Unione Europea sulla scia di Monnet. Il focus di Giuseppe Rocco

La nascita dell’Unione è un’idea che serpeggia da secoli nella mente di illuministi europei. Un grande uomo, Giuseppe Garibaldi, nel 1860, pur essendo un indiscusso patriota, lancia l’appello per un unico Stato europeo. Alcuni attribuiscono a Carlo magno il merito di voler fondare l’Europa. Già il 4 ottobre 1926 a Vienna, il primo Congresso paneuropeo, richiama la costituzione di un’entità politica. L’autentico vero progetto per l’integrazione risale al primo dopoguerra, da parte del conte austriaco Richard Coudenhove-Kalergi, per prevenire ulteriori guerre fratricide e per intercettare i nuovi centri di potenza che si stavano costituendo: Usa, Giappone e Unione sovietica.

Nel tempo si registra nel 1941 il manifesto di Ventotene, a cura di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni. Questi tre cittadini italiani hanno l’estro per dichiarare una Unione europea unita. A loro si può attribuire la spinta proveniente dalla condizione di confinati sull’isola, per essere antifascisti. La svolta autentica, genuina, senza condizionamenti arriva dall’intuizione di un francese quasi sconosciuto, Jean Omer Marie Gabriel Monnet[1], il quale già nel 1943 ad Algeri, ove si trova come membro del Comitato francese di liberazione nazionale, pronuncia queste parole: «Non ci sarà mai pace in Europa se gli stati si ricostituiranno su una base di sovranità nazionale…[ciò] presuppone che gli stati d’Europa creino una federazione o una entità europea che ne faccia una comune unità economica.»

La sagacia di Monnet parte da un presupposto: carbone e acciaio sono prodotti da Francia e Germania, ciò può creare contrasti fra questi due paesi, al punto da scatenare guerre. Sostiene che sia necessario far gestire questi minerali primari da un Comitato neutrale ed europeo, togliendo i poteri alle nazioni, in modo da evitare contese fra stati. Nel 1950, al risorgere di nuove tensioni internazionali, Monnet decide che sia venuto il momento di tentare un passo irreversibile verso l’unione dei paesi europei. Prepara, con alcuni collaboratori, il testo di quella che sarà la Dichiarazione di Schuman, ministro degli esteri francese. Così il 9 maggio 1950, Monnet riesce ad illustrare il progetto e fa scattare quel granello di sabbia sollevato dal vento che va a innescare un momento di gloria, con la creazione della Comunità economica per l’acciaio e il carbone (CECA). Nel 1952 Jean Monnet diventa il primo presidente dell’Alta Autorità della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. 

Facendo un passo indietro, possiamo ricordare l’esempio delle 50 Repubbliche, che nel 1787 si associano a Filadelfia e costituiscono una confederazione “Stati Uniti d’America”. A quella data i rappresentanti sottoscrivono una Costituzione con tanti Stati federali, con una sola moneta e un solo esercito. In modo saggio inventano il federalismo, per lasciare una certa autonomia alle Repubbliche. Il progetto viene imitato dall’India, dalla Germania, dalla Svizzera, ecc. perché in questo modo si uniscono i popoli in modo volontario, senza sottomissioni, e non si possono far guerra perché le federazioni non hanno eserciti.

L’Unione Europea non è un’utopia o una cosa originale e impossibile, ma una meditazione storica di grande lungimiranza, per evitare i disastri delle guerre. Non a caso, sulla scorta di questa attività si promuove il “Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa”: il modello funzionalista concepito da Jean Monnet “all’obiettivo della creazione di uno Stato federale aveva sostituito quello tutto nuovo della sovranazionalità”. La strategia di Jean Monnet è infatti incentrata sulla funzione trainante di coalizioni sovranazionali, che alimentino sempre crescenti aggregazioni sino alla nascita del Mercato Economico Europeo (CEE) nel 1957. Una scelta che proietta l’economia italiana verso il portentoso progresso da far divenire il nostro Paese membro del G7.

