e producono asimmetrie nei singoli Stati, sempre più sottoposti a speculazioni.

Nella sbornia comunitaria, si accelera la costituzione di una moneta unica, parafrasando l’Ecu nell’approntamento dell’Unione economica monetaria (UEM) e caricandolo di significato e bruciando le tappe, sino alla gestazione e sublimazione dell’euro nel 1998. Intanto il 2 ottobre 1997 i 15 membri firmano il Trattato di Amsterdam, che entra in vigore il 1 maggio 1999. Questo documento perfeziona il disegno istituzionale di Maastrich e procede alla semplificazione dei Trattati precedenti, attraverso l’abrogazione delle disposizioni divenute obsolete; inoltre contiene innovazioni per rafforzare l’Unione, con nuove disposizioni di libertà, sicurezza e giustizia, integrazione di Schengen; formalizza l’astensione costruttiva in seno al Consiglio europeo. Indi cataloghiamo il Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 e in vigore dal 1 febbraio 2003, il quale modifica ancora i Trattati, superando quella vaghezza e quei vuoti normativi rintracciabili nei Protocolli precedenti. Importante rammentare l’acquisizione del voto a maggioranza qualificata con il sistema della ponderazione, atteso che l’unanimità riesca sempre più difficoltosa con l’aumento del numero dei membri. Si procede alla proclamazione della Carta dei diritti fondamentali, non entrata a far parte del Trattato, che riguarda dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia. Decide pure che la Commissione ha un rappresentante per ogni Stato membro.

Il 1 maggio 2004 a Dublino, l’Unione cresce coraggiosamente e abbondantemente, annettendo dieci Nazioni, ignorando tutte le strategie di consolidamento, di razionalità, di efficienza e di integrazione. L’Unione deve avere una sua personalità intrinseca e deve disporre di una forza magnetica, difficilmente raggiungibile – come la storia ha dimostrato – in un contesto di banalizzazione delle adesioni.

A dimostrazione della debolezza dell’istituzione europea, viene firmato un nuovo Trattato, proprio a Roma e nella stessa Sala degli Orazi e Curiazi nel campidoglio della nostra Capitale il 29 ottobre 2004. Debolezza sancita dal duplice diniego (Francia e Olanda) a ratificare il Trattato; Nazioni che nascondono una certa avversione contro Bruxelles.

Segue il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009, il quale provvede al riparto di competenze tra Unione e Stati membri e tutela i diritti attraverso l’attribuzione alla Carta di Nizza del medesimo valore giuridico dei Trattati.In verità il Trattato di Lisbona viene redatto per sostituire la Costituzione europea bocciata dal diniego dei referendum francese e olandese. Il ministro degli esteri è rinominato “Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza”.  

La situazione appare incerta nel complesso. I tentennamenti sono nati con i risultati dell’Euro, moneta unica priva di una gestione comune, che risente degli squilibri e delle asimmetrie e soprattutto perché resta alla mercé di grossi speculatori internazionali e finanziari. La BCE tenta una serie di interventi di sostegno diretti e tramite le banche. Il momento di incertezza favorisce il risorgere di nazionalismi, tendenti a inquinare il clima politico. Oltre alla moneta unica in discussione, vi è un progetto di forza armata europea mai decollato, che prevedeva una autonomia di comando, che sarebbe stato utile nelle varie crisi europee e mediterranee.

Oggi l’Unione è divenuto il bersaglio di tanti movimenti politici populistici, compresi alcuni italiani, quali la Lega e Movimento Cinque stelle. L’andamento europeo diretto e la componente finanziaria (Euro) denunciano diverse incongruenze, nella debole organizzazione, nella incomprensibile fenomenologia gestionale, nella insipiente politica estera e nella fuorviante strategia economica. Certamente vanno apportate modifiche per restituire all’Istituzione quella imponenza e solennità che la ponga in condizione di assicurare un futuro qualificante. La sua invocata soppressione sarebbe un enorme errore e persino un danno per i paesi partecipanti. La storia non può tornare indietro, poiché andrebbe contro le stesse ambizioni e spinte europee. Questo continente ha sempre avuto nel proprio DNA, come precedentemente illustrato, l’attrazione per la solidarietà, la cooperazione e il senso della gestione unitaria. Quindi si auspicano modifiche costruttive e non forme di nichilismo. 


[1][1] Città olandese posta a ridosso del confine fra il Belgio e Germania, antico caposaldo romano a difesa di un ponte sulla Mosa.

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.