Riflessioni sul presidenzialismo. Il focus di Giuseppe Rocco

Fra le tante Costituzioni, quella italiana è senz’altro la migliore con la sublimazione dell’architettura organizzativa, frutto di una grande meditazione dopo aver valutato quelle di altri Stati. Il sistema o ordinamento politico della Repubblica Italiana è un sistema politico improntato a una democrazia rappresentativa nella forma di Repubblica parlamentare. Lo Stato è organizzato in base a un significativo decentramento regionale. ll sistema è articolato secondo il principio di separazione dei poteri: il potere legislativo è attribuito al Parlamento, il potere esecutivo viene destinato al Governo e il potere giudiziario viene esercitato dalla magistratura, indipendente dal potere esecutivo e dal potere legislativo; il presidente della Repubblica è la massima carica dello Stato e ne rappresenta l’unità.

L’ingegnosa scelta operata è stata più che ideologica, un’indicazione di tecnica costituzionale, in quanto sorretta da una analisi molto approfondita e attenta delle radici storiche e dello stato di fatto di un sistema politico quale quello riemerso, dopo l’esperienza fascista, nel secondo dopoguerra, sistema segnato da un alto e rischioso livello di disomogeneità interna.

Il concetto di rappresentanza è stato introdotto da Montesquieu nel 1748; la felice intuizione parte dal concetto che il popolo non può direttamente amministrare una società complessa come lo Stato. Secondo la democrazia diretta, il popolo direttamente decide sulle questioni concernenti le scelte politiche dello Stato e ciò costituisce la vera sovranità popolare; diventa sia capo dello Stato sia del Governo; non è poi vincolato alla fiducia da parte del parlamento. Nel presidenzialismo il Presidente ha un limitato potere legislativo, può porre il veto alle decisioni delle Camere ma non può scioglierle; inoltre è lui poi a dirigere la politica estera e a nominare gli alti funzionari dello Stato. Le caratteristiche vi riscontrano aspetti negativi, ossia:

  • possibile eccesso di autoritarismo;
  • rischio di fratture tra istituzioni (governo e parlamento) e paese;
  • Meno pluralismo (si tende al bipartitismo).

Questa impostazione di Stato è inutilizzabile presso grandi comunità e inoltre non sempre tutti i cittadini vogliono partecipare alle questioni politiche oppure altri possono non possedere le conoscenze di base che occorrono per prendere delle decisioni giuste.

Con la democrazia rappresentativa (come in Italia), tipica della concezione liberale democratica dello Stato, i cittadini eleggono i rappresentanti ai quali delegano l’esercizio della propria sovranità; in altre parole essi decidono in via esclusiva sulle politiche che lo Stato deve operare. Perciò il popolo è titolare della sovranità ma la esercita indirettamente, essa perciò viene anche definita democrazia indiretta. Il momento attraverso il quale si manifesta tale volontà è il momento delle scelte elettorali nelle cabine.

In tal caso, la prima forma di espressione diretta del popolo è costituita dalle elezioni, in esse il popolo conferisce la delega per l’esercizio della sovranità. Comunque, anche se il modello seguito dalla nostra Costituzione è quello della democrazia indiretta, essa prevede delle ipotesi nelle quali il popolo è chiamato a esprimere direttamente la propria sovranità. Queste ipotesi sono indicate come istituti di democrazia diretta; esse sono:

  • le elezioni;
  • l’iniziativa legislativa popolare;
  • il referendum;
  • la petizione.

La prima forma di espressione diretta del popolo è costituita dalle elezioni, in esse il popolo conferisce la delega per l’esercizio della sovranità.

L’analisi delle forme di democrazia scopre che la nostra è veramente la soluzione ideale; pertanto tutto il dibattito sul presidenzialismo diventa solo un richiamo inadatto al nuovo, al diverso, al cambiamento.

Perché cambiare le cose che funzionano? L’elezione diretta del presidente della Repubblica, proposta prima ventilata e adesso sostenuta con fermezza, è un arretramento della gestione dell’attività governativa, poiché si stravolge tutta la Carta costituzionale attualmente vigente.

