La storia di un tonno di Antonietta Urciuoli

Vi proponiamo oggi una favola da leggere ai bambini sotto l’ombrellone per fare gustare loro l’ambiente marino e per riposare insieme dopo una mattina di bagni e giochi. Vi accorgerete però che la storia della buona Urciuoli, che di bambini e di educazione se ne intende, insegna tante cose sugli abitanti del mare, sulle loro abitudini e sulla loro alimentazione, senza trascurare l’angosciante destino che hanno trovato molte persone nel nostro bel Mar Mediterraneo. Buona lettura!

La storia di un tonno di Antonietta Urciuoli

 

«Com’è lungo il nonno» disse il piccolo tonno alla mamma.

Lei, con orgoglio, rispose:  «Tuo nonno supera i quattro metri di lunghezza e pesa quasi sei quintali ed è un grande migratore, si sposta con velocità e con cronometrica regolarità. Il tuo bisnonno era ancora più grosso».

«Mamma, quanto pesava?» continuò a chiedere «si avvicinava a 100 quintali».

«Dici davvero o mi prendi in giro?»

«Dico davvero! Tutti i miei antenati erano grandi e belli». Dopo queste parole, mamma tonno si allontanò, come se il ricordo del passato l’avesse intristita.

                Intanto il piccolo, che stava scoprendo il mondo, ritornò dal nonno perché era affascinato dai suoi racconti e poi  perché, come tutti i nipoti, era molto legato a lui.

                Proprio quel mattino, nell’osservarlo attentamente, attratto dalla colorazione bluastra della parte superiore, notò qualcosa di strano che non riusciva a spiegarsi.

                Osservò la parte inferiore,  che  era quasi bianca ma lì non c’era nulla. «Nonno, perché hai quel segno in alto?». «È una lunga storia, piccolo mio!»

                Il piccolo tonno guardò suo nonno: aveva gli occhi lucidi e si rese conto che aveva cambiato umore, come se all’improvviso  mentre c’è il sole inizia a piovere. Il piccolo tonno si sentì subito in colpa. Non aveva mai visto il nonno così cupo. Poiché la curiosità era tanta, desiderava a tutti i costi sapere qualcosa.

                Glielo chiederò di nuovo, ma in un’altra occasione. Adesso sta troppo male. Forse è un suo segreto che vuole tenere nascosto. Eppure devo sapere di più.  Lasciò il nonno e si allontanò. Strada facendo si chiese: Dove sono i miei genitori? Dove sono andati? Non vedo né mamma e né papà. Mi hanno lasciato qui col nonno, ma adesso non posso più chiedergli niente perché è tanto triste. Ora vado a cercare i miei cuginetti per giocare con loro.

                Insieme ai cugini ne combinava di crude e di cotte. Spesso litigavano, qualche volta lo facevano anche piangere ma subito dopo lo carezzavano e facevano la pace. Da solo non poteva divertirsi come quando stava con quei birbantelli che, essendo più grandi di lui, gli avevano insegnato tante cose. Era piccolo e ne doveva fare di strada. Doveva apprendere dagli altri ma, poi, come gli aveva insegnato il nonno, doveva ragionare con la sua testa e non lasciarsi trascinare stupidamente.

                Quando era insieme ai cugini, si divertiva tantissimo in quelle stupende acque del mare che assumeva tanti colori ed era abitato da tantissimi pesci di varia forma e grandezza.

                Aveva imparato questa filastrocca che tutti cantavano GIROTONDO DEL MARE: «Girotondo, girotondo, dentro il mare, giù nel fondo, ci son tanti pesciolini, piccolini, piccolini. Han minuscole casette, fatte d’alghe e di coralli, azzurrini, rosa, gialli e conchiglie per barchette. Guizzano vispi i pesciolini, scivolando nel loro mondo. Sembrano bimbi birichini in un grande girotondo». Aveva imparato i nomi di tanti pesci ma il divertimento di tutti erano i dispetti che facevano ad un pesce in particolare.

“«Andiamo dalla rana pescatrice»,  disse uno dei tonnetti.

«Da chi, dal pesce  rospo?» Chiese un altro.

«Corriamo, corriamo, andiamo a cercarla prima che ci scopra».

               rana pescatrice Tutti insieme andarono a trovare quel pesce buffo dalla testa orribile che si nascondeva sempre sul fondo marino. Il tonno più grande del gruppo aveva spiegato che questo brutto pesce, appena diventava adulto, spalancava l’enorme  bocca, davanti alla quale faceva oscillare la lunga, sottile, appuntita pinna dorsale sul fondo del mare. I pesciolini abboccavano l’amo e … la rana pescatrice, che nuoterebbe malissimo per la sproporzionata grossezza della testa, se li inghiottiva senza nemmeno muoversi.

«Andiamo a salvare i pesciolini, così oggi resterà senza cibo». Tutti insieme cominciavano a fare il girotondo nel mare.

Così i  pesciolini scappavano via e la rana pescatrice disperata gridava: «Andate via, andate via!  Anche oggi mi farete restare senza cibo».

