Il viaggio di Renato. Amori vicini e lontani. Di Angela Lonardo

Renato, con i suoi sessantotto anni portati splendidamente, era rimasto solo quando sua moglie Alma l’aveva lasciato a causa di quello che tutti definiscono “un brutto male”.

La rabbia e l’impotenza si erano impadronite dei tre uomini di famiglia, mentre Daniela, la figlia, aveva lenito le ferite dedicandosi alla casa, alle ragazze Alma e Anella, al marito Alberto, allontanandosi, almeno emotivamente, dall’amara sconfitta di non aver trovato mezzi per salvare la madre dal dolore e dalla morte.

 

Renato, Ciriaco e Antimo ne ricavarono, invece, ognuno a suo modo, un cedimento emotivo e fisico.

In Renato, si materializzò attraverso un’angina spontanea e un’assurda tendenza alla collera che mascherava, in realtà, l’impotenza contro il male inesorabile che aveva portato via la sua adorata compagna di vita; nel figlio Ciriaco si manifestò con l’abbandono degli studi e la tendenza, di punto in bianco, a perdere il sorriso, nonostante avesse al suo fianco Mariaclaudia, una moglie bella e innamorata con cui aveva tante cose in comune e con la quale avrebbe potuto sentirsi, molto spesso, felice; in Antimo, l’ultimo dei ragazzi, si concretò attraverso la crisi coniugale con Micol e in una serie di scelte sbagliate che l’avrebbero portato alla separazione, alla svendita della casa coniugale e allo sperpero del ricavato in auto e moto rivendute a prezzi sempre più bassi.

Molteplici delusioni amorose lo avrebbero, poi, spinto ad abusare di alcolici dei quali non riusciva più a fare a meno.

La famiglia si era frantumata, così, come il più fragile dei cristalli e Renato, benché costretto a riaccogliere in casa il figlio minore Antimo, rimasto senza un tetto, non riusciva a prendere in mano le redini dell’andamento familiare, né ad aiutare quel ragazzo avvoltolato nel proprio dolore e nella propria incapacità ad avere cura di se stesso.

Renato si ritrovò a non aver più voglia di cucinare, a non decidersi a chiamare una donna per pulire casa, a rinunciare, persino, alle domeniche allo stadio.

Il tempo non passava mai. Ai giorni ne seguivano altri, vuoti, tristi e senza voglia di vivere. Il giornale, comprato e mai letto, andava ad aggiungersi agli altri appoggiati sul tavolo del soggiorno, che assomigliava sempre di più a un banchetto da edicolante, la polvere accumulata sui mobili tristi del salotto divenuto molto simile a un campo di battaglia, faceva da padrona in quella stanza invasa da elettrodomestici comprati e mai usati, da valigie in attesa di viaggi mai intrapresi, da libri mai letti.

Don Emiliano, l’amico sacerdote, dopo varie insistenze, aveva convinto Renato a partecipare a un viaggio in Turchia, organizzato dall’Opera Romana Pellegrinaggi, da dove era tornato più stanco e provato e con una fastidiosa febbricola che lo teneva forzatamente chiuso in casa.

L’allarme per quella febbre lo avrebbe, però, salvato da un male ancora più grave.

Grazie all’accurata visita del medico di famiglia, s’insinuò il sospetto che la temperatura alterata non fosse indicatrice di una banale influenza ma, piuttosto, di un male più serio.

Difatti, Renato fu ricoverato con urgenza per subire un intervento al colon.

“Tumore maligno” era stata la diagnosi del chirurgo. Nel giro di pochi giorni aveva perso peso e doveva essere alimentato artificialmente.

Eppure, in quel letto di ospedale, chiuso nel reparto di rianimazione, una forza misteriosa lo incitò a desiderare di tornare alla vita. Disperatamente.

Anche se il corpo era indebolito, la forte volontà di guarire favorì, in poco tempo, il rientro in casa inaugurato con un appetitoso panino ripieno di mortadella, desiderato da tanto e gustato con l’avidità di un bambino affamato.

