Il Normanno e i segreti del Castello di Eleonora Davide. Recensione di Maria Teresa De Donato
L’abile penna di Eleonora Davide ci fa immergere, ancora una volta, nell’affascinante, misterioso e altrettanto irto di insidie mondo medievale.
Come nei precedenti due romanzi della saga de Il Normanno, anche in questo suo ultimo lavoro, Eleonora, pur lasciando libera la sua fantasia, cerca di mantenersi quanto più fedele possibile agli eventi e ai personaggi storici che si sono susseguiti nei secoli nella sua Irpinia. Fa questo grazie a un profondo studio e a una minuziosa ricerca tra le pagine di alcuni storici della sua terra.
Tuttavia, al contrario di quanto accaduto ne Il Normanno e in Dominus, il codice del destino, ne Il Normanno e i segreti del Castello l’Autrice fa una virata colorando il romanzo di toni Fantasy.
Alle componenti presenti anche nelle precedenti pubblicazioni di questa serie – struttura del castello, vita nel maniero, attività svolte sia dai signori sia dai loro servitori, combattimenti e trame di ogni tipo che regolano la vita e la politica del tempo, senso della sacralità e della religiosità – se ne aggiungono altre. Prima fra tutte è proprio la misteriosa e altrettanto improvvisa scomparsa di Martino, il giovane protagonista di questo libro, il quale, avvicinandosi troppo a un muretto dei resti del Castello di Monteforte, dove al tramonto era andato a passeggiare con la sua bella e amata Marianna, cade svanendo nel nulla.
Così, mentre la ragazza, tra i cespugli e le rovine del maniero, continua a chiamarlo cercandolo disperatamente e temendo il peggio, Martino vive un’esperienza che lo porta, tra una tappa e l’altra, ad attraversare il Medioevo diventando testimone oculare di alcuni eventi storici della sua Monteforte, anzi Mons Fortis, come la chiamano coloro che incontra sul suo cammino.
Grazie a quello che inizialmente non riesce a capire se sia un sogno, un’allucinazione, o, al contrario un viaggio in un’altra dimensione o nel tempo, Martino si ritrova tra le tende di accampamenti militari pronti allo scontro con il nemico: siamo, infatti, in piena epoca feudale in cui assistiamo a continue battaglie non solo tra normanni e longobardi, ma anche tra i vari Signori ciascuno dei quali rivendica il diritto ad un certo territorio e a tutto ciò che si trova su di esso.
Martino, data la sua evidente diversità comportamentale, ma anche legata a quello che viene percepito come il suo strano linguaggio e vestiario, a volte passa per scemo, altre per matto, altre ancora per un soggetto che, pur lasciando perplessi, desta curiosità e interesse… A seconda delle circostanze, si trova al cospetto non solo di personaggi pericolosi, violenti e da tenere decisamente alla larga, ma anche di fronte a Signori dell’epoca, primo fra tutti Guglielmo il Carbone, Signore di Monteforte– ebbene sì, proprio quello del Palio, si scoprirà a pensare.
Incontrerà anche valorosi guerrieri e autorevoli rappresentanti del potere temporale della Chiesa che hanno fatto la Storia – quella con la S maiuscola riportata nei libri, ma anche quella locale, fatta di gente comune e persone che avrebbero meritato sicuramente maggiore attenzione nei secoli successivi e che, purtroppo, qualunque ne sia la ragione, sono passati del tutto inosservati o quasi.
La narrazione, oltre ad essere avvincente e intrigante, tanto da affascinare il lettore dalla prima all’ultima pagina tenendolo con il fiato sospeso, presenta delle tematiche molto interessanti. Fra queste forse la più importante è proprio l’osservazione, che la stessa Autrice fa fare a Martino, con la quale il lettore viene incoraggiato a un’oggettiva critica della Storia e dei personaggi e degli eventi in essa menzionati: chi ha deciso chi dovesse apparire come vero protagonista nei libri di Storia e quali eventi avessero maggior rilevanza rispetto ad altri?
