Una leggenda degli anni Settanta, Honda Cb 750 Four
Gli anni Settanta sono stati un continuo fermento di innovazione nel campo motociclistico, la Honda Cb Four 750 è stata una delle protagoniste più celebri di quegli anni ruggenti.
Prima di scoprire la moto in esame, è doveroso ricordare la storia di questa leggenda su due ruote. Fino agli anni Sessanta la Honda è conosciuta come una grande industria che produce per lo più utilitarie affidabili e moto di piccola cilindrata. Ma, alle porte del nuovo decennio, la casa giapponese vuole sfidare il dominio inglese nel mercato americano, il più florido del periodo. Fino ad allora le Norton e le Triumph regnavano lo scenario delle maxi sportive, ma nel ’68, con la presentazione della CB 750 Four, la Honda lascia tutti di stucco. Molti prima di loro avevano presentato moto a quattro cilindri; tuttavia, nessuno aveva provato su scala industriale. Gli ingegneri nipponici ideano un motore e una componentistica efficiente e affidabile: oggi il quattro cilindri in linea è ancora un riferimento nel mondo motociclistico.
“La Regina”, come la chiama il geloso proprietario, è l’esemplare della prova di oggi. La nostra Honda è del ’73, un modello K2 in tinta Candy Gold. All’epoca erano già disponibili le K3 ma questo modello è rimasto in commercio per diversi anni.
Differisce dal primo modello (K1) per la maggiorazione del freno a disco anteriore (una delle prime moto a montarlo di serie); il guscio dei fari non più in tinta; la strumentazione accentrata sul cruscotto; il logo modificato sui fianchetti e altri piccoli accorgimenti. Da notare l’adozione della distribuzione monoalbero tanto ricercata dai collezionisti di oggi, sostituita dalla bialbero alla fine degli anni Settanta. La potenza sfiora i 70 cavalli permettendo alla moto di toccare i 200 km/h.
Per raggiungere il punto convenuto per le foto, “La Regina” segue con facilità la mia Suzuki ben più moderna. Ascolto il ruggito del quattrocilindri Honda che in alcune tonalità non si discosta molto dai motori odierni, sbuffa ai bassi regimi ma urla agli alti, la zona rossa è oltre i 9000 giri. Il proprietario mi spiega però che, sebbene il motore sia tonico, l’impianto frenante non è all’altezza e bisogna ricorrere spesso al cambio in decelerazione. A motori spenti, vengo colpito dalle linee sinuose tipiche di quegli anni, dalla qualità costruttiva e dell’attenzione ai dettagli, nulla è cheap su questa moto. “La Ragina” si fregia della Targa Oro dell’Asi, riconoscimento per i modelli storici di maggior pregio. Per tutti questi anni è stata posseduta da un solo proprietario che ci ha percorso appena ottomila chilometri, neanche un rodaggio, e solo negli ultimi mesi ha trovato una nuova casa. Il disco del freno non presenta ancora il minimo segno di usura, le poche plastiche non sono opacizzate e non vi è traccia di ruggine sui componenti metallici. Per il resto parlano le immagini proposte nell’articolo.
Questa vecchia gloria faceva a spallate con moto del calibro di Laverda 750, Moto Guzzi V7, Norton Commando, Ducati 750, BMW R75, Kawasaki Mach III (la mitica tre cilindri due tempi) e, grazie a questo retaggio, adesso il suo valore è importante. Per chi se ne fosse innamorato, dovrà essere disposto a sborsare oltre diecimila euro per un esemplare conservato e non restaurato come quello in prova e dai cinque ai settemila per versioni più recenti.
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