DOVEVO FARLO di Antonietta Urciuoli

 DOVEVO FARLO di Antonietta Urciuoli

 Mamma, mamma, aiutami! Non farmi portare via! Non lo farò più!” Queste parole saltellavano nella mente ormai stanca di Alessia e la scena di quella mattina di primavera si faceva sempre più spazio, dominando i suoi pensieri. Lo rivedeva piccolo il proprio figlio, ben educato e molto studioso, nel suo grembiule azzurro col fiocco bianco. Come tutte le mamme del mondo sognava a occhi aperti. Lo vedeva giudice con la toga nei tribunali, medico tra le corsie ospedaliere, professore universitario. “Promette molto bene. Un giorno vi darà grandi soddisfazioni” ripetevano i professori e lei, soddisfatta, insieme al marito ritornava a casa, dopo i colloqui, con quell’allegria nel cuore che si avverte quando tutto va per il verso giusto. Soddisfazioni Mario ne dava continuamente: si era diplomato e laureato col massimo dei voti e iniziava per lui una strada tutta in salita. Il master a Londra, l’ottima conoscenza della lingua inglese e una buona preparazione, indispensabile in un momento di crisi a livello mondiale, gli avrebbero spianato la strada del successo. Quanti sacrifici avevano fatto e continuavano a fare Alessia e Giorgio per pagargli l’affitto in terra straniera. Di sera mangiavano il latte o le noci col pane, perché solo risparmiando potevano mandare qualche spicciolo in più al proprio figlio.

 

Ma a Londra Mario si innamora di una giovane inglesina, molto ricca e soprattutto molto viziata. Nel giro di pochi mesi gli stravolge l’esistenza. Lo distoglie completamente dallo studio e lo fa precipitare in una vita senza senso, ricca di benessere materiale. Il semplice, studioso ragazzo italiano, con un bagaglio di buone intenzioni e ricco di valori inculcatigli sin da piccolo da una famiglia modesta che per farlo studiare aveva rinunciato a tutto, all’improvviso, intraprese un’altra strada. Il padre inforcando i suoi vecchi occhiali cuciva anche di notte, senza mai lamentarsi perché l’unica, grande soddisfazione era il proprio figlio, il suo avvenire che sperava radioso. Da anni questi genitori non vedevano il mare, né facevano una vacanza. Durante qualche passeggiata non si fermavano al bar per un caffè o per l’aperitivo, si limitavano solo a guardare le vetrine e la loro felicità aumentava quando pensavano al loro ragazzo che un giorno avrebbe avuto un ruolo importante nella società e avrebbe condotto una vita migliore della loro.

E’ strano! Da tre giorni non telefona,né risponde al cellulare. Devi urgentemente andare a Londra!” disse Alessia al marito.“Devi partire subito, ho un brutto presentimento! Nostro figlio non sta bene!”.Giorgio, dopo qualche giorno, raggiunse Londra e i suoi occhi videro il contrario di quello che si era immaginato. Sulla scrivania  del figlio i libri erano stati sostituiti da bottiglie di liquore. La piccola pensione era in un completo disordine e sporcizia. Suo figlio era irriconoscibile e venne a sapere dai vicini che da mesi frequentava strane amicizie. Raccolte le forze che un genitore è costretto a trovare in situazioni drammatiche, fece ricoverare suo figlio in ospedale. Senza fare alcun cenno alla moglie di come l’aveva trovato, le disse che aveva una bronchite e che dopo la guarigione l’avrebbe portato a casa. I giorni  del ricovero furono drammatici perché suo figlio, in preda agli stupefacenti, doveva essere disintossicato. Superate le crisi d’astinenza, padre e figlio tornarono in Italia con l’amaro in bocca. 

Mario era cambiato,non era più il figlio di un tempo e per quella famiglia cominciarono le dolenti note. Era diventato un ragazzo intrattabile, rissoso, gridava per ogni sciocchezza e appariva agli occhi degli altri come chi cerca disperatamente qualcosa senza trovarla. I genitori li trattava male, li offendeva continuamente per la loro povertà e li odiava per averlo messo al mondo. Voleva condurre una vita molto agiata che richiedeva tanto denaro. Cominciò a frequentare l’élite cittadina e, non potendo avere denaro dalla famiglia,senza dir niente, cominciò a rubare. I primi furti li fece proprio nella sua umile casa, impossessandosi di quel poco oro che la mamma aveva conservato e lo vendette. Le lacrime della mamma non toccarono il suo cuore, diventato ormai di pietra. “Smettila di piangere! Del resto che oro avevi!”disse a sua madre ed ella replicò: “C’erano le fedi dei miei genitori,erano un ricordo. Di tanto in tanto le prendevo tra le mani, le carezzavo e le baciavo”. A quelle parole restò infastidito e col tempo continuò a rubare i soldi delle bollette e del condominio. Rubò anche nelle case dei parenti, minacciando anche gli anziani nonni che l’avevano tanto amato. Col denaro rubato ricominciò a comprarsi la droga. Quando non poteva comprarla, appariva un pazzo, gridava e picchiava la mamma e pretendeva con forza il denaro. La vita in quella casa si trasformò in un vero e proprio inferno. Non c’era modo di trovare una via d’uscita:la tristezza,il dolore invasero quella che una volta era una famiglia normale. Mario, giorno dopo giorno, prese il sopravvento:gridava e picchiava chi l’aveva messo al mondo, si scagliava contro di lei per un nonnulla e con violenza rompeva tutti gli oggetti di casa. 

Dopo molte notti insonni, la madre decise che doveva prendere una decisione. Doveva necessariamente raddrizzare quel figlio anche se con ritardo. Doveva farlo, soprattutto, per il suo bene, perché il dovere di una mamma è quello di vedere la realtà così com’è anche se cruda.

Un bel mattino, si recò al posto di polizia e denunciò suo figlio per maltrattamento e per aver rubato nella sua casa e in quella dei parenti. Quando uscì da quell’ufficio disse tra sé “Dovevo farlo! Era mio dovere! Mi pento di aver fatto passare troppo tempo. L’importante è averlo fatto!”

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