Non appena le analisi indicarono che il male, almeno al momento, era sconfitto, Renato telefonò al suo amico Renato, per sapere se aveva voglia di accompagnarlo allo stadio.

Questi, però, aveva un problema: la moglie stava male e aveva bisogno di un farmaco reperibile solo in una farmacia internazionale.

Renato ricordò di avere il recapito telefonico di una farmacia svizzera, sul lago di Lugano, dove aveva richiesto dei medicinali per Alma, l’anno prima che lei morisse.

Fece quel numero con le mani tremanti: zero, zero, quarantuno…un numero dopo l’altro percependo, chiaro e forte, lo squillo che lo collegava, attraverso mille chilometri di cavo, a Bissone. Renato aveva folle di pensieri, pieni di nostalgia e dolore mai sopito, che volavano lungo i fili del telefono. Una voce femminile lo riportò alla realtà.

“Hallo? Qui è la Farmacia San Francesco di Bissone, come possiamo aiutarla?”

“Chiedo scusa, avrei bisogno di ordinare un farmaco da far recapitare in Italia. Se le dico il nome del prodotto, può, gentilmente, inviarlo all’indirizzo che le comunicherò?”

“Mi dica pure, signor…?”

“Renato Pierozzi. Ho telefonato, circa un anno e mezzo fa, per chiedere una medicina salvavita per mia moglie che, purtroppo, non c’è più. Ora occorre il prodotto che le indicherò. È per un mio caro amico; per questo motivo mi sono permesso di richiamare dopo tanto tempo”.

“Signor Renato, ma sa che mi ricordo di lei? Sono stata proprio io a spedirle quel farmaco. Mi spiace sentire che la sua signora non c’è più, ne sono davvero addolorata.”

Renato percepì la sincerità nella voce cordiale di Lina Basilica e iniziò con lei una conversazione che includeva tutti i particolari della triste vicenda che lo aveva colpito, fino a sfociare nel racconto della vita dei figli e del suo problema di salute, per fortuna risolto con successo.

Anche Lina riassunse, per sommi capi, la sua storia di donna da poco separata da un marito infedele.

La conversazione terminò con un invito a visitare la Svizzera e a essere ospite, se avesse voluto, a casa sua.

Invito che sembrò la cosa più naturale del mondo, anche se vi erano novecento chilometri a separarli e anche se nessuno dei due sapeva chi fosse davvero l’altro.

Dopo aver chiesto il medicinale, Renato si congedò con la promessa che avrebbe richiamato al più presto per rassicurare Lina che il prodotto ordinato fosse arrivato a casa dell’amico.

I profondi occhi nocciola guardavano fisso un punto verso l’infinito. Renato non era presente in quella casa, se non col corpo. La mente aveva cominciato a viaggiare e fantasticare sui connotati di Lina.

Poiché la voce era melodiosa e gentile, con un piacevole accento settentrionale, Renato s’immaginava un angelo biondo e dai lineamenti perfetti. Labbra sinuose, occhi limpidi ed enormi, forme splendide.

Anche Lina cominciò a fantasticare su Renato.

La prima cosa che pensò fu che aveva una voce molto sexy e immaginò una persona distinta, dal volto simpatico e accattivante. Non riusciva a capire perché lo immaginasse con i lineamenti di Richard Gere. Forse aveva in mente qualche film, in cui il doppiatore italiano che prestava la voce al grande attore americano aveva lo stesso timbro baritonale di Renato. Bah!

Ora stava davvero perdendo di vista la realtà. Magari era un panciuto e pelato vecchietto senza grosse qualità estetiche e, magari, anche noioso, con quella tendenza a descrivere ogni particolare con pedante precisione.

Con questi pensieri tornò al banco per preparare quanto Renato aveva ordinato.

Sarebbe andata in un ufficio delle poste di Como, per spedire tutto all’indirizzo di Enrico, così da non far pagare spese di contrassegno eccessive. In Svizzera, lo sapeva bene, tutto costava molto di più che in Italia.

