La scienza a cura dei giovani

Il progetto EEE (Extreme Energy Events) – La Scienza nelle scuole: i giovani e i raggi cosmici
Il progetto EEE, ideato dal Prof. Antonino Zichichi, è un progetto strategico del “Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche Enrico Fermi” di Roma, in collaborazione con il CERN, l’INFN e il MIUR.
Con Daniele De Gruttola, ricercatore del Centro Fermi, parliamo del progetto EEE sui raggi cosmici e dell’interdisciplinarità della fisica delle particelle.

Daniele De Gruttola
Oltre, infatti, alla pura ricerca, che appaga il desiderio di conoscenza di ricercatori e studiosi in genere, la fisica delle particelle ha, da sempre, applicazioni in vari campi a partire dalla medicina, alla sicurezza, all’archeologia, alla meteorologia e alla vulcanologia.
In particolare, cerchiamo oggi di capire cosa sono i raggi cosmici, chi li ha studiati e perché, cosa si studia attualmente, cosa è un rivelatore di raggi cosmici.
Una caratteristica del progetto EEE, che lo rende una vera e propria sfida, è l’aspetto didattico e divulgativo, che accompagna la classica attività di ricerca; infatti EEE è, in tutte le sue fasi, condotto non solo da ricercatori ma anche da studenti e professori di un centinaio di istituti superiori italiani.
I raggi cosmici sono particelle prodotte ed accelerate in eventi cosmici come esplosioni di stelle o buchi neri o pulsar che viaggiano nello spazio per milioni di anni arrivando poi sulla terra. Circa il 90% dei raggi cosmici sono protoni poi ci sono nuclei di atomi relativamente leggeri, dall’idrogeno fino al ferro. Studiarli quando arrivano sulla terra permette di rispondere alle domande degli studiosi sulla loro origine e sui meccanismi che permettono di accelerarli e farli arrivare sino a noi.
I raggi cosmici che arrivano sulla Terra vengono chiamati primari e possono avere energie che partono da migliaia o miliardi di elettronvolt ( l’energia che acquisisce un elettrone sottoposto ad una differenza di potenziale di 1 Volt) fino a energie estreme di circa 1020 elettronvolt. I primari interagiscono con l’atmosfera terrestre e questa collisione crea una “pioggia” di particelle secondarie, chiamato sciame, che può essere più o meno esteso in base all’energia del primario. Dalla rivelazione di questi sciami, si cerca di risalire alle caratteristiche del raggio primario, alla sua energia, alla sua direzione, alla sua composizione. Alcune di queste collisioni avvengono ad energie molto più elevate rispetto a quelle raggiungibili con i moderni acceleratori di particelle e rappresentano una parte molto interessante dello spettro energetico dei raggi cosmici da studiare.
Come sottolinea il dott. De Gruttola: “Negli acceleratori (come LHC al CERN di Ginevra), acceleriamo i protoni ( o altre particelle) e definiamo il punto esatto in cui avviene la collisione e a quale energia; noi ricercatori siamo parte attiva di questo processo e dallo studio dei prodotti delle collisioni miglioriamo la nostra conoscenza dei processi fondamentali della fisica. Ma con i raggi cosmici, che può essere chiamata fisica passiva, non siamo noi a costruire delle macchine che permettono di procurare le collisioni ma studiamo quello che avviene in natura, quello che la natura ci fornisce gratis”.

Spettro dei raggi cosmici
Una percentuale elevata dei raggi cosmici che hanno energia più bassa, invece, vengono dal Sole.
Noi non possiamo accorgercene ma il nostro corpo è continuamente attraversato da alcune di queste particelle.
Può essere molto interessante cercare di comprendere il possibile effetto della radiazione cosmica sul corpo umano. Alcune misure in quest’ambito vengono effettuate sui piloti di aerei che, stando molto spesso ad alta quota, ricevono una dose maggiore di radiazione.
Un esempio è l’esperimento Radiation Dosimetry Experiment (RaD-X) della NASA, partito nel 2015.
Tornando un po’ indietro, i raggi cosmici sono stati scoperti agli inizi del ‘900, pochi anni dopo la scoperta della radioattività nel 1896 ad opera di Antoine Henri Becquerel, Marie Curie e Pierre Curie. L’austriaco Victor Hess e l’italiano Domenico Pacini effettuarono degli esperimenti tra il 1907 e il 1911 e arrivarono alla scoperta dei raggi cosmici, studiando proprio gli effetti della radioattività in diversi contesti. In particolare Pacini effettuò delle misure nei fondali di Livorno e del Lago di Bracciano, dimostrando che l’intensità della radiazione diminuiva all’aumentare della profondità.
