Organizzazioni multilaterali, pregi e difetti. Il focus di Giuseppe Rocco

Gli istituti internazionali multilaterali sono stati creati per omogeneizzare e favorire l’elevazione del tenore di vita. La diffusione delle corporazioni su scala planetaria, promossa attraverso gli accordi commerciali, prospera su questa tesi, inaugurando un’era di incertezza. In tal modo si accelera l’accumulo di ricchezza nelle mani di pochi e si lasciano nella miseria la maggioranza dei lavoratori.  Nel terzo mondo milioni di uomini vivevano di pesca e la liberalizzazione del commercio li ha privati di ogni possibilità di accesso sulle risorse naturali, negando il basilare diritto umano ad un adeguato standard di vita.

Il vento della globalizzazione non si può frenare, ma l’impeto non va strumentalizzato con il capitalismo: gli interventi devono tenere conto del livellamento di crescita, della salvaguardia dell’ambiente, dei diritti della sicurezza e del lavoro, della dignità degli individui, del rispetto culturale dei territori. In altri termini il dogma liberista va calato con prudenza, razionalità ed equilibrio. Il libero mercato va impostato senza le insidie perniciose delle Corporazioni, delle multinazionali e degli speculatori, correggendo le politiche anacronistiche del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale.

WTO, FMI, Banca mondiale sono tre espressioni del capitalismo che non offrono garanzie per l’armonizzazione delle economie, ma accrescono le anomalie e le asimmetrie nella crescita evolutiva dell’andamento sociale. Sulla scia delle politiche della suddetta triade si muove l’Unione europea, peraltro ignorando che l’Europa vanta una storia organica diversa, compreso il profilo latino del mediterraneo, portatore di una civiltà eterogenea comunque a misura di cittadino. In queste condizioni l’effetto complessivo è di paura continua, per l’insicurezza dei fenomeni affidati al mercato.

L’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), conosciuta anche col nome inglese di World Trade Organization (WTO), è un’organizzazione internazionale, creata allo scopo di supervisionare numerosi accordi commerciali tra gli. Ha sede presso il Centro William Rappard a Ginevra). L’OMC ha così assunto, nell’ambito della regolamentazione del commercio mondiale, il ruolo precedentemente detenuto dal GATT. Non essendo il Gatt un’organizzazione dotata di organi decisionali, la strategia politica veniva conseguita attraverso negoziato diretti tra i suoi membri. I negoziati più importanti, dove venivano decise nuove regole, presero il nome di round (letteralmente ciclo).

L’OMC è stata istituita il 1º gennaio 1995, con l’obiettivo generale di abolire o ridurre le barriere tariffarie al commercio internazionale; a differenza di quanto avveniva in ambito GATT, oggetto della normativa dell’OMC sono, però, non solo i beni commerciali, ma anche i servizi e le proprietà intellettuali.

Tutti i membri dell’OMC sono tenuti a garantire verso gli altri membri dell’organizzazione lo “status” di “nazione più favorita” (most favourite nation): le condizioni applicate al Paese più favorito (vale a dire quello cui vengono applicate il minor numero di restrizioni) sono applicate (salvo alcune eccezioni minori) a tutti gli altri Stati.

Mentre la maggior parte delle organizzazioni internazionali operano secondo il criterio “ad un Paese corrisponde un voto” o anche secondo quello del “voto ponderato”, molte delle decisioni sono assunte secondo il meccanismo del consenso; l’’organizzazione definisce che il consenso è stato raggiunto quando nessun membro presente alla riunione si è formalmente opposto alla decisione.

Alla fine degli anni novanta l’OMC è diventato il principale oggetto di critiche e di proteste Alcune delle critiche possono essere così riassunte:

