Il bimbo col berretto di Maria Paola Battista


17-06-2014

Molti pensano che l’uomo si distingua dagli animali per la sua  capacità di ragionare. Eppure, spesso, egli si mostra così crudele nei confronti degli altri da offuscare questo suo pregio. Nel corso della sua esistenza l’uomo ha cacciato gli animali anche solo per divertimento o per farne pellicce fino rischiarne l’estinzione. Ancora oggi li usa  per fare esperimenti scientifici e, infine, li rinchiude in gabbia per guadagnare soldi.

In una grande città piena di case, strade e automobili, c’era uno zoo….

Le gabbie erano inserite in un grande spazio verde dove gli animali potevano sentirsi liberi ma, con il passare del tempo, essi erano diventati pigri e annoiati così trascorrevano quasi tutta la loro giornata sonnecchiando e vagando da una parte all’altra, svogliatamente.

Neanche le allegre voci delle giovani scolaresche che andavano a visitarli riuscivano a ridestare gli animali dello zoo che li guardavano come se non capissero proprio il senso di tutto quel vociare.

La calma piatta scompariva solo quando arrivava  un bambino.

Gli animali lo riconoscevano subito perché indossava un berretto verde dal quale spuntavano dei capelli castano chiaro, quasi rossi, lisci e appuntiti.

Paolo, era questo il nome del bambino, era il figlio del custode. Egli era, per tutti gli abitanti dello zoo, quasi come quei  due cuccioli di panda nati in primavera, perché era da sempre stato lì: lo zoo era la sua seconda casa e, quindi, tutti gli animali lo conoscevano bene.

Quando Paolo arrivava, già prima della curva, una giovane giraffa lo avvistava e dava la voce ai suoi amici.

Arrivava, Paolo, con il suo cagnolino Charlie, un meticcio di media taglia, peloso e riccio, con le orecchie basse, gli occhi vivi e pieni di amore che gli trotterellava a fianco. Erano diventati  inseparabili sin dal giorno in cui la mamma di Paolo  aveva trovato il batuffolino abbandonato nell’angolo del portone di casa e aveva deciso di “ospitarlo” solo per un po’, fino a che non si fosse ripreso. Da allora, invece, Charlie aveva trovato la sua casa e un caro fratello in Paolo.

Il bambino era speciale non solo perché gli animali lo conoscevano da sempre ma perché aveva una dote particolare che nessun uomo ha: egli comprendeva il loro linguaggio e gli animali capivano ciò che diceva lui! Sebbene fosse piccino di età aveva imparato a leggere da solo e si era fatto una gran cultura su tutti gli animali dello zoo. Ad essi, grazie alla sua immaginazione, riusciva a raccontare tante  storie fantastiche sul loro habitat naturale che non avevano mai potuto conoscere. Ciò li rendeva felici.

Aveva dato ad ognuno degli animali un nome e non li confondeva mai: la giraffa più anziana delle cinque presenti si chiamava, ad esempio,  Elide e a lei Paolo raccontava delle bellissime storie sulla savana. Erano storie così belle che anche le leonesse della gabbia accanto si avvicinavano per ascoltarle. Agli occhi di un visitatore inconsapevole della magia che esisteva tra Paolo e gli animali sarebbe potuto sembrare che, quasi quasi, le leonesse volessero avventarsi sul bambino tanto gli si avvicinavano. Invece Paolo si sedeva sul piccolo muretto che costeggiava i recinti e iniziava a parlare: “Un nuovo giorno è nato nella savana, il sole brilla e i suoi raggi si  riflettono nelle acque limpide del laghetto. I coccodrilli fanno capolino per vedere se qualche gnu sta andando ad abbeverarsi e, da lontano,  si sentono  i barriti degli elefanti …” e, come d’incanto,  tutti gli elefanti dello zoo barrivano a più non posso per far sentire i loro richiami fino a laggiù!

“Ehi, Paolo – lo richiamava la scimmia Alma – facci un po’ sentire di quella volta che i bracconieri furono arrestati”. Allora Paolo, senza farsi pregare, cominciava a raccontare un’altra storia fantastica.