Ma i tonnetti erano in tanti e non si allontanavano di lì perché avevano una grande missione da svolgere: salvare i pesciolini, farli vivere e crescere in quel meraviglioso mare azzurro e meraviglioso.

                I tonnetti erano felici. Sembravano i veri padroni di quelle acque splendenti, baciate dai raggi del sole. Si muovevano liberamente, nuotavano veloci e si spostavano sempre insieme, come una vera e grande famiglia, per chilometri e chilometri.  I loro dorsi azzurri si confondevano con le acque marine ma il  colore  dei  loro ventri argentati spiccava tantissimo. I loro corpi erano molto assottigliati posteriormente e portavano due grandi pinne dorsali, seguite da altre false pinne che si allungavano fino alla coda. Molti pesci li invidiavano per la loro bellezza ed essi erano fieri di nuotare con agilità e velocità.  Negli abissi  trascorrevano la stagione fredda e i tonnetti osservavano, soprattutto, ciò che accadeva ogni giorno quando il sole era alto nel cielo e l’acqua era più tiepida. Quell’ora era l’ora del pasto, il momento più pericoloso per tutti gli abitanti del mare.

                Improvvisamente il mare sembrava percorso da un brivido di pazzia. I pesci, spinti dalla fame disperata, si assaltavano e si divoravano l’uno con l’altro.

«Pesce  mangia pesce» diceva un vecchio proverbio e quanti  piccoli pesci venivano adoperati proprio come esche dai pescatori che riuscivano a catturare grossi pesci grazie al sacrificio dei piccoli. Quante insidie nascondeva il mare per quelle creature indifese. I tonnetti cercavano di aiutare i pesciolini inesperti, quando era possibile ma l’impresa era molto ardua, quasi impossibile.

 «La legge del mare è uccidere per vivere”», gli ripeteva sempre suo nonno.

                Il tonnetto constatava  con  i  suoi  occhi  che  il  saggio  nonno  aveva  perfettamente  ragione. Vedeva, infatti, in quelle terribili ore, pesci  spaventati che fuggivano di qua e di là, senza una meta precisa, per potersi mettere in salvo, per poter continuare a vivere. Disperatamente cercavano una via di scampo perché sapevano che, prima o poi,  alcune specie di pesci si sarebbero nutriti delle loro carni.

                C’erano pesci che mangiavano di tutto: dai molluschi ai crostacei, alle alghe, ai coralli; dagli uccelli marini alle foche, ai vermi, dalle carogne di animali alla carne avariata e ai residui di cucina gettati dalle navi.

                Osservava un polpo che, improvvisamente, si alzava dal fondo espellendo, con violenza, l’acqua raccolta nella sua grossa sacca.  Alla vista del granchio, si lanciava su di esso. Il granchio cercava di fuggire, di nascondersi tra la sabbia ma il polpo lo inseguiva, con i lunghi tentacoli, camminando sul fondo. Lo raggiungeva, lo afferrava, lo stringeva e se lo portava alla bocca e cominciava a succhiarlo lentamente, per assaporare e gustare la tenera carne del granchio che aveva, purtroppo, finito la sua corsa.

                Quando quel giorno incontrò il nonno, gli raccontò delle esperienze fatte e di ciò che avevano visto i suoi occhi. Mentre gli parlava il suo cuore batteva forte, forte. Quelle scene alle quali aveva assistito l’avevano scosso. Raccontò di com’era riuscita a salvarsi una sogliola.

«Nonno, mi devi credere. È stato un attimo e quando si è resa conto che era in pericolo, si è acquattata sul fondo e si è fatta seppellire dai detriti. Per nascondersi meglio ha persino cambiato colore, assumendo quello del fondo».

                Il nonno gli sorrise e gli spiegò dicendo: «La sogliola ha un movimento lento e non potrebbe sfuggire alla cattura dei suoi nemici se non avesse imparato a nascondersi. Essa lo fa così bene che è difficile scorgerla tra le alghe del fondo. Quando si accorge che il pericolo è passato si risolleva con grazia e incomincia a nuotare con elegante morbidezza e va anch’essa in cerca di cibo».

«Nonno, ma come fa a nascondersi così bene?”»

«Devi sapere che il suo corpo è molto appiattito, la pelle che è chiara sul ventre, diventa scura sul dorso e può assumere il colore del fondo su cui l’animale si posa».

«Nonno, come fai a sapere tutte queste cose?»

«Ho imparato col tempo e per poter sopravvivere in questa giungla è necessario sapere. Bisogna sempre e continuamente aggiornarci e conoscere il luogo dove trascorriamo la nostra vita». «Hai ragione nonnino! Per non aver paura devo sapere che cosa accade intorno a me. Sono fortunato ad avere un nonno come te che sa spiegarmi tutto».

