Certificato di origine, una garanzia del prodotto

L’origine della merce resta il concetto principale nel commercio internazionale, soprattutto ai fini della definizione delle procedure e degli obblighi: licenze, autorizzazioni, assoggettamento ai dazi doganali, applicazione di accordi bilaterali, ecc.

Il riferimento base dell’origine trae lo spunto dalla convenzione internazionale di Ginevra del 3 dicembre 1923, che trova consensi anche sotto la spinta del dirigismo economico più che mai interessato a verifiche di origine sui prodotti per facilitare o bloccare transazioni commerciali.

In un momento storico più equilibrato, si registra una successiva intesa, nota come “Convenzione internazionale sulla semplificazione ed armonizzazione delle procedure doganali” firmata a Kyoto il 18 maggio 1973.

Alla disciplina di Kyoto fanno da ornamento altre fondamentali convenzioni, come:

  • la convenzione per la protezione della proprietà industriale, firmata a Parigi il 20.3.1883, più volte riveduta;
  • l’accordo per la repressione delle indicazioni di provenienza false e fallaci, firmato a Madrid il 14.4.1891 e più volte riveduto;
  • l’accordo per la protezione e la registrazione internazionale delle denominazioni di origine, firmato a Lisbona il 31.10.1958.

 Il riferimento giuridico attiene al Codice Doganale Unionale, recepito dal Reg. CE 952/2013, surrogato dai regolamenti applicativi 2446/2105 e 2447/2016.

Sul piano specifico delle finalità, l’origine della merce assume diversi significati. Essi vanno da quelli strettamente commerciali (protezione della proprietà industriale, tutela delle denominazioni di origine controllata, buona fede del consumatore, ecc.) a quelli di tutela di interessi pubblici dei singoli Stati.

  Tra questi ultimi vanno citati le seguenti motivazioni:

  • commerciale, per l’applicazione di Convenzioni, trattati, accordi o di disposizioni interne del Paese importatore che prevedono restrizioni quantitative di qualsiasi genere;
  • politico, ai fini dell’applicazione di misure discriminatorie nei confronti di Paesi con i quali sono in atto contrasti di natura politica;
  • doganale, per l’applicazione di regimi tariffari differenziati, in particolare quelli preferenziali o discriminatori, da applicare all’importazione;
  • valutario, per il rispetto delle norme che disciplinano i regolamenti valutari con l’estero;
  • igienicosanitario, per la tutela della salute pubblica;
  • veterinario e fitopatologico, per la protezione della fauna e della flora nazionali;
  • statistico, per la raccolta dei dati sul commercio estero, necessari soprattutto alla elaborazione da parte dei competenti organi governativi delle linee direttrici della politica commerciale del Paese;
  • promozionale (profilo di attualità), che vede impegnate le imprese, gli organismi internazionali e gli organi statuali. L’indicazione del made in… può costituire per il consumatore una scelta verso prodotti italiani per una serie di garanzie, soprattutto in termini di qualità e di sicurezza. Fra l’altro l’individuazione dell’origine (made in…) comporta dei riverberi sull’economia nazionale, in quanto la mancata indicazione dell’origine può favorire l’importazione di merci prodotte con materiale di scarso pregio o con metodi meno sicuri da punto di vista igienico.

Il documento tipico per dimostrare l’origine è il certificato di origine, che viene rilasciato dalla Camera di commercio nella cui circoscrizione opera la sede legale o una unità locale della ditta. L’operatore può rivolgersi ad altra Camera, a condizione che quest’ultima sia all’uopo autorizzata.

Questo certificato attesta la località nella quale determinate merci sono state coltivate (agricoltura), estratte dal suolo (industria estrattiva), fabbricate dall’industria e confezionate (industria manifatturiera).