A volte il suo papà lo guardava da lontano ed era un po’ preoccupato che Paolo trascorresse le giornate a parlare da solo ma poi lo vedeva così felice che non poteva fare a meno di pensare che Paolo non aveva fratellini né sorelline e che, quindi, quello fosse il suo modo di fare compagnia a se stesso.  Mai, certo, avrebbe potuto pensare che il suo figlioletto parlasse con gli animali dello zoo!

Durante l’inverno le visite di Paolo non erano molto frequenti perché faceva freddo ma in primavera  e in estate Paolo andava sempre dai sui animali.

A volte gli altri bambini gli chiedevano: “Come si chiama il tuo cane?” e lui felice rispondeva: “Lui si chiama Charlie, ma poi ho anche una giraffa che si chiama Elide, una scimmia di nome Alma e un leoncino che si chiama Birba!” E allora qualcuno  gli rispondeva: “ Sì, sì come no!” mentre  qualcun altro gli diceva: “Beato te, che sei così fortunato ad avere tanti amici!”

Una sera, durante una piovosa settimana, Paolo era intento a leggere quando un lampo squarciò il cielo e tutto diventò  buio. Charlie era nervoso e cercava riparo ora negli angolini della cameretta ora vicino vicino al bambino. Improvvisamente, senza conoscere bene il perché, il bambino si ritrovò a pensare agli animali dello zoo. Tutte le case del quartiere non erano più illuminate a causa del lampo e la mamma di Paolo era intenta ad accendere alcune candele per farsi strada in casa. Il pensiero dello zoo e degli animali soli, e magari impauriti a causa del temporale, non lo abbandonava anzi diventava sempre più inquietante. Paolo sentiva che c’era qualcosa che non stava andando bene: era così preoccupato perché  forse gli animali lo stavano chiamando e lui non poteva rispondere?

Non erano ancora le sette e probabilmente suo padre non aveva chiuso il cancello principale dello zoo. Così Paolo decise di andare a vedere. La sua mamma certo non avrebbe voluto che lui uscisse con quel tempaccio ma il tragitto era breve e Paolo la supplicò così tanto che la donna non poté evitare di acconsentire. Paolo era un bambino bravissimo, ubbidiente, sincero e rispettoso, non aveva strane pretese e era uno studente modello anche se frequentava solo la prima elementare. Quindi era impossibile per sua madre negargli un permesso, se Paolo la supplicava. Così gli mise il suo impermeabile e gli stivaloni per la pioggia e, raccomandando a Charlie di stare molto attento, la mamma li fece uscire. Se non fosse tornato entro un quarto d’ora insieme a suo padre anche lei li avrebbe raggiunti.

Paolo fece le scale di corsa e corse, corse anche di più per strada fino a quando non entrò trafelato nello zoo. Stranamente Charlie non camminava a fianco a lui come sempre ma si allontanava fiutando a terra,  seguendo una traccia. Paolo lo guardava un po’ incuriosito e, soprattutto, gli venne in mente di non chiamarlo né fischiarlo anzi lo seguiva con lo sguardo attentamente. Mentre guardava il cane, Paolo si sentì chiamare: era una vocina sottile che lui conosceva benissimo. Era Panciottino, l’uccellino blu che Paolo aveva chiamato così perché, essendo il più piccolino della nidiata di uccelli blu, era coccolato da tutti. Ognuno gli dava sempre qualche bel vermetto e lui mangiava a più non posso.

“Paolo, Paolo, stai molto attento: ci sono dei cattivacci qui in giro, hanno approfittato del buio e sono entrati dal cancello laterale, hanno preso tuo padre, è legato e imbavagliato laggiù nel deposito degli attrezzi “.

“Dove sono i cattivi, cosa vogliono?” disse il bambino sempre più preoccupato.

“È per i leoncini. Hanno dei grossi sacchi e forse vogliono rubarli ma i piccoli dormono insieme a Luisella, la loro mamma, che non li lascerà andare facilmente. È pronta anche a morire per i suoi cucciolini”.

