Se7en

Seven (conosciuto anche come Se7en) è un thriller del 1995 di David Fincher, lo stesso David Fincher che ha diretto la trasposizione cinematografica del capolavoro letterario di Chuck Palahniuk, “Fight Club”, e conosciuto dal grande pubblico soprattutto per “The social Network”, film che tratta della controversa invenzione di Facebook e del fenomeno da esso scaturito. Se7en si inserisce alla perfezione nel florido periodo della scena thriller americana della metà degli anni ’90, che ha sfornato opere come “Il collezionista di ossa” del 1999.

Il cast del film è a dir poco stellare; Fincher può permettersi di schierare attori del calibro di Morgan Freeman, Brad Pitt (che aveva già diretto in Fight Club),  Gwyneth Paltrow (che Se7en ha praticamente lanciato nel panorama hollywoodiano) e soprattutto Kevin Spacey, il cui nome non compare nei titoli di testa (per sua scelta) per far sì che la sua entrata in scena sorprendesse lo spettatore.

L’ambientazione è quella di una città non identificata e mai nominata nel film; una città caratterizzata dalla pioggia costante e da un colore cupo. Lo stesso Fincher ha dichiarato di voler mostrare una città che fosse “sporca, violenta, inquinata e spesso deprimente”; l’intenzione del regista era che “tutto dovesse essere il più realistico e crudo possibile”.

La trama è di quelle che “costringono” lo spettatore ad inchiodarsi allo schermo per circa 2 ore (durata del film) che scorrono senza che se ne abbia la benché minima percezione: all’anziano e vicino alla pensione detective Somerset, interpretato da Morgan Freeman, viene affiancato per poi sostituirlo il giovane ed impulsivo David Mills/Brad Pitt. Contemporaneamente a ciò, la città è messa sotto scacco da un killer che apparentemente uccide seguendo un proprio insolito modus operandi: ovvero uccidendo chi si è macchiato di uno dei sette peccati capitali (nell’ordine gola, avarizia, accidia, lussuria, superbia, invidia, ira) e applicando la “dantesca” legge del contrappasso. La prima vittima, ad esempio, è un obeso che il killer ha costretto a mangiare oltre misura fino alla morte. Viene anche trovata sulla scena del delitto, in particolare dietro al frigorifero della vittima, la scritta “gola”. Nei giorni successivi vengono ritrovate altre vittime, un avvocato, noto per aver difeso truffatori e criminali di ogni sorta, punito per la sua avarizia, e uno spacciatore con una particolare “attrazione” per i bambini, punito invece per la sua accidia e, per questo, legato al proprio letto e drogato per un anno intero dal killer stesso, il quale in questo modo rivela di essere molto paziente nel mettere in atto il proprio “disegno divino”. Il ritmo del film è dettato dal succedersi degli omicidi e dai tentativi da parte dei due detective di trovare il colpevole, per arrivare, infine, al finale “col botto”, mozzafiato e ricco di colpi di scena.

Tra i personaggi, quello maggiormente caratterizzato è il detective Somerset che, essendo anziano e vicino alla pensione, ne ha viste di cotte e di crude durante gli anni di attività come detective e non sembra più sorprendersi di nulla, soprattutto del decadimento e dell’amoralità del mondo che lo circonda. In particolare, in un dialogo con il giovane detective Mills, se la prende con l’apatia, sostenendo come la gente “abbracci” l’apatia considerandola come una virtù o, comunque, una soluzione, un modo per non dover affrontare la vita. La filosofia di vita di Somerset, che appare del tutto disilluso riguardo al genere umano, si può riassumere nella frase da lui pronunciata, con cui si conclude il film: «Hemingway una volta ha scritto: “Il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso.” Condivido la seconda parte».

Il film è percorso da citazioni letterarie: la “Divina Commedia”, in particolare il Purgatorio, di Dante Alighieri (con la già citata “legge del contrappasso”), i “Racconti di Canterbury” di Chaucer, “Il paradiso perduto” di John Milton sono solo alcune delle opere citate. Da notare anche come nel film non ci siano delle vere e proprie “scene di violenza”, di cui il regista sceglie di farci vedere solo le conseguenze.

In conclusione, il film è assolutamente da vedere, per chi non l’avesse ancora visto. Nel corso del tempo, dopo la sua uscita, Se7en è diventato un “cult”, unico nel suo genere non solo perché riesce a creare un elegante ed equilibrato connubio tra azione e suspence, ma anche per questioni legate alle riprese (lo stesso Fincher aveva deciso di filmare come se la telecamera “sbirciasse” dietro le spalle degli attori, prendendo spunto dalle riprese fatte durante le vere operazioni poliziesche). Il giudizio, quindi, è totalmente positivo: non vederlo è un “peccato capitale”.

                                                                                                                Francesco Medugno

 

                                                                                                                                                      

 

 

 

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