Una merce, nella cui produzione siano intervenuti due o più Paesi, è originaria dello Stato nel quale è avvenuta l’ultima trasformazione e lavorazione che risponda congiuntamente a quattro condizioni:

  • venga effettuata da un’impresa attrezzata a tale scopo;
    •  sia sostanziale, nel senso che i prodotti impiegati perdono la loro identità merceologica dando vita ad un nuovo prodotto con una diversa voce doganale ad otto cifre;
    • sia economicamente giustificata, ossia una lavorazione che abbia come risultato un prodotto finito, il cui valore sia superiore a quello complessivo dei componenti utilizzati, per effetto del plusvalore ad esso conferito dalla lavorazione;
    • che abbia come risultato un prodotto nuovo o che rappresenti una fase importante della fabbricazione, tale da far mutare la forma, la destinazione o la possibilità di utilizzazione della merce (es. dal legno di un albero si ottiene una scrivania).

Le suddette condizioni devono verificarsi congiuntamente. In tali eventualità, pur seguendo criteri di carattere generale, non si può prescindere dalla discrezionalità dell’ente emittente.

Per alcuni specifici prodotti, la Commissione CE, attraverso il Comitato per l’origine, onde evitare diverse interpretazioni degli organismi abilitati al rilascio dei certificati, ha definito il significato di “operazioni economicamente giustificate” per: carni fresche, succhi di uva, uova, apparecchi riceventi, ceramica, tessili, pezzi di ricambio e cuscinetti a rotolamento. Per citare un caso regolamentato, la macellazione di animali domestici conferisce alle carni l’origine del Paese ove è avvenuta la macellazione, solo se gli animali sono stati ingrassati in tale Paese per un periodo di tre mesi per la specie bovina ed equina ed almeno due mesi per la specie suina ed ovina. In condizioni diverse, l’origine attiene al Paese in cui gli animali sono stati ingrassati o allevati per il periodo più lungo.

Si considerano sempre insufficienti a conferire il carattere originario le seguenti lavorazioni o trasformazioni:

  1. le manipolazioni destinate ad assicurare la conservazione dei prodotti tali e quali durante il trasporto e il magazzino (ventilazione, spanditura, essiccazione, rimozione di parti avariate e operazioni affine);
  2. le semplici operazioni di spolveratura, vagliatura, cernita, classificazione, assortimento (ivi compresa la composizione di serie di prodotti), lavatura, riduzione in pezzi;
  3. i cambiamenti di imballaggio, le divisioni e riunioni di partite, la semplice insaccatura e ogni altra operazione di condizionamento;
  4. l’apposizione sui prodotti e sul loro imballaggio di marchi, etichette o altri segni distintivi di condizionamento;
  5.  la semplice riunione di parti per costituire un prodotto completo.

In ordine alle procedure, il certificato va richiesto dall’esportatore finale. In altri termini, se esiste una triangolazione con un cedente italiano, un cedente-cessionario italiano e un cessionario straniero, la richiesta va effettuata dal cedente-cessionario italiano. Viene tuttavia riconosciuta una eccezione al cedente, che può fare richiesta del documento, ponendo la dizione “per conto della ditta (cessionaria)” e producendo alla Camera di commercio la fattura di esportazione del cessionario italiano. Tale ipotesi è di rara attuazione, poiché il venditore finale non vuol far conoscere il valore del ricarico in fattura e soprattutto non vuole svelare il nome dell’acquirente estero, allo scopo di evitare futuri accordi che lo scavalchino.

Come si evince, la dimostrazione di origine compete all’ultimo venditore italiano o comunitario, anche se commerciante. Ciò differisce dalla dimostrazione di conformità alla normativa comunitaria o italiana, che grava sempre sul produttore della merce per definire i processi di lavorazione.

L’importanza del certificato di origine è fuori dubbio se si pensa che interessa oggi circa il venti per cento delle esportazioni italiane, per effetto della richiesta obbligatoria da parte di Stati arabi, dell’Africa del nord e dell’America latina.

Negli ultimi anni il certificato sta modificando parzialmente il ruolo, estendendo la propria funzione anche agli aspetti di qualità del bene, come ad esempio l’identificazione di un prodotto ritenuto pregiato e a tal fine certificato (vino sangiovese di Romagna, formaggio parmigiano reggiano, ecc.).

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.