LE PRIME IMMAGINI DI SOLAR ORBITER E DEL SUO CORONOGRAFO METIS

IL CONTRIBUTO DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA ALLA MISSIONE SPAZIALE

Solar Orbiter (SolO) è una missione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) lanciata lo scorso 9 febbraio da Cape Canaveral e dedicata all’osservazione del Sole. Anche la NASA ed alcuni team scientifici americani hanno contribuito in modo sostanziale a questa missione solare, rispettivamente con il lanciatore ed uno degli strumenti scientifici a bordo del satellite, confermando la stretta collaborazione scientifica tra le due agenzie.

Questa missione ha delle caratteristiche molto particolari, grazie alle quali ci si aspetta di ottenere un ritorno scientifico unico e assolutamente innovativo. In particolare, la sonda percorrerà svariate orbite attorno al sole durante le quali arriverà più vicina al sole di quanto non lo sia il pianeta Mercurio: questo ci consentirà di vedere il Sole da un punto di vista assolutamente privilegiato, grazie al quale si potranno ottenere delle immagini ad altissima risoluzione, come mai prima d’ora. Tuttavia, per stare così vicino al Sole è necessario proteggere la strumentazione dall’intenso flusso termico solare, che porterà la superficie del satellite a temperature superiori ai 500°C: per questo, il satellite è dotato di uno “scudo termico” sul quale sono stati fatti piccoli fori per consentire agli strumenti di poter fare le loro osservazioni. Inoltre, grazie ad una serie di “effetti fionda gravitazionali” che il satellite farà con il pianeta Venere, l’orbita del satellite si inclinerà rispetto al piano su cui ruota la Terra attorno al sole, consentendoci di osservare per la prima volta i poli del Sole. Finora infatti nessuno ha mai potuto vedere direttamente il sole “dall’alto”, e questa sarà una assoluta novità per l’esplorazione del sistema solare.

Metis, uno dei dieci strumenti a bordo di Solar Orbiter, è un coronografo solare, cioè uno strumento in grado di realizzare foto della corona del Sole realizzando al suo interno una eclissi artificiale. Metis è il principale contributo italiano alla missione, supportato dall’Agenzia Spaziale Italiana, realizzato sotto la gestione della Prof.ssa Ester Antonucci dell’Istituto Nazionale di AstroFisica, e attualmente coordinato dal prof. Marco Romoli dell’Università di Firenze. Alla realizzazione dello strumento hanno contribuito molti istituti scientifici italiani distribuiti su tutto il territorio nazionale, comprendenti vari Atenei, l’Istituto Nazionale di Astrofisica e il Consiglio Nazionale delle Ricerche, oltre ad altri istituti europei e di oltreoceano, tutto questo con il supporto fondamentale delle principali industrie spaziali italiane: in pratica, un tipico esempio di collaborazione internazionale per condividere risorse ed esperienze per ottenere il miglior risultato possibile e un significativo avanzamento delle competenze tecnologiche dei team coinvolti.

Anche l’Università di Padova ha dato il suo contributo alla realizzazione di Metis, grazie a ricercatori del Dipartimento di Fisica e Astronomia, del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e del Centro di Ateneo di Studi e Attività Spaziali “G. Colombo”. Questo contributo è praticamente la continuazione di alcune attività spaziali iniziate più di trenta anni fa.

«L’UltraViolet Coronagraph Spectrometer, uno degli strumenti che ha volato nel 1995 a bordo del satellite ESA/NASA SOHO, è stato il frutto di anni di lavoro del nostro gruppo di ricerca, ed una delle mie principali attività di ricerca in quegli anni – dice Piergiorgio Nicolosi, uno dei membri del Project Office di Metis -. Rivivere, nuovamente una simile esperienza con Metis ed il Solar Orbiter, pur con un diverso ruolo, è stata una grande soddisfazione: questo ha dimostrato che quanto seminato in quegli anni in termini di competenze e nuove conoscenze nei giovani ricercatori sia stato poi messo a frutto, e abbia fatto in modo che il nostro Ateneo sia diventato un punto di riferimento nella realizzazione di strumentazione ottica per satelliti».