Paolo allora si decise ad agire. Panciottino gli aveva detto che il suo papà stava bene, così pensò di andare prima alla gabbia dei leoni. Purtroppo non aveva le chiavi dei cancelli perché  magari avrebbe liberato gli elefanti che erano lì pronti ad aiutarlo. Così era costretto a  fare tutto da solo. Si acquattò e piano piano si diresse verso le gabbie, Charlie era con lui e anche Panciottino lo seguiva. Si avvicinò alla gabbia, era aperta e i leoni erano distesi a terra come se dormissero. Paolo sapeva che tanti cacciatori usavano i sonniferi per catturare gli animali feroci e capì, quindi, subito che i leoni erano stati addormentati. Non vedeva Luisella, evidentemente era dentro la tana con i cucciolini. Si sentiva un lamento silenzioso e Paolo capì che da solo non poteva farcela. Forse la povera Luisella era in grave pericolo e se quei cattivoni lo avessero visto  avrebbero rapito o picchiato anche lui. Così fece un cenno a Charlie e gli disse di rimanere di guardia. Se i ladri fossero scappati lui sarebbe di corsa andato ad avvertirlo insieme a Panciottino. Paolo ricordò le raccomandazioni della madre e poiché i quindici minuti erano ormai trascorsi, corse all’ingresso e la trovò. Le raccontò immediatamente  tutto e andarono a liberare il papà. Poverino: era legato così stretto che per tagliare la corda la mamma dovette prendere la tronchesina che era usata per potare i rami della siepe. Il papà di Paolo raccontò che i banditi erano in cinque, erano armati e molto cattivi e il telefono dello zoo forse non funzionava a causa del cattivo tempo che aveva messo fuori uso gli impianti elettrici e di comunicazione del quartiere. A differenza di Paolo il suo papà aveva le chiavi delle gabbie ma si rammaricava di non riuscire a far capire agli animali cosa fare. Allora Paolo, per amore dei suoi amici, svelò il suo segreto ai genitori. Confessò così  che gli animali parlavano con lui e lo ascoltavano e lui avrebbe potuto spiegare loro tutto ciò che era necessario fare. I due genitori erano stupefatti  ma non c’era tempo per i chiarimenti:  bisognava acciuffare i ladri e salvare i leoncini. Dapprima fu il turno delle scimmie: a loro Paolo chiese di arrampicarsi lungo le sbarre dei leoni e di iniziare a fare prima dei piccoli rumori e poi gridare sempre più forte. Sarebbe servito a far incuriosire i cattivi e forse a farli uscire dalla tana. Poi fu la volta degli elefanti: si disposero uno dietro l’altro e circondarono la gabbia. Le loro zampe iniziarono a far risuonare un tam tam dovunque. Ed, infine, occorreva qualcuno che si avventasse sui ladri non appena fuori dalla tana: e chi poteva esserci se non i panda e i canguri?

All’improvviso quel silenzioso buio diventò un fragore immenso: tutta la città non aveva mai ascoltato nulla di simile e qualcuno spaventato avvisò  polizia e vigili del fuoco.

Nel frattempo, i ladri uscivano con il bottino di gran corsa spaventati dai versi degli animali e lo spettacolo che si presentò ai loro occhi fu qualcosa che non avrebbero mai dimenticato: i canguri li aggredirono con i loro balzi, i panda li graffiarono con le unghie e gli elefanti erano una muraglia invincibile.

Anche Charlie si diede molto da fare, abbaiando e correndo intorno, e ben presto i cattivoni furono bloccati dal papà di Paolo.  La polizia arrivò dopo poco e trovò una scena davvero incredibile: tutti gli animali stavano rientrando al loro posto, in ordine come soldatini, l’uccellino Panciottino svolazzava felice come in una giornata di primavera, e Paolo, più piccino che mai, con il suo berretto inzuppato d’acqua giaceva disteso a terra tra i leoncini che lo leccavano e gli saltavano addosso come se fossero stati dei gattini che fanno le fusa!

Come fosse accaduto che gli animali avessero fatto tutto quello, continuò a essere un segreto; dello  zoo si parlò a lungo in tutto lo Stato e i visitatori aumentarono di molto. Gli animali ebbero delle attrezzature nuove con cui giocare e trascorrere le giornate ma il loro passatempo preferito rimase ascoltare le storie di Paolo, per sempre.

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