Come sequenza storica si arriva all’Unione europea. Che nasce il primo novembre 1993 a Maastricht (Olanda). Con questa svolta, l’Unione estende il suo raggio di azione alla ricerca e allo sviluppo tecnologico, all’ambiente, all’industria, allo sviluppo delle reti di comunicazione, alla formazione professionale e alla politica sociale. Interessante nel Trattato l’introduzione del principio della sussidiarietà, secondo il quale l’Unione europea viene legittimata ad assumere iniziative quando gli obiettivi non possono essere realizzati adeguatamente dagli Stati membri, ovvero dove l’azione comunitaria diventa più efficace degli Stati. Il primo gennaio del 1999 arriva l’Euro (operante in Italia dal 2002), una storica iniziatica, che regala a 20 paesi dell’Unione una unica moneta, forte quasi come il dollaro. Viene ritenuta la seconda, dopo il dollaro, soltanto per la forza del petrolio, valutato appunto in dollari; credo che di fatto l’euro sia la più forte del pianeta.

Nella sequenza delle tappe importanti, il 7 dicembre 2000 a Nizza, viene firmata la carta dei diritti fondamentali nell’Unione europea. Si tratta di un passo importante e civile, in materia di diritti umani. L’art. 1 recita “La nostra dignità è inviolabile”; con esso il cittadino acquisisce il rispetto da parte di tutti. Il secondo articolo si riferisce al diritto alla vita di ognuno, impedendo la pena di morte. Bastano questi due articoli per offrire un quadro di grande rilevanza per il genere umano. Purtroppo vi sono ancora Stati in cui vige questa sciagurata legislazione; persino Trump, presidente degli Usa, fra le prime leggi del secondo mandato ha ripristinato la pena di morte.

Tornando alla nostra Unione europea, di cui siamo fieri, possiamo riferire di alcuni ostacoli ancora presenti:

  1. la mancanza di un esercito e non tanti eserciti nazionali con mezzi e strategie diversificati;
  2. il diritto di veto al Consiglio europeo, rappresentato dai Capi di Stato, il che rende difficile il tragitto dell’Unione nel percorso legislativo;
  3. La sperequazione nella fiscalità.

Pare comunque chiaro che, alla luce dei recenti cambiamenti degli Usa, uno strumento di difesa comunitaria diventi essenziale e prioritario. Come la Nato dispone di un esercito, alla stessa stregua l’Unione può realizzare una simile impostazione di difesa. Il progetto federalista europeo, come si diceva, nasce dalle ceneri dell’autodistruzione del vecchio continente, dilaniato e devastato da nazionalismi esasperati e dalla furia distruttrice delle due guerre mondiali. Per difendersi occorre preparare le condizioni, nel caso di invasioni. L’ultimo recente episodio, quello dell’aggressione della Russia di Putin a danno dell’Ucraina, appare un chiaro avvertimento da parte di un dittatore, che sente la retrospettiva chiamata a ricercare l’imperialismo del passato. Purtroppo noi potevamo contare sulla Nato sino ad ora; con l’avvento di Trump sulla scena mondiale, questo ombrello difensivo non pare più sicuro; gioco forza occorre predisporre un sistema di difesa per frenare tentativi egemonici.

Le cose sono mutate negli ultimi tempi, soprattutto per l’intento imperioso di Putin che vuole ripristinare l’impero, avvertendo una spinta espansionistica e una missione, a guisa di un incarico messianico proveniente dal cielo.

L’altro elemento negativo sono le decisioni all’unanimità. Su 27 paesi questa impostazione diventa paludosa, in quanto ritarda i tempi e addirittura basta un singolo Stato membro a bloccare una decisione. In un momento storico così dinamico, in cui occorrono decisioni rapide, questa metodologia pregiudica la vita stessa dell’unione. In tal modo, andiamo oltre la democrazia, perché questa impostazione non rappresenta la libertà ma compone vincoli che mettono in discussione la sopravvivenza dell’istituzione. Per esteso, l’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza appare una figura opaca e fuori dalla governabilità. Anche qui occorre cambiare dimensione per istituire un ministero funzionante e dotato dei necessari strumenti, che possa restare il punto di riferimento rispetto ad altri Stati ed organismi esteri.

Pesa pure la scelta inglese della Brexit, operata in un momento particolare, ma ora i tempi sono maturi per nuovo ingresso nell’Unione, per completare l’assetto geografico in Europa e per ristabilire la forza della storia.