Hesse registrò, invece, l’aumento dell’intensità all’aumentare dell’altezza, equipaggiando un pallone aerostatico con rivelatori adatti alla misura. Quindi la radiazione che misuravano non era
legata a possibili sostanze radioattive nel suolo ( come si ipotizzava precedentemente) ma ad un qualcosa che veniva dall’alto ed era sempre più forte con l’altezza.
La fisica dei raggi cosmici si avvale di due tecniche principali di rivelazione: la misura diretta e la misura indiretta.
La prima è quella diretta che avviene oltre l’atmosfera e utilizza i satelliti, su cui vengono installati i rivelatori. Con essa si riesce a rivelare non gli sciami ma i raggi cosmici primari che non sono ancora arrivati sull’atmosfera e si fanno certi tipi di studi fino a un’energia media dello specchio energetico. È in corso, ad esempio, da qualche anno un esperimento che si chiama AMS2, che è stato installato sulla Stazione Spaziale Internazionale ISS.
Si possono, poi, fare degli studi con i rivelatori al suolo. Tra questi ve ne è uno in Argentina che si chiama AUGER, uno in Tibet che si chiama ARGO e molti altri nel mondo, a cui si aggiunge il nostro progetto EEE che, ancora una volta, prevede una rete di rivelatori al suolo, installati nelle scuole superiori che sono operati dagli studenti delle scuole dietro nostra supervisione.
Le reti di rivelatori al suolo messi ad una certa distanza tra di loro costituiscono il metodo di rivelazione indiretto: non si rivela il raggio cosmico primario ma una parte dello sciame da esso prodotto.
Abbiamo detto che la collisione tra il raggio cosmico primario e l’atmosfera produce uno sciame di particelle secondarie, che possono essere di diversi tipi e con nomi a volte anche molto strani: protoni, neutroni, fotoni, elettroni, muoni, pioni, kaoni.
Possiamo individuare, al livello del mare, due componenti dello sciame: quella “molle” (di energia più bassa), costituita principalmente da fotoni ed elettroni e quella “dura” (di energia più alta), costituita da muoni, particelle elementari, del tutto simili all’elettrone ma circa 200 volte più pesanti.
La prima rappresenta il 30% circa dello sciame al livello del mare e viene assorbita da pochi cm di materiale, mentre la componente dura (circa il 70%) interagisce poco con la materia ed è capace di attraversare spessori maggiori di materiale, raggiungendo il sottosuolo.
L’attore protagonista è proprio il muone, che può essere rivelato al livello del mare, da rivelatori appositamente costruiti per ottenere informazioni sullo sciame e sul raggio cosmico primario (da qui il nome della misura, indiretta).
Se a terra sistemiamo una rete di rivelatori, ognuno che riesca a rivelare uno o più muoni dello sciame, e facciamo delle coincidenze temporali tra i vari rivelatori, in modo da capire quando essi hanno dato segnale contemporaneamente, riusciamo a comprendere se stiamo guardando muoni che provengono da uno stesso sciame. I metodi di rivelazione possono essere di vario tipo. In particolare esiste un tipo di rivelatore che si chiama MRPC (Multigap Resistive Plate Chamber), che utilizziamo anche nell’esperimento ALICE e che, con una geometria diversa e ottimizzata per il tracciamento dei muoni cosmici, viene utilizzato nel progetto EEE.
Ogni rivelatore ospitato in una scuola è costituito da tre piani di MRPC di circa 1 m x 2 m, distanti tra di loro 50 cm, che costituiscono una struttura chiamata “telescopio”, di cui vediamo un esempio in figura.
Ogni piano è costituito da una box di metallo, all’interno della quale c’è il rivelatore vero e proprio (MRPC) e una miscela di gas che ha la caratteristica di essere facilmente ionizzata.
La ionizzazione consiste nella proprietà di una particella elettricamente carica (in questo caso il muone) di strappare un elettrone agli atomi del gas; abbinando questo fenomeno all’applicazione di una differenza di potenziale (di circa 19 kV) ai capi del rivelatore, si riesce a raccogliere il segnale elettrico rilasciato dal passaggio del muone sul piano di MRPC. Quando il muone lascia un segnale su tutte e tre le camere del telescopio, un algoritmo appositamente scritto è in grado di effettuare il “tracciamento” e, dunque, ricostruisce il passaggio del muone, indicando la direzione di provenienza.
