Te Deum. La forma più alta di ringraziamento

Nonostante il Covid possiamo sempre dire Grazie

Recitare il Te Deum a fine anno è la forma più alta di consapevolezza di ciò che è accaduto in un anno. Si ha la percezione sottile ma allo stesso tempo potente di ciò che è trascorso, di ciò che è successo; non tanto per ciò che si è fatto. Una percezione che il tempo, la vita, inesorabilmente passano e ti accorgi che oltre le tue ansie e preoccupazioni nelle cose fatte c’è qualcosa o qualcuno che guida le trame del tuo essere. Una percezione sottile e potente che per quanto ti possa sforzare a condurre le cose a tuo piacimento, tutto si svolge secondo un disegno che tu non sai. Una forma di impotenza docile che rende sereni. Ti puoi ingarbugliare quanto vuoi ma ti ritrovi quasi inerme a progettare dettagli che vanno per lidi non tuoi.

Un anno trascorso all’insegna della paura, delle preoccupazioni, del “speriamo finisca presto”, e che, ora, ci accingiamo a lasciarlo accingendoci a vivere il 2021 con la prospettiva di una lieta e consolante ripresa.

In una lettera del 30 marzo 1997 don Luigi Giussani scriveva: «Davanti alla mia finestra ho piante che sono ancora tutte distrutte dal gelo e dal freddo dell’inverno. Osservandole pensavo che tutte le cose, tutte le nostre cose andrebbero a finire così se non ci fosse quella forza, quella potenza creatrice che ridesta altre piante davanti a me con foglie verdi e nuove». E continuava più avanti: «In questi giorni tutto sta rinascendo ma se un uomo non avesse mai visto la primavera e fosse nato e vissuto e conoscesse soltanto l’aridità dell’inverno, potrebbe immaginare come, dal di dentro, da questo “di dentro” strano e misterioso tutte le cose possono cambiare? Non riuscirebbe a immaginarlo».

Solo la percezione di un Bene più grande permette di esserne lieto altrimenti si corre il rischio di volersi ribellare ad un evolversi delle cose in cui credi di esserne l’autore e il pilota.

“La gratitudine per ciò che è dato come punto sorgente di una gratuità verso l’altro, che infine diventa uno sguardo da figlio lieto”.

Nel Te Deum è contenuta una saggezza profonda, quella saggezza che ci fa dire che, nonostante tutto, c’è del bene nel mondo, e questo bene è destinato a vincere grazie a Dio. Certo, a volte è difficile cogliere questa profonda realtà, poiché il male fa più rumore del bene; un omicidio efferato, delle violenze diffuse, delle gravi ingiustizie fanno notizia; al contrario i gesti di amore e di servizio, la fatica quotidiana sopportata con fedeltà e pazienza rimangono spesso in ombra, non emergono.

Senza la speranza di un “per sempre”, tutto nella vita appare più breve e, ultimamente, più insopportabile e tragico. Il dolore diviene censura e lo scopo del vivere coincide con il piacere o, detto diversamente, con lo star bene. E così una condizione auspicabile ma certamente non essenziale della vita (appunto, lo star bene) ne diviene il senso. E il metro di giudizio, con il quale l’uomo stabilisce la maggiore o minore dignità del vivere, diventa dominante e riduttivo.

“…voglio vivere ogni giorno con ottimismo e bontà, chiudi le mie orecchie a ogni falsità, le mie labbra alle parole bugiarde ed egoiste o in grado di ferire, apri invece il mio essere a tutto quello che è buono, così che il mio spirito si riempia solo di benedizioni e lo sparga ad ogni mio passo”. (Arley Tuberqui, contadino sudamericano).

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About Innocenzo Calzone

Giornalista pubblicista, architetto e insegnante di Arte e Immagine nella scuola Secondaria di I grado, è caporedattore di un giornale d'Istituto con ragazzi della scuola Primaria e Secondaria. Appassionato di calcio, arte e musica, vive a Napoli. Ha pubblicato diversi articoli in riviste di architettura e in ambito educativo-scolastico.