Il terzo intoppo è la variegata fiscalità, che favorisce l’evasione in quanto gli imprenditori trasferiscono la sede legale in quei paesi ove la tassazione è bassa. Fra l’altro in alcuni paesi dell’Unione sono presenti i paradisi fiscali, vera e propria dispersione delle energie e il complotto contro i cittadini onesti.

L’Unione europea si pone per ora come un esempio di democrazia, forse unica nel Pianeta, dopo l’avvento di Trump che sta cancellando i semi della democrazia negli Usa. In pratica l’Unione europea resta il simbolo della democrazia e l’ultimo custode della libertà, perché si riesce a vivere assieme assicurando la convivenza nella diversità etnica. L’Impero romano ha fondato le radici di civiltà nel mediterraneo e quindi nell’Europa, la rivoluzione francese ha sancito in modo definitivo il diritto alla libertà e all’eguaglianza, le due guerre mondiali vissute particolarmente in Europa hanno insegnato l’errore e l’orrore della guerra. Da queste travagliate vicende il popolo europeo ha preso atto ed ha innescato i meccanismi di democrazia e libertà, regimi non ancora attuati nonostante i tremila anni dopo Cristo negli altri Stati. Noi ci facciamo carico della spinta di civiltà verso tutti gli altri popoli. In questo contesto, l’Unione europea diventa il faro a cui guardare. Questa aggregazione maturata e consolidata, va sostenuta e migliorata per aggiornare i rapporti sia verso le nuove forme di agiatezza che verso le difese necessarie a bloccare storture o denigratori e aggressori.

Davvero grave appare il mancato riconoscimento del concetto da parte di alcune forze politiche, come l’Ungheria di Orban e la Lega in Italia, che si prestano ad ostacolare questa eccellente piattaforma (UE), veramente esempio di saggezza e di saper vivere. La comprensione dell’Unione europea è anche un problema di identificazione dei principi che ne rendono riconoscibile l’autenticità e la coerenza nell’ambito della sopravvivenza sociale, intesa come grandezza economica, storica e culturale.

Ci troviamo in mezzo a due “Falsi Messia”: un rinnovato e maldestro Putin, sempre impegnato in una retorica di revanchismo neo-imperiale nel sogno di ripristinare un organismo del tipo Urss; questo tiranno attua una strategia per destabilizzare le democrazie europee, tramite campagne di disinformazione, finanziamenti occulti ai partiti sovranisti, attacchi informatici. Trump, il nuovo alfiere di un’America tecnologica e militare, con la presunzione di decidere le sorti del mondo, reclama la Groenlandia a pieno titolo per gestire un migliore controllo sul pianeta ed egemonizzare nazioni confinanti. Bastano questi due avvoltoi della storia, per spingere l’Unione europea a trovare uno spazio rilevante nell’architettura dei poteri.

Alla disamina pare opportuno aggiungere una riflessione sul mercato finanziario che viene totalmente mutuato dall’iperliberismo americano, come visione spregiudicata, libera e senza controllo. Nella speranza, nel sogno e nella volontà di perseguire l’ammodernamento e il rafforzamento dell’Unione europea, al più presto dobbiamo sganciarci dal modello americano e far rientrare la Borsa valori nel suo contesto essenziale, primordiale ed ontologico. Dobbiamo eliminare la componente di manipolazioni, che non offrono credito all’economia reale e al benessere sociale. Se le cose procedono nel segno di Monnet, potremo scrivere una nuova pagina di autentica civiltà e poter continuare ad essere di esempio in tutto il Pianeta, confermando un’aggregazione solidale, poliedrica, esaltante e semantica.


[1] Monnet nasce a Cognac, un comune nel dipartimento della Charente in Francia, in una famiglia di commercianti di cognac. Secondo Jacques-René Rabier, i valori del laicismo e del repubblicanesimo, così come una forte tradizione cattolica, coesistevano nella famiglia di Monnet. Sua madre era profondamente religiosa. All’età di sedici anni, Monnet abbandona a metà gli esami di ammissione all’università e si trasferisce nel Regno Unito, dove trascorre diversi anni a Londra. 

©Riproduzione riservata

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.