Con il telescopio vediamo la maggior parte delle volte un solo muone o, in alcuni casi particolari, più di uno. Se, contemporaneamente, un altro telescopio in una seconda scuola vede un altro muone abbiamo quella che si chiama “coincidenza” e, probabilmente, stiamo vedendo due muoni dello stesso sciame. Ogni rivelatore è equipaggiato con un GPS, in modo tale da sincronizzare i telescopi tra di loro e permettere la ricerca di coincidenze tra rivelatori a varie distanze.
Si possono fare anche studi locali usando dati dai singoli telescopi anziché cercare coincidenze.
Ad esempio è possibile studiare l’effetto delle tempeste magnetiche dovute alla intensa attività della superficie solare, che provocano il cosiddetto effetto Forbush (risultati pubblicati in “Observation of the February 2011 Forbush decrease by the EEE telescopes” M.Abbrescia et al., Eur. Phys. J. Plus ,2011, 126: 61): il flusso locale dei raggi cosmici diminuisce a causa della barriera che si viene a creare quando le particelle emesse dal Sole in seguito ai cosiddetti flares solari, vengono catturate dal campo magnetico terrestre. Oppure è possibile cercare eventuali anisotropie nella distribuzione dei cosmici primari, studiando la direzione di arrivo dei muoni (risultati pubblicati in “Looking at the sub-TeV sky with cosmic muons detected in the EEE MRPC telescopes“M.Abbrescia et al., Eur.Phys.J.Plus 130 ,2015, 187).
Questi sono solo un paio di esempi degli studi possibili con tale rete di rivelatori, ormai diffusa in tutta Italia. Ci sono cinquantadue telescopi istallati nelle scuole, sei nei laboratori dell’INFN e due nei laboratori del CERN di Ginevra. Altre cinquanta scuole partecipano al progetto, con tutte le attività previste (monitoraggio dati, analisi dati, seminari, esercitazioni) e sono in attesa di avere un telescopio nel prossimo futuro.
Al momento abbiamo accumulato più di 70 miliardi di muoni negli anni ma l’esperimento andrà avanti ancora per tantissimo tempo perché sono necessari ancora molti dati.
Il progetto, come dicevamo, prevede attività da parte degli studenti. Essi vanno a Ginevra per una settimana accompagnati dal loro in insegnante a costruire il rivelatore che viene poi trasportato nella scuola dove viene assemblato, sempre sotto la nostra supervisione, montato e messo in funzione. Quotidianamente gli studenti controllano il funzionamento del rivelatore e i più bravi fanno anche analisi dei dati.
Ogni regione ha un certo numero di città con degli istituti che partecipano al progetto con o senza telescopi. In Campania abbiamo Avellino (con il liceo scientifico P.S. Mancini), Sant’Anastasia (NA). Salerno è entrata nel progetto dall’inizio con un telescopio nel liceo scientifico Da Procida, a cui si è aggiunto, due anni fa, il telescopio del liceo Regina Margherita. Quindi adesso abbiamo due rivelatori a Salerno che ci consentono di fare studi di coincidenza.
Personalmente sono responsabile locale per le scuole campane ma anche di un liceo di Potenza e quattro scuole abruzzesi (con telescopi a L’Aquila e Teramo). Questo aspetto rende ancora più interessante la mia responsabilità, in quanto mi mette a confronto con realtà diverse, dentro e fuori dall’Italia; mi piace l’idea di trasmettere il bisogno di scambi culturali anche agli insegnanti e agli studenti che, infatti, saltuariamente, effettuano dei gemellaggi tra scuole.
Puntiamo ad avere cento telescopi in Italia e quindi fornire di un rivelatore tutte le scuole partecipanti al progetto. Ogni anno organizziamo un certo numero di incontri con gli istituti che partecipano al progetto, delle “masterclass”, ci incontriamo in varie città come per esempio Erice, dove c’è il Centro di cultura scientifica Ettore Majorana.
Sin dall’inizio il Professore Antonino Zichichi ha promosso e appoggiato con grande piacere il coinvolgimento fattivo dei giovani studenti.
Negli incontri di Erice, oltre alle esercitazioni in classe abbiamo realizzato delle misure che prevedevano attività all’esterno.
