PENSA A FARE LA DONNA di Antonietta Urciuoli

 PENSA A FARE LA DONNA

di Antonietta Urciuoli

 

-Pronto,qui è la scuola! Sono la Dirigente . Abbiamo ricoverato suo figlio. E’ presso l’Ospedale Civile, al Pronto soccorso! –

Giulia è frastornata, grida ad alta voce, va avanti e indietro senza meta. Poi si ferma,cerca di autocontrollarsi, corre come  una forsennata in campagna.

 

-Dobbiamo correre in ospedale,vieni,fai presto! Hanno ricoverato Giacomo.

La corsa in auto, l’arrivo al pronto soccorso con i suoi codici: minuti, ore trascorrono tra camici bianchi, azzurri, tra sedie a rotelle, letti spinti avanti e indietro tra tanta gente che, con difficoltà, cerca di sapere qualcosa del proprio caro.

Dopo una lunga e snervante attesa i genitori vedono finalmente il loro bambino adagiato su un lettino, con la maschera d’ossigeno e i fili delle flebo. Lascia il Pronto Soccorso e viene trasferito in reparto. I genitori lo seguono, quel giorno cambia totalmente la loro vita. Dopo una serie di accertamenti, al piccolo viene diagnosticata una “leucemia fulminante”. Trascorrono alcuni giorni e il bambino lascia per sempre la vita.

-Non può essere vero! Un mese fa giocava con i suoi amici a calcio. Frequentava la scuola, regolarmente, era sereno. Non è possibile! Non posso crederci. Il mio unico figlio ha perso la vita. Voglio sapere come è potuto succedere.

-Devi fartene una ragione. Non sei né la prima né l’ultima donna che perde il proprio figlio. Anch’io soffro, come te, sono suo padre. Giulia ha toccato con mano il dolore, il più grave che una donna possa avere. Le parole di conforto che tutti le vogliono dare lei non le ascolta, non le fa filtrare nella sua mente. Tutte quelle frasi, quasi tutte uguali la infastidiscono, le fa scivolare addosso perché il suo dolore è lacerante e nessuno riuscirebbe a crederle, a capire che cosa sta provando. Il suo cuore sembra essere trafitto da lance infuocate,l e sue membra si scuotono doloranti. Non ha più voglia di vivere né può vivere senza il proprio bambino. La casa le diventa grande all’improvviso e soffocante, triste, trascorre il tempo perdendolo. Non parla più, non ha più voglia neanche di ascoltare. Il viso bianco e sofferente del piccolo che era in ospedale le tiene compagnia. L’immagine di quei terribili giorni, continuamente, compare e scompare nella sua mente. Lei è con lui,t iene tra le mani le sue dita sottili, di tanto in tanto le sfiora quei capelli nero corvino, lisci e belli. Lo rivede quando l’accompagna dal barbiere, sorride nel ricordare l’acconciatura che tanto gli piaceva. Lo rivede giocare  a calcio, con le sue gambe ben formate, forti e risente la sua voce e piange quando si rende conto che non c’è più, che è tra gli angeli. Trascorrono mesi e il dolore prende il sopravvento, non dà spazio a nulla, la soffoca e lei diventa una foglia in balia del vento. La mamma che le è accanto solo per poco tempo,cerca con il suo silenzio di farle compagnia e insiste per farle mangiare qualcosa affinché possa sostenersi ma poco c’è da fare in quella desolante casa. La perdita del bambino lacera il rapporto coniugale, lo frantuma. Quando Andrea torna a casa, dopo un giorno di lavoro nei campi, ad attenderlo è un camino spento e le lacrime abbondanti di chi non riesce a darsi pace.