  1. Non applica la “clausola di salvaguardia dei diritti umani” agli Stati partecipanti; ciò perpetua ogni violazione dei diritti umani fondamentali universali.
  2. Favorisce la globalizzazione dell’economia, la liberalizzazione commerciale  la libera circolazione dei capitali, da alcuni considerati problematici per le conseguenze sui mercati del lavoro e sull’ambiente naturale.
  3. I trattati che furono raggiunti in ambito GATT sono stati accusati di privilegiare le multinazionali e le nazioni sviluppate. Di fatto le decisioni dei negoziatori e le posizioni dei membri rappresentanti degli Stati rispecchiano le volontà delle società transcontinentali del proprio Paese.
  4. Pur essendo la partecipazione all’OMC da parte delle Nazioni un atto volontario e non obbligatorio i critici sostengono, inoltre, che la mancata partecipazione di uno Stato a tale organizzazione si sostanzierebbe, nella pratica, in un embargo de facto. Il Paese è così escluso dal commercio globale, venendo privato dei beni di necessità per la propria popolazione, tra cui farmaci e prodotti alimentari, il che crea un sistema internazionale di regole economiche rigide che non incoraggiano in alcun modo il cambiamento e la sperimentazione.
  5. I critici ritengono inoltre che alcuni degli Stati membri (sicuramente tutti gli Stati dittatoriali membri) abbiano ratificato i trattati dell’OMC senza seguire un percorso democratico, ovvero anche a detrimento dei diritti e degli interessi dei propri cittadini o dell’ecologia locale.
  6. In alcuni Paesi non democratici importanti (Russia, RPC, Arabia Saudita, Qatar, Egitto, ecc.) l’OMC permette divieti estremamente nazionalistici ed isolazionisti contro qualunque attività delle ONG straniere, soprattutto quelle a difesa dei diritti umani. Tali violazioni dei diritti civili, oltre a violare i principi della globalizzazione (“libertà di circolazione degli individui, delle merci, delle idee”), determinano ulteriori violazioni di tutti gli altri diritti civili e dei diritti umani.
  7. L’OMC non sospende i privilegi agli Stati partecipanti nei casi di genocidio, aggressione militare, tortura, finanziamento a organizzazioni terroristiche e di altri crimini contro l’umanità.

Pare opportuno ribadire che il Wto o OMC ha lo scopo principale di favorire il commercio internazionale, ritenuto elemento centrale per lo sviluppo economico delle Nazioni, attraverso lo strumento della liberalizzazione. Il concetto va applicato in modo razionale ed efficiente, in quanto l’applicazione cieca tout court può determinare patologie: regole uguali in condizioni diverse creano asimmetrie e successivamente scompensi economici gravi.

Un caso eclatante resta la moda, proprio perché interessa l’Italia, ove il comparto assurge al più pregiato del pianeta. Oggi interviene un principio di iniquità stabilendo regole fisse (assenze di dazio) in condizioni diverse (costo della manodopera).

L’Accordo Multifibre è stato sostituito, a partire dal 1° gennaio 1995, dall’Agreement on Textiles and Clothing (ATC) . Così dal 1° gennaio 2005 ogni preesistente limitazione quantitativa alle importazioni di tessili o di abbigliamento è automaticamente decaduta. L’abolizione dei dazi a tutti i livelli diventa un’operazione selvaggia poiché pone tutti i prodotti alla stessa stregua in un panorama internazionale in cui le condizioni sono differenziate. Abbattere i dazi in Italia, ove questo settore rappresenta il 15% della ricchezza economica, vuol dire distruggere il comparto tessili-abbigliamento. Per confezionare un paia di pantaloni in Italia occorrono al minimo trentacinque euro, in forza delle spese gestionali e la corresponsione della mano d’opera; in Cina e in altri paesi asiatici la produzione può avvenire al costo di cinque euro. Ponendo le merci al duro confronto concorrenziale, il consumatore acquista per cinque euro lasciando sprofondare le industrie europee nel baratro commerciale e quindi nel fallimento. Ciò senza tener conto di un altro fattore ambientale che riguarda la tipologia intrinseca dei manufatti asiatici, spesso composti con materiali nocivi dannosi per la salute.

Un settore delicato riguarda l’agricoltura per la genuinità dei propri prodotti, i quali necessitano di tempi standard per la loro evoluzione biologica. Ogni forma di snellimento chimico arreca aspetti inquinanti. Il settore merita un trattamento diverso dai prodotti industriali. L’abbattimento totale di dazi, il mancato controllo igienico-sanitario, il superamento delle garanzie di sicurezza sono tutti elementi che mal si coniugano con il commercio di derrate agricole.

La Banca Mondiale è sorta con l’obiettivo di lottare contro la povertà e assicurare aiuti e finanziamenti agli Stati in difficoltà. La sua sede è a   Washington. Gli scopi della Banca mondiale si sono evoluti nel corso degli anni. Si è recentemente concentrata sulla riduzione della povertà, abbandonando l’obiettivo unico della crescita economica. Supporta inoltre la creazione di imprese molto piccole. Ha sostenuto l’idea che l’acqua potabile, l’educazione e lo sviluppo sostenibile sono la chiave per la crescita economica, e ha cominciato a investire massicciamente in tali progetti. A dispetto di queste politiche, i progetti della Banca Mondiale sono spesso criticati dalle organizzazioni non governative (ONG), in quanto non lottano efficacemente contro la povertà e trascurano gli aspetti sociali e ambientali.