Intanto l’uomo solo al comando non offre segni di equilibrio, garanzia e oculatezza. Sbagliare è molto facile. Il filtro italiano della democrazia parlamentare consente un maggiore dibattito, il confronto delle idee rappresenta un momento di mediazione. Questa soluzione è frequentemente adottata nelle recenti democrazie, a differenza degli Stati Uniti d’America. Teniamo conto che questo paese è discendente dei metodi westeriani, in cui vi era sempre un vincitore unico. Un ordinamento adatto a quello Stato, in cui vengono rappresentati due grossi partiti; invece nella nostra bella Italia i partiti sono tanti, forse troppi, e questi riescono a interpretare le diverse tendenze politiche del popolo. Tuttavia l’architettura americana resta stravagante poiché nella lotta politica a due occorrono molte risorse finanziarie: ciò è appannaggio di lauti imprenditori, disposti e in grado di disporre di ingenti capitali; in alternativa un uomo politico deve farsi sostenere da una lobby, che si accolla le spese di pubblicità elettorali ma in cambio esige dopo l’assunzione dell’incarico un certo assoggettamento alle proprie istanze, che non agevolano di certi i poveri. In altre parole un soggetto politico di grandi qualità, senza fondi necessari, non può accedere e né sperare di essere eletto; in tal modo la qualità dei futuri presidenti risulta di bassa qualità, come dimostrano gli ultimi eletti (Trump, Bush e lo stesso Obama). Quanto detto, per sostenere la tesi che la democrazia rappresentata riesce a filtrare elementi di buona capacità e con stoffa politica e poterli elevare a rango di presidente della Repubblica.

Ricordiamo che la democrazia diretta è tipica di un governo tribale, talebano e democratico in modo rozzo e primitivo. A conferma, in Italia abbiamo il vanto di aver avuto dei presidenti della Repubblica di grande valenza, preparati, equilibrati, che hanno sempre saputo decidere e garantire la Costituzione. Il presidenzialismo, cioè l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, si presta a forzature populistiche, che premiano l’imbonitore del momento, che quasi sempre non dispone degli elementi professionali idonei a tale carica. Nei momenti in cui alcuni personaggi erano in auge, come Berlusconi, Salvini, Renzi, Grillo, questi sarebbero stati eletti alla suprema carica dello Stato, con risultati certamente disastrosi. Queste figure di tutto rispetto come capi-popolo temporane, ma senz’altro inadatti a gestire un ruolo di tali dimensioni, in cui occorre principalmente una ottima conoscenza giuridica.

Dobbiamo ricordare un elemento importante, quello della partecipazione elettorale de cittadini, caduta nelle ultime chiamate alle urne al 63,69%. Con una profonda riflessione, possiamo affermare che i partiti minoritari non avrebbero speranza con il presidenzialismo e diventerebbe un deterrente al clima partecipativo. Una ulteriore riduzione dell’affluenza del popolo italiano alla scelta dei candidati accrescerebbe l’abulia e la disaffezione politica e partitica, creando un vuoto di enorme entità non apprezzabile in un Paese avviato al progresso.

Non vogliamo imbonitori ma cerchiamo per la nostra Nazione uomini di grosso calibro che possano rappresentarci nei dovuti consessi, a livello comunitario e internazionale e pure verificare le ragioni di Stato con il massimo equilibrio.

Il contenuto dei diversi fattori nei momenti storici crea le specificità di ciascun paese; lo stesso sistema può dare frutti diversi in diversi contesti. Molte delle repubbliche dell’America latina hanno mutuato il modello della Costituzione americana, con il presidenzialismo, il bicameralismo, la Corte suprema. Ma tutte sono precipitate in regimi dittatoriali. Il presidenzialismo è un sistema rigido fondato sulla contrapposizione frontale tra chi ha perso e chi ha vinto, che esaspera le divisioni. Per evitare fratture istituzionali e conflitti politici esasperati è necessaria la legittimazione reciproca tra i partiti, che agevola il rispetto tra i contendenti e la ricerca di punti di equilibrio tra le diverse posizioni.

La storia costituzionale degli Stati Uniti dimostra che il presidenzialismo funziona quando c’è legittimazione tra le parti politiche e produce invece rallentamenti, negoziazioni infinite e paralisi quando la legittimazione reciproca viene meno, come durante le presidenze Obama e Trump. Non si possono mandare in galera o tentare di farlo con i loro rivali. Purtroppo ricorrente, accusare il governo di aver frodato le elezioni e i partiti che usavano le loro maggioranze parlamentarti per destituire i presidenti e prendere dal controllo della Corte suprema. Poteva essere ovvio pensare all’Ecuador e alla Romania, sembrava difficile potesse accadere agli Stati Uniti: ciò fa riflettere sulla dinamica del presidenzialismo.

In Italia la legittimazione reciproca oggi manca e i tentativi di agevolarla sono sinora falliti. Il presidenzialismo rischierebbe di accentuare la contrapposizione frontale, la delegittimazione reciproca e il conflitto elettorale come gioco per vincere, non come procedura per determinare futuri governanti. D’altra parte la legittimazione reciproca non è uno scambio di complimenti; comporta la fatica di guadagnarla per sé e riconoscerla agli altri; richiede inoltre il coraggio di essere guida, non servo del proprio elettorato.

