ARCANGELO CORELLI E LA ROMA DEL SEICENTO
Arcangelo Corelli (Fusignano 1653-Roma 1713) 300 anni dopo
Deduzioni e induzioni
A cura di Giuseppe Maria Pilo e Laura De Rossi, presentazione di Eugenio Lo Sardo
Il volume, pubblicato da Marcianum Press, raccoglie gli interventi di insigni studiosi di storia dell’arte tenuti in occasione della presentazione della mostra organizzata in onore del celebre violista secentesco Arcangelo Corelli per trecentesimo anniversario della sua morte. Al centro delle celebrazioni dell’artista il restauro del suo testamento e dell’inventario dei suoi beni.
Nel testo i relatori ripercorrono le fasi del ritrovamento del prezioso documento storico e del suo recupero in extremis, grazie al finanziamento del Centro per lo Studio e la tutela dei Beni Culturali, presieduto dal professor Giuseppe Maria Pilo, storico dell’Arte veneziana, docente alla Ca’ Foscari di Venezia e medaglia d’oro di Benemerito della Cultura, riconoscimento conferitogli dal presidente Napolitano. Ma più significativo ciò che dai racconti scaturisce, ovvero la vita dell’artista inserita in quello che è un contesto storico affascinante e nello stesso tempo poco conosciuto, che viene svelato dagli oggetti e dai documenti della collezione di Corelli. Dai quadri alle incisioni, minuziosamente descritte nell’inventario, a documenti vari, agli oggetti di mobilio, tutto concorre alla descrizione del gusto dell’epoca che non può prescindere dalla produzione musicale, né dagli stili esecutivi del Corelli.
A muovere il meccanismo che porta alla restituzione del testamento, redatto qualche giorno prima della sua morte, e dell’inventario, stilato qualche giorno dopo, è il giornalista Fabio Isman, oggi collaboratore de Il Messaggero e de Il Giornale dell’Arte, che dopo essersi interessato per anni di inchieste sul terrorismo italiano, si è dedicato alla cultura e alla denuncia del saccheggio dell’archeologia clandestina in Italia.
E’ proprio con un suo articolo su Il Messaggero – in cui il giornalista parla dell’esistenza del testamento, custodito dalla dottoressa Simonetta Ceglie all’Archivio di Stato di Roma, e della necessità di un restauro urgente (impedito finora dalla carenza di fondi) – che Isman cattura l’interesse del professor Pilo, il quale annuncia di poter reperire le risorse necessarie, affinché lo studio dei documenti divenga bene comune. Il miracolo avviene e oggi possiamo sbirciare in una parte della storia della Roma papalina a cavallo tra XVII e XVIII secolo.
Arcangelo Corelli fu il musicista cui si deve la valorizzazione delle composizioni per strumenti ad arco e l’ampliamento delle potenzialità del concerto grosso (genere che perciò restò legato al suo nome), ampliando di molto gli organici rispetto a quanto si era fino a quel momento abituati a fare. Non fu solo primo violino, ma anche direttore e coreografo delle “accademie per musica” alla corte di Palazzo Riario, residenza romana della regina Cristina di Svezia. Organizzando le accademie, da cui discendono gli attuali concerti musicali, Corelli usava disporre gruppi di musicisti in diversi punti della sala per sfruttare i curiosi effetti dovuti alle risonanze e all’eco. Proprio per la regina, che a Roma fondò il primo teatro d’opera pubblico, il Tordinona – dove per la prima volta comparvero donne nei ruoli femminili – che Corelli compose la sua prima opera, dirigendo ben 150 musicisti.
Il violinista operò a servizio di varie cappelle romane, da San Giovanni dei Fiorentini a San Luigi dei Francesi e risulta che appartenne anche alla “congregazione ed accademia romana di Santa Cecilia de’ virtuosi di musica” con Bernardo Pasquini e Alessandro Scarlatti. Fu a servizio del giovane cardinale Benedetto Pamphilj e, proprio dalla descrizione ritrovata della cerimonia di dottorato in filosofia e teologia del futuro cardinale, si ottengono utili informazioni su ambienti e circostanze della prassi musicale romana di cui ancora non si conoscevano i dettagli; vi compaiono anche le citazioni a musiche per voci e strumenti. I
l suo successivo passaggio alla corte del cardinale Pietro Ottoboni, nipote del Papa Alessandro VIII, immerse il musicista in un ambiente ricco di stimoli e di contatti con l’arte e la cultura che si vivevano a Roma, sviluppando la tendenza a raccogliere tutto ciò che il gusto artistico dell’epoca, più ancora che il suo personale, dettava. In questo modo, la sua enorme collezione d’arte, di cui rimane poco, racconta più di ogni altra descrizione la Storia. Il sogno di Ottoboni di fondare un’Accademia delle arti con il nome di “Albana” che formasse artisti non solo nella letteratura o nella musica, ma in tutte le arti, anche quelle che consentivano di diventare cavaliere, divenne un ambizioso progetto che riunì un gran numero di artisti tra cui primeggiava Corelli. Il progetto prevedeva, oltre agli alloggi per insegnanti e discepoli, anche la realizzazione di un teatro che ospitasse le rappresentazioni profane, ma la cosa non fu ben vista né dal Papa zio, né dal suo successore Clemente XI, che sostennero la sopravvivenza della già esistente Accademia di San Luca, facendo naufragare il sogno artistico di Pietro Ottoboni.
La conclusione della presentazione di cui il libro è un resoconto, è stata affidata all’esecuzione del La Follia di Arcangelo Corelli per mano dei Maestri Luigi Piovano, primo violoncello solista dell’Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, e Grazia Raimondi, primo violino ospite dell’Orchestra di Padova e del Veneto. La sonata per violino e basso continuo è basata sull’antica danza portoghese Folia, seguita da 23 variazioni, virtuosismo strumentale, colpi d’arco a fulmicotone, linea melodica e continua sfida con il basso continuo, che– come riferisce il Maestro Piovano – assume nel complesso un carattere indemoniato.
Eleonora Davide
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