VINICIO CAPOSSELA INCONTRA GLI STUDENTI DEL CIMAROSA
LA POPULAR MUSIC DIVENTERA’ DISCIPLINA ACCADEMICA AL CONSERVATORIO DI AVELLINO
Giunta al Cimarosa l’autorizzazione del Miur ad attivare il l’insegnamento della Popular Music. «Capossella potrebbe diventare un nostro docente» così il direttore del Conservatorio di Avellino saluta l’arrivo in auditorium di Vinicio Capossela accolto dai giornalisti e da una moltitudine di giovani allievi dell’Istituto. La bella notizia ha colto tutti di sorpresa mentre l’artista ha iniziato con umiltà a raccontarsi al giovane pubblico con l’aiuto del professor Antonio Caroccia.
«Ho appreso con piacere, perché riferitomi da un amico a Livorno, che il Conservatorio Cimarosa è quarto in Italia – ha esordito – Sono contento che Avellino sia conosciuta anche per questo oltre che per il Basket».
Nel colloquio con il professor Caroccia, Capossela ha spiegato poi il suo legame con l’Irpinia e con la “zolla di terra” che è cresciuta dentro di lui attraverso il racconto dei nonni e dei genitori, originari di Calitri ed Andretta. «Ho trasferito nel tempo questi racconti in una dimensione onirica; nel libro “Il paese dei Coppoloni” si crea il mito che è la storia del mondo, dove i racconti delle nonne hanno le stesse cadenze dei versi dell’Odissea di Omero». Ma nonostante il legame di sangue con il Sud, Capossela non si definisce un portavoce di questa terra, un portatore della cultura del Sud come qualcuno avanza erroneamente; oltre ad essere nato in Germania, ha vissuto, infatti, sempre in Emilia Romagna. Le suddivisioni non vanno fatte secondo lui in Nord e Sud: più giusta la divisione in Italia delle terre dell’osso, interne, legate all’Appennino e ai fenomeni sismici e, ancora, alla migrazione e Italia delle città e delle coste, l’Italia del mare. Il Sud è stato per lui il luogo cui attingere certe radici comuni che sono di molti luoghi. Nelle sue canzoni e nei suoi libri, infatti, la contaminazione del dialetto va oltre il luogo e gli stessi calitrani non lo riconoscono come il loro. Il suo sguardo ai Balcani e alla musica orientale, poi, lo ha portato a scoprire altre culture, altri miti che ci avvicinano di più a quelle sensibilità.
Altra passione di Capossela la musica classica che ascolta ogni giorno e l’opera italiana, soprattutto quella di Rossini, capace di superare anche il confronto con i tempi e con gli allestimenti operistici in chiave moderna che rileggono le scene mentre la musica rimane se stessa.
Poi i ricordi dei suoi primi esperimenti musicali su una tavola di legno su cui aveva disegnato i tasti del pianoforte, le citazioni del padre che provenivano sempre da canzoni di Celentano e Carosone e l’innamoramento per gli strumenti a tasto e poi il suo primo organo. I suoi studi musicali però sono stati svolti al di fuori dei conservatori che ha sempre visto come veri e propri “santuari” in cui si conserva qualcosa. Il chiarimento sul significato del nome dato a questi istituti viene dal professore Caroccia che gli spiega come nacquero a Napoli nel Cinquecento per togliere dalla strada i bambini e insegnare loro un mestiere: conservando in questo modo la loro virtù. La scoperta lascia Capossela colpito.
Nella rivisitazioni di brani composti da altri, spiega infine, rispondendo alle domande degli studenti presenti in sala, è necessario ricostruire una autenticità; ma questa esiste solo se c’è verità nel percorso compositivo. «Le canzoni si completano con l’ascolto ma per vedere la verità ci vuole fede!»
Eleonora Davide
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