Se ripensiamo a questo percorso che l’idea presidenzialista ha avuto nel nostro Paese dobbiamo riconoscere che il modello di forma di governo più elaborato e compiuto connesso a tale idea è stato quello discusso e definito tra il 1997 e il 1998 sul presidenzialismo, nell’ambito della Commissione D’Alema. Uno schema che cercava di combinare l’impianto del semipresidenzialismo di matrice francese con la tradizione parlamentare italiana e che pertanto veniva allora definito nel linguaggio giornalistico come una forma di “semipresidenzialismo temperato all’italiana. Ma anche questo progetto alla fine è abortito per la rottura dell’intesa fra destra e sinistra sui temi della giustizia, rottura che ha portato alla interruzione dei lavori della Commissione. Si deve, quindi, riconoscere che l’idea presidenzialista che, in tempi diversi, è ripetutamente affiorata nel nostro paese non ha mai condotto ad approdi concreti. Il fatto è che tutti coloro che questa idea hanno coltivato, sia pure da angolazioni politiche diverse, sembrano essersi ispirati ad una convinzione apprezzabile, ma di stampo illuminista: alla convinzione cioè che al malfunzionamento della politica e all’inadeguatezza di una classe governante si potesse porre rimedio attraverso modifiche del progetto costituzionale. Tesi che risulta fallace, dal momento che viene a colpevolizzare  un ipotetico difetto della macchina costituzionale per le disfunzioni prodotte, anziché imputarle alla cattiva qualità del carburante politico cui spetta il compito di far funzionare la macchina.

Il nucleo centrale del progetto in esame tende, dunque, ad annullare, attraverso l’elezione diretta del vertice statuale, l’attuale funzione del Presidente della Repubblica quale garante imparziale dell’unità nazionale (e cioè sia della maggioranza che delle minoranze) per trasformarla in una funzione di parte qual è quella che spetta al maggior titolare dell’indirizzo politico di maggioranza. Con questa operazione le minoranze, attraverso la trasformazione dell’organo supremo di garanzia nell’organo supremo di governo, vengono a perdere una delle loro maggiori linee di difesa, mentre si concentra nelle mani di una sola persona fisica un potere particolarmente esteso e penetrante. Si viene pure a demolire uno dei due nuclei fondamentali invocati a sorreggere quella funzione di controllo costituzionale – contrapposta alla funzione di indirizzo politico affidata al Parlamento ed al Governo – che la Costituente ha inteso affidare, con competenze eterogenee ma convergenti, al Presidente della Repubblica ed alla Corte costituzionale. Una funzione di controllo costituzionale che, in questi settantasei anni di esperienza repubblicana, ha operato efficacemente così da controbilanciare (e talvolta supplire) le carenze di un sistema politico autoreferenziale il quale nel corso del tempo anziché correggere ha finito per aggravare le proprie disfunzioni e divisioni interne. Appare visibilmente chiara la constatazione del buon rendimento di questa funzione di controllo costituzionale, che sopperisce alla tenuta complessiva del nostro impianto istituzionale, anche nelle sue fasi più critiche.

Prima di accedere a nuove formule per il gusto di cercare il nuovo, valutiamo l’importanza del problema e cerchiamo di apprezzare i metodi già esistenti e certamente sufficientemente in grado di gestire la cosa pubblica. Sarebbe forse opportuno, per stabilizzare il sistema, occuparsi prioritariamente del consolidamento del nostro parlamentarismo in tre semplici direzioni: sfiducia costruttiva, voto delle Camere riunite per fiducia e legge sul bilancio, divieto di fiducia su leggi elettorali e leggi costituzionali. Non sarebbe una rivoluzione, ma potrebbe funzionare.

©Riproduzione riservata

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About Giuseppe Rocco

Esperto di commercio estero. Vice Segretario generale della Camera di commercio di Bologna sino al 31.1.2007; Docente esterno presso l’Università di Bologna, Istituto Economico della Facoltà di Scienze politiche, in qualità di cultore dal 1990 al 2006, di “Istituzioni Economiche Internazionali” e in aggiunta dal 2002 al 2006 di “Diritti umani”; Pubblicista iscritto all’Albo dei Giornalisti dal 1985; 450 articoli per 23 testate nazionali; in particolare consulente del Il Resto del Carlino, in materia di Commercio internazionale, dal 1991 al 1995; Saggista ed autore di 53 libri scientifici ed economici; Membro del Consiglio di Amministrazione del Centergross dal 1993 al 2007;Membro del Collegio dei periti doganali regionali E. Romagna, per dirimere controverse fra Dogana ed operatori economici dal 1996 al 2000, con specificità sull’Origine della merce.