Harlem, You write the rules di Luca Leone. Recensione e intervista all’autore

Nel leggere le 472 pagine di Harlem, You write the rules di Luca Leone, mi affretto. Lo faccio perché, sin dall’inizio, mi attira come una calamita. Eppure, quasi giunta al termine, leggo una pagina alla volta e poi mi fermo, rendendomi conto di non volerlo mollare.

Man mano che procedevo nella lettura mi dicevo che poteva essere tranquillamente una storia vera e, da appassionata di basket ma non sua profonda conoscitrice, soprattutto di quello che si gioca sui playground, non sapevo che alcuni dei protagonisti del libro sono dei personaggi esistiti davvero nel mondo del basket americano. Non poteva essere altrimenti in quanto c’era nella trama qualcosa di assolutamente vero che piace e rattrista nello stesso tempo, ma che fa così affezionare alla lettura da non riuscire a staccarsene anche dopo la fine.

Ho già deciso, infatti, che lo rileggerò e lo proporrò a tutti i giovani che giocano a basket e agli appassionati di questo straordinario sport.

Harlem, You write the rules, è un libro che mi è molto piaciuto, con una trama tratta, quindi, da storie vere. Il binario su cui essa si dipana è doppio: da una parte il gioco del basket “di strada”, quello che non ha regole, ma è mosso solo dalla passione e dal talento, dall’altra la vita dei diseredati di strada, quelli che nascono già dalla parte sbagliata e ben presto, ancora bambini, diventano dei teppisti, spacciando droga, compiendo rapine e obbedendo ciecamente al boss del quartiere.

Eppure sul playground essi diventano persone nuove, pulite, con dei talenti straordinari che fanno gola gli agenti dell’Nba. E quando questi ultimi darebbero loro volentieri una possibilità di riscatto, le regole, sono proprio quelle a fermarli.

Alla fine degli anni ’70, i protagonisti del romanzo di Luca Leone sono giovanissimi, eppure sembrano già uomini mentre girano per le strade di Harlem, il quartiere nero di New York nel quale per soldi si ucciderebbe la propria madre o si venderebbe la propria sorella. Lì si cerca di salire la piramide del potere senza mezzi termini, bisogna essere dei duri se si vuol diventare ricchi e uscire da quella fogna di quartiere.

Il gioco del basket accomunerà per sempre la vita dei giovani protagonisti e ogni volta darà loro una chance.

Gli errori commessi saranno pagati a caro prezzo da questi ragazzi, campioni gettati al vento perché incapaci di guardare lontano.

Ognuno ha una storia e una famiglia diversa, le vicissitudini ne creano dei tipi psicologici, con caratteri che vogliono farli apparire rocce, ma che nascondono un cuore debole e un animo fragile piegato dai dispiaceri e dai fallimenti.

Tra loro, sebbene saranno sempre divisi dalle loro scelte, esisterà qualcosa nata quando erano ragazzi sul campo di basket: lo spirito di squadra, quello leale, che fa alzare un compagno caduto o sorreggerlo fino ai margini del campo, quello che consente un assist vincente guardando da tutt’altra parte o un pick&roll sorprendente. A questo si aggiunge un cameratismo unico che li accompagnerà fino alla fine della loro storia.

Molto bravo, a mio parere, l’autore Luca Leone che dedica il suo libro al Balena’s Camp, il primo playground di Roma, la sua città.

Bravo perché, innanzitutto, ha saputo scrivere con passione il suo romanzo, passione che trasuda nello sfogliare le pagine e poi perché ha avuto così tanto desiderio di scrivere che ha compiuto instancabili ricerche per poter tirare su la trama. Vicende realmente accadute si intrecciano, con sapienza e abilità, a fatti inventati. Si evince dalla stesura del libro, infatti, la notevole competenza degli argomenti sia per ciò che riguarda il gioco del basket, sia per la storia della città di New York, che per la vita dei protagonisti.

Harlem, You write the rules non è comunque solo un libro sul basket.

L’autore sa ben tratteggiare gli aspetti psicologici di chi vive e cresce in strada, le sofferenze per gli abbandoni e le violenze nonché l’assenza di autostima che manca a chi cresce sentendo di essere un perdente nonostante abbia talento da vendere.

Vorrei, infine, segnalare che Harlem, You write the rules potrebbe diventare anche un bellissimo film che sicuramente gli appassionati del basket guarderebbero con grande piacere.

Innanzitutto complimenti per il suo libro che mi è piaciuto moltissimo. La mia prima domanda è sulle sue passioni. Ho letto che lei è un appassionato di informatica ma che ha scritto un thriller ambientato nel mondo della ricerca scientifica. Ama anche il calcio, ma la scopro a scrivere un meraviglioso libro sul gioco del basket. Quindi?

Sono affascinato dal “talento”, quella specie di superpotere che rende facile l’impossibile. Chi lo ha non sempre se ne rende conto e molto spesso lo reprime proprio perché quel dono è anche una maledizione con cui convivere perché crea aspettative nelle persone che non sempre coincidono con quelle di chi si trova ad avere talento.