I controlli di routine, cui si sottoponeva periodicamente, tennero occupato Renato per numerosi giorni. I figli si preoccupavano per lui, accompagnandolo nelle lunghe e noiose peregrinazioni presso vari studi medici.

Enrico non si era fatto più vivo o, forse, aveva provato a chiamarlo a casa in sua assenza. Ormai era uscita definitivamente dalla mente la lunga conversazione con la signora della farmacia.

Renato era tornato, tristemente, al dolore per la perdita della moglie e, ogni volta che s’infilava nel letto freddo, avvertiva la sua mancanza, come una voragine in cui precipitava pensando alla vita che ancora potevano trascorrere insieme e che gli era stata sottratta con un tragico colpo di falce.

Maledisse Dio che aveva portato via Alma e non lui, che si riteneva meno adatto a fare da sostegno ai figli.

La foto di Alma lo guardava, sorridente, dal cassettone, dove erano ancora appoggiate le bambole di porcellana di cui la moglie era così appassionata.

Renato scaraventò contro di esse il cuscino, mandando in frantumi una boccetta di profumo che, insolentemente, emanò quella fragranza di gelsomino che Alma aveva sempre usato quando usciva con lui.

Un conato di vomito interruppe i furiosi pensieri e le maledizioni che Renato stava lanciando contro la sorte che l’aveva colpito.

Tirò un profondo respiro per cacciare indietro la nausea, decise di ripulire tutto dai cocci della bottiglina di profumo e dal suo contenuto che, altrimenti, avrebbe lasciato macchie indelebili sul legno del mobile in stile veneziano.

Il profumo tornò a circondarlo, questa volta in maniera più forte.

Renato versò una sola lacrima, talmente calda e amara, da fargli desiderare, piuttosto, di piangere a dirotto e non sentire quel vuoto e quella nostalgia che scavava nel profondo del suo essere.

Avrebbe voluto urlare tutta la sua rabbia, ma lo squillo insistente del telefono interruppe il vortice di emozioni.

Enrico lo avvertiva di aver ricevuto il medicinale dalla Svizzera ringraziandolo calorosamente per essersi occupato di quell’invio, mentre si scusava per l’ora.

La moglie aveva cominciato a migliorare, per cui l’amico era davvero di buon umore e trasmise anche a Renato pensieri più positivi.

Era l’inizio di luglio e Renato aspettò il giorno successivo per chiamare la farmacia San Francesco e rassicurare Lina che il pacchetto era giunto a destinazione.

Compose il numero pensando che doveva far presto per avere più tempo per allestire il pranzo.

Gli rispose una voce maschile, molto cordiale, che lo invitò a spiegare il motivo della chiamata.

Renato disse di aver parlato con la signora Lina per l’invio di un farmaco e che voleva informarla dell’avvenuto recapito.

Il dottor Böhm chiamò la collaboratrice e la invitò a parlare con Renato.

Renato si accorse di essere un tantino emozionato e, nonostante la sua innata sicurezza, esitò nel comunicare con Lina che, di nuovo, lo esortò ad accettare la sua ospitalità a Lugano.

Chiacchierarono a lungo, nonostante tutti i buoni propositi di sbrigarsi per andare a cucinare.

Alla fine della conversazione, Renato era già con la mente al suo viaggio a Lugano, a quello che doveva mettere in valigia e a come sdebitarsi con Lina per l’invito ricevuto.

Sì! Aveva deciso di accettare l’invito ad assistere ai festeggiamenti del primo di Agosto, festa nazionale Svizzera, con i cortei, le bandiere esposte su tutti i balconi del Cantone e i fuochi d’artificio che avrebbero terminato la giornata. Aveva deciso di partire a fine Luglio.

Si mise a tavola con Antimo e, per quella volta, mangiò una sbrigativa pastina col formaggino. Appariva, nonostante ciò, felice come non lo era stato da tanto tempo. Suo figlio non si era accorto del cambiamento, chiuso in tenebrosi pensieri che, da qualche tempo, occupavano la sua mente.