“LEUCEMIA,LEUCEMIA FULMINANTE!” Giulia ricorda che di questa malattia sono morte molte persone nella frazione dove abita. Rivede Antonello di soli 9 anni, morto dopo anni di chemio, Alessia di 4 anni,Patrizia di 12 anni, Giorgia di 7 anni. Sembra strano, nell’arco di pochi chilometri quadrati abbiamo perso tante persone, giovani e bambini. Il cancro uccide. Ma ci deve essere qualcosa che lo provoca.  Le industrie si trovano al lato opposto della città, la frazione dove abitiamo è ricca di vegetazione. L’aria è pura, ma l’acqua del fiume… Ricordando il fiume, decide di andare il giorno dopo a prendere dell’acqua per farla analizzare. Il fiumiciattolo scorre proprio ai confini della sua terra e lo ricorda sempre limpido. Ricorda le passeggiate lungo il fiume con i bambini e le altre mamme: ci si fermava a guardare il letto dove l’acqua scorreva e di tanto in tanto  durante la sua corsa saltellava su grossi sassi. Quella sera comunica al marito di voler far analizzare l’acqua.

-Perdi solo il tuo tempo! Pensa a fare la donna e piangi tuo figlio che se lo chiami ti risponde ancora rispose , con tono altisonante, Andrea, infastidito da quella decisione.

Quelle parole ebbero lo stesso effetto di una pugnalata nello stomaco. La mamma di Giacomo si ritrovò con gli occhi pieni di lacrime, accorse all’istante e la voce si fermò in gola. Senza aggiungere altro andò via dalla stanza, ma questa volta per sempre. Si sistemò in un’altra camera e visse la sua solitudine che si ingigantiva col trascorrere del tempo. Non parlava più con nessuno, dialogava solo col suo piccolo che le era accanto e l’ascoltava. Spesso lo vedeva sorridere, darle coraggio e fu proprio lui a suggerirle che doveva uscire di casa, doveva cercare le prove della causa della sua morte. Intanto in casa sua accadevano cose strane. Alcune notti sentiva il marito alzarsi, aprire la porta e ritornare dopo alcune ore.

“E’ strano!- pensò tra sé . “Ma dove andrà?Forse avrà qualche altra donna, del resto gli uomini sono tutti uguali”.

Trascorsero alcuni mesi e una notte sognò il figlio che le diceva di seguire suo padre. Quando sentì il rumore della chiave nella toppa, si vestì e, adagio adagio, seguì il marito per vedere dove andava. Era notte fonda! Fu presa dallo spavento e ritornò indietro.

“ Andrò la  prossima volta e mi porterò una torcia così vincerò la paura”.

Così fece, dopo una quindicina di giorni, sentì il marito alzarsi durante la notte e lo seguì mantenendo una certa distanza per non essere scoperta.

Percorsi alcuni chilometri, sentì il rumore di alcuni camion in lontananza. Si appostò dietro il tronco della grossa quercia e vide un camion illuminare con gli abbaglianti un grosso appezzamento di terra che il marito chiamava “a’ vecchia isca” dove per generazioni  i suoi antenati avevano coltivato i migliori ortaggi. Dopo poco sopraggiunse un altro camion che si fermò in un punto e scesero una decina di uomini alti dalla pelle scura. Essi si avvicinarono al primo camion e scaricarono alla svelta grosse latte in un grande fosso. Poi, con le pale, coprirono le latte e chiusero la voragine. Nel vedere quello spettacolo, la protagonista di questo racconto restò pietrificata. Non voleva credere ai propri occhi. Non avrebbe mai immaginato che era stato proprio suo marito a uccidere suo figlio. Ricercò dentro di sé la forza necessaria per rincasare cercando di arrivare prima di suo marito. Giunta a casa, si coricò e aspettò il sorgere del mattino. Contò le ore a una a una  e, quando il marito uscì per andare a lavoro, lei si vestì e raggiunse a piedi il vicino posto di polizia. Senza batter ciglio disse al comandante:

-Sono venuta a denunciare mio marito. Ha ucciso mio figlio!

 Diede tutte le spiegazioni e raccontò ciò che aveva visto. L’acqua fu analizzata e il marito con i complici furono arrestati. Quando il marito uscì di casa ammanettato,i loro sguardi si incrociarono e lei, ormai esile e stanca, con fermezza aggiunse:

-Le mamme non devono fare solo le donne, ma devono fare molto di più!Io l’ho fatto anche se con ritardo.

 

 

 

 

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