Il romanzo evidenzia come le Storie ‘minori’ rivestano altrettanta importanza di quella comunemente tramandataci attraverso i libri. Per le singole comunità è, infatti, fondamentale conoscere e approfondire la Storia locale, perché è quella a loro più vicina, fatta dai loro antenati – patrizi o plebei che fossero – ed è proprio lì che affondano le loro radici, le loro tradizioni e la loro cultura.
Altro aspetto interessante è il viaggio che Martino compie ‘nel tempo’, varcando probabilmente i limiti temporali e spaziali e superando, quindi, anche quelli della materia nella sua fisicità.
Il suo viaggio nel tempo mostra di avere una doppia utilità: da una parte gli consente di essere testimone oculare, e in alcuni casi persino protagonista o co-protagonista, di eventi che – come la Storia poi dimostrerà – determineranno il futuro non solo di singoli uomini ma di intere comunità, e dall’altra gli permette, provenendo lui da un mondo futuro, di anticipare ai suoi interlocutori ciò che accadrà e, in alcuni casi, come riuscire a risolvere un problema e persino a sconfiggere il nemico in battaglia.
Martino, infatti, malgrado ammetta umilmente i suoi limiti in quanto a conoscenza della Storia, utilizzando informazioni avute leggendo alcuni libri in materia, tra cui romanzi assegnati come compiti per le vacanze, nonché materiale informativo diffuso dalla Pro Loco, suggerirà persino al Marchese Bertoldo della casa degli Hohenburg, Signore di Monteforte, il modo in cui vincere la battaglia contro il nemico avvalendosi dei “Cavalli di Frisia”. Questi ultimi, spiegherà a Bertoldo e ai suoi uomini, sono un ostacolo difensivo, usato già dagli antichi Romani, che Publio Vegezio Renato ha ampliamente spiegato nel suo trattato sull’arte bellica Epitoma rei militaris, ossia L’arte della guerra, scritto tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C.
Malgrado il viaggio di Martino nel tempo spesso appaia più come un incubo da cui sembra non esserci via d’uscita piuttosto che una bella avventura, i momenti piacevoli e le esperienze positive non mancano.
Tra i personaggi di rilievo, incontra Cielo D’Alcamo “un poeta… che Federico II aveva apprezzato, lodato e sostenuto, finché la sua fama di letterato non si era sparsa per il Regno…” (Davide, 2023, p. 150) e la cui esibizione al Castello ricorda a Martino i concerti delle rockstar, facendolo approdare alla conclusione che, dopotutto, nei secoli nulla è cambiato: la musica esercita ancora oggi un grande potere sul pubblico proprio come allora.
È testimone anche di come gli ospiti d’onore vengano ricevuti con festeggiamenti in cui agli addobbi regali si affiancano gli abiti altrettanto lussuosi degli uomini e delle donne indossati per l’occasione, il tutto accompagnato da ricchi e gustosi banchetti in cui sembra non mancare assolutamente nulla. Portate di animali di ogni sorta, dai volatili agli “arrosti con spezie e ricoperti di miele…”, salse, pane e vino in abbondanza, pesce, frutta, funghi, formaggi e dolci di ogni tipo (pp. 154, 155) si susseguono a tavola con le donne che si danno un gran daffare per essere certe che tutte le pietanze siano servite al momento giusto, nel modo perfetto e che tutti i presenti apprezzino e gustino il cibo così amorevolmente e accuratamente preparato.
Il Normanno e i segreti del Castello è, dunque, un romanzo scritto in uno stile scorrevole come è quello dell’Autrice, che appassionerà adulti e ragazzi sollecitando, in chi già non lo avesse, l’interesse per la lettura e, soprattutto, per la Storia. Ricorderà, inoltre, a ognuno di noi che “le armi con cui si combatte per la vita non sono solo quelle d’acciaio, ma anche quelle della conoscenza” (p. 88) e che, per usare le parole che Martino rivolge a Leandro, amico incontrato in questo suo viaggio a ritroso nel tempo, “I libri… [sono] un mezzo di trasporto tra i secoli molto efficace.” (p. 140)
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