Arrivò il giorno della partenza. Renato aveva messo in valigia tutti i suoi indumenti migliori, le scarpe più comode, per camminare a lungo, come piaceva a lui.

Aveva comprato un profumo italiano, tra i migliori, da regalare a Lina. Era passato dal barbiere per tagliare i capelli e farsi radere la barba con cura.

Dopo aver osservato allo specchio il proprio aspetto, richiuse accuratamente la porta di casa, prese l’ascensore caricandolo del trolley e, una volta in strada, si avviò alla fermata del bus che doveva accompagnarlo all’aeroporto. Controllò di aver preso tutti i documenti, i biglietti aerei erano a portata di mano, tutto era pronto per il volo che lo avrebbe condotto verso la Svizzera.

Non aveva confermato il proprio arrivo a Lina perché desiderava farle una sorpresa. Aveva prenotato una stanza, per una sola notte, all’Hotel Splendid, proprio sul lago.

Avrebbe deciso poi se accettare di dormire in casa della signora o continuare a usufruire dell’albergo.

Il decollo avvenne in assoluta sicurezza. Renato aveva già volato tante volte. Quel giorno, però, gli sembrò che l’aereo fosse foderato di velluto. Tutto era calmo, la colazione offerta dalla compagnia aerea risultò gustosissima, l’atterraggio andò bene e l’aeroporto della Malpensa lo accolse con una bella giornata di sole.

Non era troppo caldo, per cui l’attesa del bus che lo avrebbe condotto a Bissone fu piacevole, anche se un po’ lunga.

Renato poggiò i piedi sul suolo svizzero quando era già ora di pranzo.

Non ci mise molto a trovare l’hotel di cui sarebbe stato ospite, per cui, depositato il bagaglio e fatta una doccia ristoratrice, si affrettò a chiedere di un buon ristorante dove coccolarsi con un pranzetto completo.

Aveva appetito e si sentiva perfettamente a suo agio.

Gli fu consigliato un “grotto” nei pressi dell’albergo, dove Renato scelse un minestrone e un arrosto freddo, servito con patate rosolate e, per finire, una squisita pesca al vino che lo mandò letteralmente in estasi.

C’era tempo per presentarsi a Lina. Avrebbe aspettato la chiusura pomeridiana della farmacia, già individuata appena arrivato, che era prevista per le diciassette, come ogni sabato.

Alla fine del pranzo, ordinò un caffè, pentendosi subito dopo. Sorseggiò solo poche gocce di quel liquido marrone, che aveva più l’aspetto di un orzo solubile che di un espresso italiano.

Complimenti! Era riuscito a rovinarsi un pranzo niente male.

I pensieri si diressero, per fortuna, all’incontro che stava per avere. Il cuore era a mille per l’impazienza e la prevedibile curiosità.

Alle sedici e cinquanta, fingendosi un avventore, Renato s’intrufolò in farmacia con la scusa di osservare con attenzione gli scaffali ricolmi di prodotti per le varie patologie, quello degli integratori che facevano bella mostra nella parte più accessibile del locale, così da invitare gli acquirenti a un più facile acquisto, i vari settori dedicati all’estetica con gli shampoo e i cosmetici che aromatizzavano di essenze l’ampio locale.

Renato, con discrezione, cercava di guardare, dietro i banconi, le commesse che si affannavano a servire i clienti ancora numerosi, nonostante si avvicinasse l’ora di chiusura.

Lo colpì molto una commessa anziana, con il faccione largo e sorridente, che se ne stava accoccolata dietro il proprio settore e, con riservatezza, guardava in direzione dei compratori.

Renato si chiese come mai non si rialzasse da quella scomoda posizione.

Nel momento in cui alcune serrande iniziarono a essere abbassate per sancire la chiusura ormai prossima, il farmacista chiamò, ad alta voce, un nome: “Lina, cortesemente, vuole essere così gentile da portare tutte le ricette nel retro?”

