‘La strategia della lumaca’, un evento per immaginare nuovi futuri per le parole e nuove pratiche per l’abitare

Il 26 Febbraio 2021 il Centro Interculturale Zonarelli di Bologna, in sinergia con la Scuola di pace di Monte Sole ha dato vita all’evento on-line : “La strategia della lumaca: smontare e rimontare le parole e le pratiche dell’abitare”.

Questo evento si colloca all’interno della rassegna “Costruire futuro rievocando tracce, riconoscimento, partecipazione e nuove narrazioni”, rassegna che si muove all’interno del decennio ONU per le persone afrodiscendenti ed è teso a sottolineare il contributo dato dalle persone di origine africana alle nostre società, per proporre misure concrete al fine di promuovere piena inclusione e per combattere il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza.

L’evento è stato costruito in maniera laboratoriale, approfondendo il tema dell’accesso alla casa da parte delle soggettività afrodiscendenti. Tale esperienza si è rivolta sia all’associazionismo migrante che alla cittadinanza non afrodiscendente, con il proposito di mettere in questione e problematizzare il lessico legato all’abitare.

Tema principale della riflessione è stata la ripresa e l’analisi del passato, in un’ottica di azione e  di responsabilità nei confronti del presente.

Infatti Elena Monicelli, come rappresentante della Scuola di Pace di Monte Sole, ha presentato gli ospiti e ha diviso i partecipanti in gruppi di confronto, aprendo un intenso e appassionato dibattito sul tema del diritto alla casa.

Partendo da una domanda apparentemente semplice, relativa a cosa si intenda con la parola casa e cosa essa debba essere al di fuori delle definizioni da dizionario, molti degli ospiti hanno mutato e ri-significato il concetto di questa parola raccontando le proprie esperienze e mettendo in campo i propri desideri.

Due parole hanno dato movimento a tutto il percorso laboratoriale e lo ‘smontare’ e il ‘rimontare’ sono divenuti elementi guida essenziali per analizzare il presente immaginando e costruendo alternative più eque per il futuro. Queste due azioni linguistiche e pratiche hanno reso possibile dirigere i discorsi e le diverse esperienze attraverso l’analisi di  quelle azioni pratiche e concrete che indicano anche l’esistenza di un mandato culturale, connesso alla necessità di scardinare pregiudizi e stereotipi, al fine di agire a livello comunitario e sociale in maniera attiva e produttiva.

Florette Zengue dell’associazione DAM di Bologna, ha ri-significato il termine ‘casa’, aggiungendo alla sua definizione canonica, le parole ‘immaginare’ e ‘costruire’. Nella sua lettura e dalla sua esperienza di donna afrodiscentente prima e di attivista per il diritto all’abitare poi, la casa è divenuto soprattutto il luogo presso cui prende corpo la capacità di costruire il proprio futuro e di immaginarlo in maniera creativa, potente e libera.

Il secondo intervento, di Asmeret Vemane, ha dato spazio ad altre suggestioni relative alla parola ‘casa’ e ha visto connettersi l’attuale discussione sul diritto all’abitare con le radici familiari di Asmeret, la quale ha condiviso con i partecipanti l’idea di suo padre che definisce la casa come un abito. In maniera profonda e sentita, Asmeret ha spiegato quanto l’abito non è solamente un elemento estetico ed esteriore; la casa, infatti, come abito diventa, nell’esperienza delle soggettività migranti, elemento che protegge, che scalda, che tiene al riparo.

L’intervento di José Venancio dell’associazione “One world” ha denunciato in maniera forte l’esistenza di pesanti forme discriminatorie, sollevando una interessante riflessione intorno alla questione del cibo e della sua valenza come elemento di divisione culturale piuttosto che di unione. Spesso infatti, come raccontato da José, il cibo, più che diventare elemento di aggregazione, diviene elemento paradossale di allontanamento e segregazione, soprattutto in considerazione del fatto che, ancora oggi, per molte persone esistono cibi che corrispondono a certe culture o etnie e che emettono odori sgradevoli. Il cibo, dunque, diventa nelle esperienze delle soggettività migranti o afrodiscendenti elemento di conflitto, che li allontana da una serena e pacifica convivenza all’interno del tessuto urbano.

Nell’ultimo intervento, Angelo Casali dell’associazione “Dialoghi”, che si occupa di organizzare l’accoglienza dei giovani migranti, ha presentato il progetto “Una casa per spiccare il volo”, progetto volto all’acquisto comune di una casa, i cui spazi sarebbero destinata ai giovani migranti.

Questo incontro, oltre che interrogare in maniera creativa le parole ‘casa’ e ‘abitare’, ha messo in campo la questione della vulnerabilità e della necessità di ripensare agli spazi che attraversiamo tenendo conto del fatto che molte soggettività non hanno lo stesso privilegio quando si tratta di ottenere un luogo dove poter vivere e poter costruire il proprio futuro. L’incontro ha sollevato la questione relativa a chi spetti il buon vivere e ha messo in circolo pratiche di collaborazione e di associazionismo utili a ripensare il posto che ognuno di noi occupa all’interno delle città, creando una breccia nell’apparente assenza di discorsi relativi al diritto alla casa. La vulnerabilità e la fragilità di alcune soggettività che si trovano senza mezzi e senza la possibilità di accedere a un luogo presso cui vivere, ha preso forza, facendo luce su una rete di relazioni e alleanze capaci di costruire nuovi discorsi e nuove pratiche capaci di immaginare nuovi futuri.

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About Marianna Spaccaforno

Laureata in Scienze Filosofiche presso L’Università di Napoli “Federico II”. Ha conseguito un Master in studi Politici e di Genere presso l’Università di Roma “Roma Tre”. La sua formazione e le ricerche svolte in ambito accademico, l’hanno portata a interessarsi a tematiche connesse alla tutela dei diritti umani e ambientali. E’ impegnata in diversi progetti che si occupano di tutelare le soggettività marginalizzate. Lettrice appassionata, si definisce creativa e curiosa.