Un libro per l’estate. Il canto di Penelope: Atwood ridisegna il mito

In questo romanzo (edito da Ponte alle Grazie, 2018) Margaret Atwood prende, con grande forza, le parti di Penelope, restituendoci il mito sotto una nuova luce.

Penelope, donna saggia e fedele al marito Odisseo che riunisce in sé le qualità della moglie devota, prende la parola e lo fa solo dopo la morte.

Dal mondo dell’aldilà racconta la sua storia, dalla sua nascita alla sua morte, per rispondere alle tante cattiverie ricevute in vita, prima tra tutte la menzogna e i raggiri di Odisseo, suo marito, che per vent’anni rimase lontano da casa e dalla patria per combattere una guerra, quella di Troia, che durò in realtà solo dieci anni.

La forza di Penelope viene dimostrata già in tenera età, quando il padre cercò di annegarla dopo aver ricevuto l’oracolo che ella avrebbe tessuto il suo sudario, come se uccidendola avrebbe scongiurato la propria morte (in realtà il sudario sarebbe stato destinato a Laerte, suo suocero e padre di Odisseo).

La Atwood procede nel raccontare la vita matrimoniale di Penelope, tramite la voce della sua protagonista.

Penelope si lamenta con il lettore di non aver libertà di prendere alcuna decisione in merito all’amministrazione della casa perché sopraffatta costantemente dalla suocera Anticlea e dalla nutrice di Odisseo, Euriclea. La prima si rivolgeva a lei con parole dure e fredde considerandola troppo giovane e per questo inesperta per poter deliberare circa le faccende domestiche; la seconda le strappava dalle braccia il figlioletto Telemaco in quanto, a detta sua, una bambina non ha la forza di crescere una creatura destinata a diventare un grande condottiero.

La vita di Penelope era, quindi, caratterizzata da passeggiate, accompagnata dalle sue ancelle, e dal filatoio con il quale tesseva indumenti destinati agli schiavi perché, anche in questo, non era capace di tessere vestiti regali.

L’esistenza di Penelope divenne ancora più triste e difficile da sopportare con la partenza di Odisseo per la guerra di Troia, causata da sua cugina Elena, con la quale si percepisce esistere un astio dovuto all’incommensurabile bellezza di quest’ultima.

In assenza di Odisseo la povera Penelope non ebbe da sottostare solo a Euriclea e Anticlea, ma dovette anche tenere a bada i proci che occupavano la sua casa in attesa di una sua scelta: Odisseo non era ancora morto che un centinaio di pretendenti assillavano Penelope per convolare a seconde nozze, interessati solo di conquistare il potere e la ricchezza.

Unica salvezza per Penelope erano le dodici ancelle che aveva cresciuto come sue figlie e con le quali architettò l’ingegnoso piano del sudario.

Gli anni passavano, ma di Odisseo non si avevano più tracce fino al giorno in cui un mendicante arrivò a palazzo dicendo di avere notizie del marito di Penelope.

Il mendicante, come tutti sappiamo, era Odisseo in persona, tornato incolume dalla guerra di Troia e ora deciso a sterminare i proci.

Grazie all’aiuto del figlio Telemaco, Odisseo uccise tutti i proci, ma la sua ira si abbatté anche sulle dodici ancelle di Penelope colpevoli di averlo canzonato quando vestiva i panni del mendicante.

La scelta della Atwood di intercalare la narrazione di Penelope al coro delle dodici ancelle impiccate nasce dal desiderio che nasca in noi una domanda (o una serie di domande), sottovalutata dai più, ma di grande importanza: che cosa ha portato l’impiccagione delle dodici ancelle? E cosa c’è nella mente di Penelope?

In uno degli ultimi capitoli, il ventiquattresimo, Margaret Atwood ipotizza che il mito di Penelope sia un mito molto più antico di quello che si crede; un mito legato al culto della Grande Madre delle antiche civiltà mediterranee.

Le dodici ancelle sono fanciulle devote alla dea Artemide, la dea della luna, vergine implacabile e, come sacerdotesse, celebrano o riti della fertilità concedendosi ai pretendenti per poi ucciderli subito dopo (questa è una possibile spiegazione della strage dei proci) e la loro somma sacerdotessa, incarnazione di Artemide, sia proprio Penelope.

Ma ancora più interessante, a mio parere, è l’interpretazione della strage delle dodici ancelle quale fine indiscussa del potere matriarcale e l’instaurazione di un nuovo ordine patriarcale con a capo Odisseo.

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About Marianna Spaccaforno

Laureata in Scienze Filosofiche presso L’Università di Napoli “Federico II”. Ha conseguito un Master in studi Politici e di Genere presso l’Università di Roma “Roma Tre”. La sua formazione e le ricerche svolte in ambito accademico, l’hanno portata a interessarsi a tematiche connesse alla tutela dei diritti umani e ambientali. E’ impegnata in diversi progetti che si occupano di tutelare le soggettività marginalizzate. Lettrice appassionata, si definisce creativa e curiosa.