LA MADONNA DEI FUSI A PALAZZO FARNESE

Il dipinto esposto a Piacenza, un olio su tavola trasferito su tela, appartiene alla Fondazione Horak di Piacenza e rappresenta la Madonna dei Fusi, un’iconografia particolare, che è universalmente considerata uno dei più enigmatici e misteriosi modelli pittorici di Leonardo da Vinci.

Se ne conoscono molte versioni, di cui cinque di allievi e seguaci leonardeschi (Collezione Horak Piacenza (1); National Gallery of Scotland di Edimburgo (2); Wood Prince Collection Chicago Cincinnati (3); Collezione privata New York (4); Collezione duca di Bucchleuch (5))

Il gruppo della Madonna con il Bambino occupa il primo piano del dipinto: la Vergine è seduta su di una roccia e il Bambino è raffigurato mentre concentra la sua attenzione sull’aspo di un fuso, che per la sua somiglianza ad una croce rappresenta il simbolo del suo futuro sacrificio. Maria, proiettata verso lo spettatore, con un gesto premonitore sembra voler fermare il figlio, circondandone il corpicino con la mano sinistra, ma non può impedire il suo sacrificio. Il Bambino infatti sfugge allo sguardo affettuoso della madre e si scosta dalla sua mano destra. Accanto al suo corpo è raffigurato un canestro con fiori, il fuso appuntito e un intreccio di fili, mentre altri fiori sono sparsi sulla roccia.

Straordinaria è la fusione atmosferica tra le figure in primo piano e l’ampio paesaggio brumoso del fondo, caratterizzato da montagne imponenti e rocciose, coperte di vegetazione, e da uno specchio lacustre.

In secondo piano un raggio di luce evidenzia una piccola radura delimitata da cespugli e da esili alberelli, in cui è rappresentato San Giuseppe intento a costruire un girello per il piccolo Gesù, mentre la Vergine e Sant’Anna gli porgono il Bambino.

Il dipinto esposto potrebbe essere di un seguace di Leonardo, come le altre versioni conosciute, che non possono comunque essere considerate autografe del grande pittore. In una lettera del 14 aprile 1501 che fra’ Pietro da Novellara, vicario generale dei Carmelitani, spedì ad Isabella d’Este, per conto della quale ricopriva l’incarico di agente artistico a Firenze, egli descrive con dovizia di particolari un dipinto raffigurante una Madonna dei Fusi che Leonardo stava dipingendo per Florimond Roberteret, segretario del re di Francia. Di tale dipinto non si hanno tuttavia altre notizie.

Le versioni leonardesche della Madonna dei Fusi sono stilisticamente diverse tra di loro e differiscono anche in alcune scelte iconografiche. Mentre nel dipinto qui esposto (1) e in quelli della National Gallery of Scotland di Edimburgo (2) e della Wood Prince di Chicago (3) è presente il cestino ricolmo di fiori e fili, di cui parla  Pietro da Novellara nella sua lettera,  nelle due versioni più importanti (quella di New York (4) e quella del duca di Bucchleuch (5)) manca del tutto. Inoltre gli ultimi due dipinti differiscono dai primi tre in maniera sostanziale nel paesaggio che appare più simile a quelli rappresentati da Leonardo.

Nel dipinto piacentino (1), in quello della National Gallery di Edimburgo (2) e in quello della Wood Prince Collection (3) è poi presente la scena con San Giuseppe, Maria Sant’Anna e Gesù Bambino, che non appare nelle altre due opere. Tuttavia le analisi riflettografiche eseguite  sulla versione Bucchleuch (5) hanno messo in evidenza, sotto alle ridipinture successive, la medesima scena. Analoghe indagini condotte sulla versione newyorkese (4) hanno reso visibile il disegno preparatorio sottostante, che prevedeva un gruppo di figure simile a quello degli altri dipinti.

Nel 2016 l’opera sarà esposta al Metropolitan Museum di Tokyo per una mostra dedicata a Leonardo da Vinci, che contribuirà ad approfondire la conoscenza su questa enigmatica iconografia. 

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