In base allo studio che lei ha fatto dei personaggi che hanno ispirato il suo libro, vorrei sapere quanto secondo lei le periferie di qualsiasi città siano accomunabili alla Harlem di cui lei tratta nel libro.

Per certi versi tutte le periferie si assomigliano e glielo dico perché vivo in una di queste, ma Harlem è qualcosa di unico. Harlem ha prodotto cultura, ha lanciato una moda, ha influenzato il mondo e questo non capita ovunque. Il destino ha voluto che lì si concentrassero personaggi eccezionali: Billy Holiday, Ella Fitzgerald, Duke Ellington, Langston Hughes e si potrebbe continuare. E questo ha contribuito alla creazione di una identità forte. Musica, teatro, letteratura e politica afroamericana nascono e si affermano lì. Nessuna altra periferia è identificativa di un popolo come lo è Harlem. 

Lo sport è crescita, ricreazione, insegna a socializzare e a essere competitivi in maniera positiva ma, soprattutto, aiuta tanti ragazzi a non vivere per strada e ad avere fiducia in loro stessi. Nel suo libro, però, un’aura nera fa da sottofondo ai ragazzi del playground: sono le scommesse e il gioco clandestino.

Vero. Lo streetbasket o il pick-up basket (come lo chiamano lì per enfatizzarne l’improvvisazione) non è sport. Forse è la cosa più lontana dallo sport. È un modo di essere, fa parte del Dna di chi ha la pelle nera e abita la parte nord di Manhattan.

Il playground rispecchia lo stato sociale del luogo, non può essere un qualcosa di diverso perché il playground è una giungla libera che accetta tutti, buoni e cattivi, a patto che si sappia giocare ad un certo modo e, proprio come in una giungla, il più forte vince e fa le regole (“you write the rules” significa proprio questo), il più debole le subisce. In poche parole, ad Harlem e se non giochi come loro e con il loro stile, puoi chiamarti anche Michael Jordan, ma lì al Rucker non sei nessuno. Molti campioni sono passati al Rucker Park, ma tutti ricordano l’apparizione di Allen Iverson perché era uno di loro, un figlio della strada capitato per caso nella NBA.

Leggere fa sognare, è vero. Rende facile all’immaginazione di volare. Io, leggendo il suo libro, ho assistito alle partire e alle sfide che lei ha raccontato. Ma le chiedo: lei ha sognato scrivendo Harlem, You write the rules?

Scrivere è diverso da leggere, questo libro poi mi ha costretto a un lavoro straordinario di documentazione. La prima stesura era molto più lunga e piena di note perché volevo che tutti capissero esattamente ogni sfumatura di un linguaggio molto lontano dalla cultura italiana. Il sogno è stato proprio quello dell’immedesimarmi nei miei personaggi, cercando di dimenticare le mie origini per poter raccontare al meglio la loro storia.

Infine una domanda sulla fiera. Come mai ha deciso di parteciparvi?

Il libro è al centro di questa fiera. C’è cura dell’oggetto, rispetto per l’opera e amore per un’arte che resiste nonostante tutto. Si continuerà a scrivere sempre, ma la carta, il profumo della stampa e la bellezza di avere un libro tra le mani, sembra stia scomparendo. Qui invece si respira tutto questo e chi ama i libri non può non apprezzare questa manifestazione.

LUCA LEONE

Luca Leone (Roma, 1972), web designer, appassionato da sempre di informatica, cresce a base di Nero Wolfe e Commodore 64. Il suo libro d’esordio è “Jack, thriller”, ambientato nel mondo della ricerca scientifica. Altra passione di una vita è il calcio e dopo lunga riflessione racconta questo sport nel libro “Solo come in area di rigore” con lo pseudonimo di John Doe (Infinito edizioni, 2014). Collabora con l’Overtime Festival di Macerata, è ambasciatore del Benfica e ha un suo blog personale dove racconta il talento nello sport.

LA SUA SCHEDA NELLA FIERA DEL LIBRO DELLA BIBLIOTECA SUORE MONTEVERGINE

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About Maria Paola Battista

Amo ascoltare, leggere, scrivere e raccontare. WWWITALIA mi dà tutto questo. Iniziata come un’avventura tra le mie passioni, oggi è un mezzo per sentirmi realizzata. Conoscere e trasmettere la conoscenza di attori, artisti, scrittori e benefattori, questo è il giornalismo per me. Riguardo ai miei studi, sono sociologa e appassionata della lingua inglese, non smetto mai di studiare perché credo che la cultura sia un valore. Mi piace confrontarmi con tutto ciò che è nuovo anche se mi costa fatica in più. Attualmente mi sto dedicando alla recensione di libri e all'editing. Ho scritto, inoltre, diverse prefazioni a romanzi. Grazie ai lettori di WWWITALIA per l’attenzione che riservano ai miei scritti e mi auguro di non deluderli mai. mariapaolabattista@wwwitalia.eu