In base ad una regola non scritta, il direttore del Fondo Monetario Internazionale è designato dai governi europei, mentre il presidente della Banca Mondiale è nominato dal governo degli    Stati uniti, che rappresentano il più grande azionista della banca stessa. Il presidente è eletto per un periodo di cinque anni, rinnovabile dal consiglio di amministrazione.

Le speculazioni in Borsa, affidate agli avvoltoi della finanza, consentono l’affermazione della globalizzazione selvaggia che tende a creare diseguaglianze. I mercati in tal modo sono guidati dal denaro e tendono a concentrare quote sempre maggiori in un ristretto gruppo, che può imporre le proprie regole con rudezza. In passato la diseguaglianza era localizzata e si limitava alla zona, purtroppo ora la diseguaglianza è divenuta globale, lasciando agli Statisti la preoccupazione di meditare per arginare fenomeni di collasso generale. L’asimmetrica distribuzione di ricchezza su scala planetaria non può essere corretta dalle attuali istituzioni finanziarie, che pongono il profitto al di sopra della gente. Occorre pertanto ridisegnare l’organizzazione e modificare le strutture e gli obiettivi e se necessario impostare nuovi Enti al servizio del cittadino Soltanto una legislazione internazionale, possibilmente sotto le vesti della Convenzione, potrà ridare respiro alle transazioni commerciali. Forse il luogo più idoneo potrebbe essere la Banca mondiale, opportunamente configurata ad una nuova politica per il popolo, ceto medio e cittadini-consumatori.  Inoltre la Banca Mondiale dovrebbe assorbire, il Fondo monetario, per le poche competenze rimaste in vita.     

Il Fondo monetario internazionale, istituito nel 1945,  è un’organizzazione composta dai governi. Nel FMI non si vota in rapporto al numero delle teste, ma in base al contributo versato. Altra diversità del Fondo è la quantità di risorse cui attingere; il prestito è costituito da quote partecipative a differenza della Banca mondiale che – trattando quote – reperisce risorse sui mercato emettendo obbligazioni. La quantità di quote degli Stati uniti sono sufficienti  a condizionare qualsiasi decisione.

Questo ha portato a un ripensamento del ruolo del FMI, che oggi si occupa per lo più di concedere prestiti agli Stati membri in caso di squilibrio della bilancia dei pagamenti. Il FMI si occupa anche della ristrutturazione del    debito estero dei Paesi del cosiddetto   terzo mondo. Il FMI impone di solito a questi Paesi dei “piani di aggiustamento strutturale” come condizioni per ottenere prestiti o condizioni più favorevoli per il rimborso del debito che costituiscono l’aspetto più controverso della sua attività. Questi piani sono infatti modellati su una visione neoliberista dell’economia e sulla convinzione che il libero mercato sia la soluzione migliore per lo sviluppo economico di questi Paesi.  

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha sostenuto il cosiddetto “fondamentalismo del mercato”, secondo il quale i mercati sarebbero in grado di portare automaticamente all’efficienza economica. A convalida che le istituzioni economiche internazionali debbano essere rivedute, risanate e aggiornate, resta l’atteggiamento settario, antiquato e sterile delle stesse. Fin qui nulla di impreciso, ma le terapie suggerite includono un intervento sulle pensioni; enunciazione che ricalca metodi del passato e non si riferisce minimamente ad una revisione dei dazi di importazione, che comportano una serie di danni ai Paesi occidentali e industrializzati come l’Italia.

Nel concludere che il FMI  era sorto per gestire il sistema mondiale dei cambi; pure avendo modificato il proprio ruolo dal 1971, per prevenire o ridurre le crisi finanziarie delle Nazioni, non riesce a dimostrare una vera utilità del sistema se non posto nelle condizioni di riconversione in modo razionale. In questa concezione viene da sperare e incoraggiare l’uso internazionale dell’euro al posto del dollaro, gestito per ora in modo strumentale. Questo istituto non ha più titoli a sopravvivere, a causa dell’asservimento agli Usa, che possono condizionarne la politica, e soprattutto per l’inefficienza, l’inutilità e l’antistoricità del sistema. Le eventuali competenze residuali valide possono essere trasmesse e assorbite dalla Banca mondiale

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.