Natale 2022: una speranza irrompe nella nostra vita
Un Natale, l’ennesimo, sistematico, banalmente… annuale. “Che pesantezza! Fa’ che passino subito queste feste, una stortura di baci e abbracci, regali, luci e panettoni”.
Eppure, come sottolinea Antonio Polito, qual è il messaggio cristiano? Su cosa si poggia questa speranza? Un bambino.
È quasi folle a pensarci. La speranza del mondo si regge sulla cosa più fragile e indifesa che possa venire in mente. Paradossalmente, è usando della fragilità di questo bambino che Dio si immischia con la vicenda degli uomini: «Un Dio, amico mio, Dio si è scomodato, Dio si è sacrificato per me. Ecco qui il cristianesimo», scriveva Péguy. L’origine e il senso di ogni cosa, quel Mistero al quale il cuore si rivolge in cerca di risposta alle sue esigenze di verità, giustizia, felicità e amore, si è fatto bambino, è venuto tra noi. Ma, a vedere in giro, c’è chi lo vive con estrema pesantezza. Sperare? E perché? Attendere? Cosa? La banalità della vita spesso affievolisce, cancella ogni desiderio di bellezza, ogni domanda di bene e di bello. Appiattiti, vedo gente afflosciata su un falso realismo quasi che uno giocasse con la densità della propria vita. I soldi non ci sono, i problemi si complicano, quindi sembra paradossale il tentativo di uscirne, quasi fosse più concreto restare nella melma, meglio nella “non speranza” nel piattume della propria esistenza (percepirsi melma è già coraggioso). Non può essere che uno sia felice, non sembra possibile uno sguardo diverso. È così deprimente assistere quotidianamente a dialoghi basati sul dovere, sulla “regola”, sull’apparire, sul mostrarsi dimenticando se stessi e la bellezza di una speranza.
Il Natale è sempre stato per tutti, anche per chi non crede, un momento carico di gioia e di speranza. Una speranza che oggi sembra appartenere ormai a un passato lontano nella memoria. Ne rimangono le tracce in un sentimento buono, ma disponibile solo per chi se lo può permettere, finché le cose vanno bene. «Abbiamo essiccato soprattutto la speranza che qualcosa di veramente nuovo possa fare irruzione nella nostra vita sottraendola al suo torpore» scriveva il sociologo Sergio Belardinelli. È un’aridità che a nessuno è risparmiata e, quando la vita urge, quando iniziano a bombardare la tua terra o quando perdi ciò che hai di più caro, diventa impossibile restare indifferenti. L’origine e il senso di ogni cosa, quel Mistero al quale il cuore si rivolge in cerca di risposta alle sue esigenze di verità, giustizia, felicità e amore, si è fatto bambino, è venuto tra noi. Non c’è un annuncio più atteso di questo nella storia di tutta l’umanità. Nessuno, se aperto alla possibilità che esista una risposta a quelle esigenze, può evitare di fare i conti con un tale avvenimento.
«Un periodo storico può essere giudicato dal suo stesso modo di considerare il periodo da cui è stato preceduto. Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa… Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente» (A. Gramsci, Quaderni, XXVIII).
L’uomo, pur in questa intuizione, rimane meschino, perché la meschinità è la caratteristica dell’uomo che venga concepito come avente consistenza in se stesso. La meschinità è la brevità della misura. Tant’è vero che questa religiosità naturale pretende da Dio, si lamenta di Dio, e tende a far Dio a sua immagine e somiglianza.
Il Natale è proprio questo annuncio di concretezza, di abbraccio ad una realtà, la nostra, estremamente piegata su se stessa. Eppure basta poco. Basta guardare, in silenzio, la pochezza della nostra consistenza per riscoprire la densità, la ricerca di senso che ogni uomo anela disperatamente e che, continuamente, censura. Il Natale è questa forzatura paradossale a ricentrare il punto vero della questione: ma io basto a me stesso?
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