“A che serve la memoria, allora?” si chiedono i bambini

Il nostro paese per Costituzione ripudia la guerra, l’uomo dovrebbe per natura, appunto per costituzione ripudiarla. Eppure, assistiamo, non da adesso, a continue guerre qua e là nel mondo, volute dai potenti e combattuta dagli ultimi. La guerra in Ucraina ci sconvolge perché è dietro le nostre porte, una guerra raccontata minuto per minuto dai media e per questo si distingue da quella raccontata dai libri di storia. Ci sconvolge come quando ci muore un parente prossimo, mentre ci lascia indifferente, soprattutto in città, la morte del dirimpettaio. L’Occidente, che ha sempre fomentato gli ultimi della terra, producendo per loro armi da utilizzare in guerre necessarie fosse solo a smaltirle, adesso mostra tutta la sua fragilità, vulnerabilità nell’incapacità di far cessare il conflitto. L’Europa in primis, che dovrebbe essere il cuscinetto pacifista tra le due potenze da sempre in guerra fredda, ora è surriscaldata a tal punto da far rivivere scene anacronistiche, di tempi che credevamo superati.
Domenico, poco più che un bambino, oggi ha scritto a scuola: “A che serve la memoria, allora?”
In questa semplice domanda c’è il feroce giudizio dell’ipocrisia del mondo adulto che continua nei rituali dedicati alla memoria, per non dimenticare per ricascarci in pieno come se non fosse mai accaduto prima.
In Italia poi il solito teatrino degli schieramenti partitici che a tutti costi devono contrapporsi. Ogni argomento è occasione di cavalcare un’onda, un monopensiero assunto da un partito di turno, che non contempla sfumature. Essere pacifisti è essere pro-Putin, inviare le armi all’Ucraina no. Si tratta di una contraddizione in termini, giocando sulla questione delle armi e della pace, evitando schieramenti palesi che comporterebbero l’allargamento del conflitto. In realtà siamo tutti in guerra e tutti vinti. Il racconto mediatico, sensazionalistico, nella ricerca spasmodica del caso più pietoso raccontato in ogni spazio televisivo e non relegato ai professionisti di settore, non fa altro che portare assuefazione a immagini e racconti più simili alle serie tv, così care ai ragazzi. Il dibattito è violento, contrapposto, fazioso mai costruttivo, ponderato, analitico dove, invece, la rincorsa alla fine delle ostilità dovrebbe accordare tutti.
Ma non si può parlare di pace se non si è educati al concetto, sosteneva la Montessori. Per onorare la Costituzione in un paese democratico, si sarebbe dovuto investire tempo fa su un’educazione pacifista e una politica pacifista.
La realtà è che invece anche durante la pandemia, sparita quasi del tutto e improvvisamente dai palinsesti dei notiziari italiani, dove avremmo dovuto avere, per buonsenso civico, un’unica linea di pensiero, ci siamo divisi in fazioni agguerrite, con un verbo violento e aggressivo.
Il fatto è che non siamo educati alla pace neanche nei nostri vissuti quotidiani e, adesso che una vera guerra fratricida ci angoscia, sembriamo accorgercene; tuttavia, in tempo di finta pace ce ne dimenticheremo presto e ne relegheremo il pensiero alla solita giornata dedicata con qualche striscione ed evento rituale. I corsi e ricorsi storici ci indicano che l’umanità non è detto sia in continua evoluzione.
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