È stato proprio grazie alle esperienze acquisite in quegli anni, quand’era un giovane neo laureato, oltre a successivi coinvolgimenti in altre missioni spaziali, che il prof. Giampiero Naletto ha avuto il ruolo di experiment manager del progetto.

«La nostra proposta di Metis – continua Giampiero Naletto – è stata selezionata da ESA a marzo 2009. Da allora Metis è stato al centro delle mie attività fino alla consegna dello strumento per la sua integrazione nel satellite otto anni dopo. Sono stati anni di duro lavoro, con fasi esaltanti e anche qualche momento di sconforto, ad esempio quando lo strumento è stato ridimensionato per problemi di budget. È stato un grande sacrificio per tutti i ricercatori coinvolti, ma grazie a questo sforzo collettivo siamo riusciti a realizzare uno strumento unico nel suo genere, che utilizza tecniche di osservazione innovative e soluzioni ottiche e meccaniche assolutamente originali, e che possiamo sicuramente considerare un vanto della tecnologia italiana».

E i risultati adesso si cominciano finalmente a vedere. Infatti, l’ESA ha appena distribuito le prime immagini acquisite dagli strumenti di Solar Orbiter durante il primo incontro ravvicinato con il Sole (non si tratta in effetti di uno degli incontri alla minima distanza dal Sole, che si effettueranno solo a partire dall’aprile 2022).

«Queste prime immagini – sottolinea Aleksandr Burtovoi, un giovane assegnista di ricerca che sta lavorando sul progetto – ottenute da Metis sono esaltanti sotto vari punti di vista. Da una parte, per realizzare l’eclissi del disco e poter osservare la corona solare è stato realizzato un disegno ottico innovativo, le ottiche dello strumento sono state realizzate con le tecniche più avanzate e con la massima precisione possibile, e vedere adesso la qualità di queste immagini è realmente incredibile. Dall’altro c’è il fatto che questo strumento è in grado di osservare la corona solare non solo nel visibile, quindi come la vedremmo con i nostri occhi durante un’eclissi solare quando la luna oscura il disco del Sole, ma anche nel lontano ultravioletto, per poter così studiare la distribuzione dell’idrogeno nella corona. Questo è il primo strumento in assoluto che ci permette di vedere la corona ultravioletta a grandi distanze dal disco, e la combinazione delle due immagini, visibile e ultravioletta, ci permetterà di ottenere dei risultati scientifici di assoluta novità».

Un altro aspetto da mettere in evidenza è le condizioni critiche in cui si è dovuto lavorare per ottenere queste immagini. Infatti, l’emergenza sanitaria ha avuto il suo culmine proprio nel periodo in cui si dovevano svolgere le attività di commissioning degli strumenti, cioè la verifica dopo il lancio che tutto funzionasse correttamente.

«Il coronavirus purtroppo ha fatto sentire i suoi effetti anche nello spazio. Infatti per alcune settimane non è stato possibile accedere al centro di controllo a Darmstadt in Germania, per cui le attività di controllo orbitale del satellite così come quelle della strumentazione scientifica sono state svolte con i tecnici ed i ricercatori al lavoro ognuno con il proprio laptop da casa. È stato uno stress test non da poco – conclude Giampiero Naletto – ma fortunatamente tutto è andato bene. Ed è forse proprio grazie a tutte queste difficoltà superate, che adesso possiamo esprimere la nostra grande soddisfazione a condividere con tutti voi queste bellissime immagini. Si tratta di un risultato unico e che ci permetterà di investigare ancor più in dettaglio il nostro Sole, nel tentativo di descriverne meglio il funzionamento e svelarne alcuni aspetti ancor oggi non ben compresi».

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