‘Tromperie – Inganno’, la pellicola incolore di Arnaud Desplechin

Il regista Arnaud Desplechin, è fan di lunga data di Philip Roth, i cui libri sono segnati da molte delle sue stesse ossessioni, basti pensare all’attenzione nei confronti delle famiglie che attraversano grandi sconvolgimenti.
L’idea di Desplechin è, quindi, quella di adattare l’estro di Roth al grande schermo. Ma il film che ne risulta, ‘Tromperie- L’inganno’, basato su un romanzo del 1990 con protagonista Roth stesso (o qualcuno molto simile a lui: uno scrittore americano di mezza età di nome Philip che vive a Londra e ha una relazione con una donna inglese sposata che ha quasi la metà dei suoi anni), non mostra in maniera forte né l’autore né il gioco che caratterizza la narrazione.
Infatti, ‘Trompiere’ è di solito considerato uno dei più deboli sforzi letterari di Roth. Lo stesso si può dire per il film, che, nonostante un buon cast che Desplechin dirige con i suoi soliti standard elevati, resta debole e fintamente provocatorio.
L’amante di Philip è interpretata da Léa Seydoux (presente in quattro film a Cannes quest’anno), che fa del suo meglio in un ruolo non particolarmente forte, elemento visibile soprattutto quando è ‘destinata’ a guardare con occhi che brillano il romanziere mentre pronuncia aggressivamente le sue opinioni, sia sull’antisemitismo britannico (un argomento ricorrente) che sulla natura condannata della loro relazione amorosa. Nonostante questo, il personaggio di Seydoux è l’unico che riesce a vibrare nella pellicola grazie ad un certo modo di esprimere candore, una delle poche cose che rendono il film appetibile.
Gran parte della storia è ambientata nel confortevole appartamento londinese di Philip, che funge sia da spazio di lavoro che da appartamento da scapolo. Questo è il luogo in cui i due amanti si incontrano per trascorrere insieme lunghi pomeriggi. Lo spazio ristretto della casa riesce a aggiungere alla pellicola una funzione teatrale. Questo aspetto viene rafforzato dalla scelta di Desplechin di costruire delle scene in cui gli attori si esibiscono su un palcoscenico. Inoltre, quando lo spettatore incontra ciascuna delle donne presenti nella pellicola, diventa chiaro che esse sono solo veicoli per far emergere l’ego del personaggio centrale.
Una sequenza di sogni, ad esempio, vede Phillip in tribunale processato per sessismo e misoginia, nello svilupparsi della scena si potrebbe pensare che a questo punto del film si apra l’opportunità, per il protagonista, di espiare i suoi comportamenti violenti, l’esito invece è totalmente opposto e la scena termina con Phillip che aggredisce con insulti sessisti il procuratore, cementando così la sua arroganza impenitente.
Il film, dunque, non è altro che un adattamento pretenzioso dell’opera di Roth, che riduce completamente tutti i suoi personaggi femminili alla sofferenza e le costruisce nella forma svalutante di donne irrazionali che sanno guardare e desiderare solo uomini violenti da salvare. La performance di Seydoux risulta frizzante ma questo non basta a salvare una pellicola tautologica e prepotentemente misogina.
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