In un’occasione gli studenti hanno imparato come misurare il raggio terrestre utilizzando dei bastoni e misurando l’ombra del sole; o ancora, abbiamo utilizzato dei rivelatori simili ai telescopi ma portatili (detti “cosmic box”) e siamo andati con gli studenti al livello del mare e in montagna per misurare il flusso dei raggi cosmici a diverse altitudini. In questo modo i ragazzi si sono potuti confrontare anche con l’aspetto pratico della ricerca.
Il progetto prevede anche una serie di collaborazioni.
Quella con Virgo, ad esempio, che è un grande rivelatore (un interferometro con braccia lunghe 3 km) istallato a Cascina (PI) con cui rivelano le onde gravitazionali; la Collaborazione EEE è stata contattata per installare un telescopio nelle vicinanze del loro interferometro. Il telescopio dovrebbe servire da veto, serve cioè a segnalare i processi da scartare.
Ci sono alcuni modelli meteorologici che affermano che i raggi cosmici possano influenzare il clima agendo, ad esempio, sulla formazione delle nuvole.
L’Università di Santiago de Compostela, in Spagna, ha contattato la Collaborazione EEE perché sono interessati ad avere i loro dati per fare questo tipo di studi.
Così come ci sono studi in medicina per studiare l’impatto dei raggi cosmici sul nostro corpoo, ancora, nell’archeologia. Già dagli anni ‘60 i raggi cosmici sono stati usati per studiare l’interno delle piramidi. Recentemente hanno scoperto una camera all’interno di una piramide in Egitto proprio studiando i raggi cosmici (“Discovery of a big void in Khufu’s Pyramid by observation of cosmic-ray muons” K. Morishima Nature volume 552, pp. 386–390 – 21 December 2017). Similmente si può studiare l’attività dei vulcani. Ad esempio ricercatori di Catania e Napoli studiano come si comporta il magma all’interno dell’Etna e del Vesuvio proprio utilizzando dei rivelatori per raggi cosmici, in modo da effettuare una specie di radiografia al vulcano. Per gli studi appena citati, infatti, si sfrutta la proprietà dei muoni di essere assorbiti in maniera differente da diversi tipi e strati di materia, analogamente a quanto succede esponendo un corpo umano ai raggi x.
In generale la fisica delle particelle ha sempre avuto applicazioni in vari campi, nella medicina, nella sicurezza, ma non solo, anche nell’elettronica. Esistono studi per costruire dei rivelatori da usare, nell’ambito della sicurezza, come metal detector per controllare il contenuto dei mezzi di trasporto; al momento la risoluzione è molto povera ma si stanno studiando dei meccanismi di perfezionamento.
Una collaborazione appena nata è quella con il progetto Polarquest che, con l’imbarcazione ecologica Nanuq, sta ripercorrendo la tratta, che fece Umberto Nobile (nativo di Lauro in provincia di Avellino) nel 1928 a bordo del dirigibile Italia nel suo tentativo di raggiungere il Polo Nord. La missione prevedeva anche numerosi esperimenti scientifici. Purtroppo il dirigibile precipitò sui ghiacci a causa di una violenta tempesta e ci furono molti morti.
Nel 90° anniversario dell’incidente, Nanuq sta effettuando la completa circumnavigazione delle Svalbard, arcipelago del mare Glaciale Artico e, seguendo il percorso del dirigibile, cercherà di trovarne i resti. L’imbarcazione ospita anche alcuni esperimenti, tra i quali un piccolo rivelatore di EEE, PolarQuEEEst, che sta studiando i raggi cosmici a diverse latitudini grazie ad un telescopio realizzato con “scintillatori”. Le misure coprono zone ove, sino ad ora, i dati sono pochi.
La missione è partita da Isafjordur, in Islanda, lo scorso 21 luglio. Come afferma la Prof. L. CiIfarelli attuale presidente del Centro Fermi, “PolarQuEEEst è uno sviluppo molto stimolante per il progetto EEE poiché, usando le tecnologie più recenti sviluppate al CERN, permette a questa straordinaria spedizione Polare di diventare un meraviglioso ponte fra il passato ed il presente”.
Le scienze dimostrano continuamente la grandezza dell’universo, quanto ancora c’è da scoprire è inimmaginabile.
Ringrazio Daniele De Gruttola innanzitutto per il suo amore verso la ricerca nonché per la sua gentilissima disponibilità.
Maria Paola Battista
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