Renato sobbalzò.

La signora anziana dal faccione largo si spostò, senza alzarsi in piedi. Impugnò un mazzo di ricette e sembrò strisciare verso la porta che dava sul retro.

Fu solo allora che Renato realizzò: Lina non era alta più di un metro e trenta e non…stava… affatto…strisciando ma camminando sulle sue tozze gambette. Era quasi una nana e anche bruttina.

Aveva il sorriso stampato di chi è abituato a mostrare contentezza anche quando ne avrebbe fatto volentieri a meno. Anche la voce gli sembrò diversa, quasi stridente. E poi, quel culone! Oscillava come una mongolfiera sospinta da un vento impazzito.

Renato guadagnò l’uscita senza neanche salutare.

Una risata liberatoria lo scosse tutto. C’era gente incuriosita che lo osservava con un mezzo sorrisetto, contagiata dal fragore della sua ilarità.

Subito dopo, ma solo per una frazione di secondo, un velo di tristezza s’impadronì del suo sguardo nel pensare con nostalgia alla bellezza florida di sua moglie Alma.

Poi, come una folgorazione, si ricordò di Mariangela.

L’aveva conosciuta durante il viaggio in Turchia e aveva subito simpatizzato con lei. Aveva scoperto che abitava a cinquecento metri da casa sua ma non l’aveva mai chiamata, sopraffatto da tutte le avversità da cui si era sentito travolto. Ora si ritrovava a pensare a quella signora carina, così spontanea, a volte dimessa ma mai sciatta.

La semplicità e l’arguzia di quella donna emergevano dalle ceneri della delusione ricevuta nel constatare quanto diversa fosse Lina da come se l’era immaginata.

E poi…invitare uno sconosciuto a casa propria. Capì con chi si sarebbe accinto ad avere a che fare e si sentì come scampato a una catastrofe.

Per carità!

Una cabina telefonica si materializzò davanti a lui.

Senza esitare, con la scheda internazionale che aveva acquistato per chiamare i figli, Renato entrò e, consultando la sua agenda, trovò il numero di Mariangela, appuntato accanto al disegno di una minuscola margherita. Si ricordò del calore provato durante i dieci giorni in cui aveva conversato amabilmente con lei e si rammaricò di non aver avuto la possibilità di approfondire quell’amicizia con la ancor giovane vedova.

Soltanto ora si rendeva conto di aver accantonato per troppo tempo il pensiero di corteggiarla un po’ quando aveva cominciato a sentirsi turbato dalla sua presenza. Aveva tralasciato quei pensieri per dedicarsi ai guai che gli erano piovuti addosso con la malattia e tutte le conseguenze. Sapeva, però, che c’era ancora tanto tempo. Aveva superato un’infermità preoccupante, si controllava rendendosi conto di essere stato molto fortunato: la passata attività sportiva lo rendeva un uomo ancora pieno di vita, con un fisico che poteva fare invidia a un quarantenne.

Con l’immagine di Mariangela, come la ricordava alla fine del tour in Turchia, Renato compose il numero: zero, zero, trentanove… poi gli altri che lo collegavano alla casa della simpatica compagna di viaggio.

Toccò, per rassicurarsi, il biglietto aereo del ritorno. Pensava di dormire in albergo pagando in anticipo così da partire di buon’ora l’indomani, visto che di domenica i voli erano diradati.

Immaginò la faccia del figlio che lo vedeva tornare prima del previsto. Fantasticò sulla delusione di Lina che avrebbe assistito alla festa da sola, liquidando quell’immagine con un’impercettibile alzata di spalle. Immaginò la sorpresa di Mariangela nel sentire la sua voce dopo più di un anno da quella gita sul Bosforo. Non sapeva neanche se fosse ancora libera, ma lo desiderò intensamente.

Intanto il telefono continuava a squillare. Chissà se Mariangela avrebbe risposto. Al momento non aveva importanza. Avrebbe riprovato.

L’importante era essere tornato prepotentemente alla vita.

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