«Ricordati, tutti i tonnetti che hanno un nonno sono fortunati perché i nonni vi possono trasmettere tutto il loro sapere se, però, vorrete ascoltarli!» Il piccolo aggiunse: «Tu mi conosci molto bene, nonno. Sai che sono curioso e i tuoi racconti sono interessanti. Riesci, con gli esempi, a farmi capire ciò che spesso la mamma e papà non sanno comunicarmi».

                Le parole del piccolo intenerirono il nonno che aveva tantissimo da raccontare e sapeva bene che il suo tratto di strada stava per accorciarsi. C’erano cose che non poteva rivelare perché potevano spaventare il nipotino, che doveva conoscere gradualmente per evitare traumi.

                Intanto il tempo passava e il piccolo tonno cresceva di giorno in giorno. Il nonno soddisfatto lo guardava e diceva tra sé: «Ma guarda com’è diventato grande!» Ricordava l’uovo depositato che non superava il millimetro di diametro e da esso era nato lui che in un anno pesava già quattro chili ed ora si stava avvicinando ad un bel peso. Mentre da un lato era orgoglioso della grandezza, dall’altro avrebbe preferito tenerlo piccolo per sempre. Cattivi pensieri si agitarono nella sua testa e immagini mai scomparse nella vita si ripresentarono come per fargli dispetto, per spaventare quel vecchietto.

                Passarono tanti anni ancora. Il tonnetto divenne adulto. Prima della partenza il nonno lo chiamò e volle parlargli. «È arrivato per te un momento molto importante. Adesso che è primavera insieme ai tuoi cugini e a tanti altri tonni dovrai lasciare la profondità degli abissi e portarti in superficie. Ti avvicinerai alle coste e deporrai le uova. Dovrai stare molto attento. Resta sempre accanto agli altri perché dovrai superare prove difficili.  Buona fortuna, mio piccolo! Torna presto sano e salvo!». Il tonno salutò il nonno che lo vide felice, entusiasta. Si agitava ignaro di ciò che lo attendeva.

                Sembrava un bimbo che varca la soglia della scuola per la prima volta. Il nonno li vide andar via a centinaia e quell’immagine lo riportò alla sua ultima esperienza, la più drammatica che gli aveva segnato l’esistenza.

Per anni e anni il nipote gli aveva sempre chiesto: «Nonno, che cos’è quel segno in alto?»

             tonnara   Non gli aveva mai dato una risposta perché parlargli della “camera della morte” l’avrebbe spaventato enormemente. Improvvisamente rivide quelle reti a maglie larghe, lunghe due o tremila metri e alte una quarantina. Sembrava un grande cancello che bloccava il passaggio. All’estremità nord di quella lunga barriera erano disposti in direzione di est-ovest grandiosi recinti rettangolari che comunicavano tra loro come le carrozze di un treno. Sembrava un labirinto. Entrati nel primo recinto, proseguivano e più incontravano nuovi sbarramenti di reti.

                La paura cominciava a prendere il sopravvento. I tonni più giovani si agitavano convulsamente. Scattavano di qua e di là in cerca di una via d’uscita che non trovavano perché ogni uscita era chiusa dai tonnaroti. Tutti i tonni erano imprigionati nella tonnara, che era l’ultima delle cinque camere divise da reti chiamate porte. Quest’ultima rete era fatta a maglie strette, molto robusta, chiamata tonnara che altro non era che la camera della morte. Improvvisamente la rete veniva issata dagli uomini delle barche che si disponevano attorno ad essa, costringendo i tonni ad affiorare in superficie. Le scene orrende si susseguivano nella sua mente e riascoltò i comandi del RAIS, l’uomo responsabile di quella pesca che coinvolgeva oltre ottanta persone. Egli gridava, impartiva ordini mentre i tonni impazziti cercavano una via di fuga con tutte le loro forze, con l’adrenalina che appare nei momenti difficilissimi. Nonno tonno rivide i tonnaroti armati di arpioni uccidere senza pietà i suoi compagni. Otto di questi uomini, con grande forza, dopo aver colpito più volte tiravano sulla barca il tonno che ferito a morte colorava l’azzurro mare di rosso. Quando fu il suo turno, mentre lo stavano tirando sulla barca, mosse velocemente la grande coda, spezzando la schiena a due tonnari che lasciarono la presa e, in quell’istante, ebbe salva la vita.

La decisione di nonno tonno

                Nonno Tonno, un giorno, di buon’ora convocò tutti i suoi fratelli. Quando essi lo raggiunsero, disse loro: «Cari fratelli, vi ho chiamato perché da anni sta accadendo un fatto molto strano. Non so che cosa stanno combinando gli umani e nemmeno lo voglio sapere, perché mi sono reso conto che essi si stanno abituando a tutto. Il ripetersi delle tragedie nel Mar Mediterraneo ha rese assuefatte le loro coscienze e il mare langue perché ha tante persone che giacciono sul fondo, senza vita. Nessuno è venuto a prenderli e a dargli una degna sepoltura. Penso che è arrivato il momento di unire le nostre forze. Da questo momento ognuno di  voi  come capo-famiglia avviserà i suoi figli che a loro volta avviseranno i loro. Sarà sospeso per il tempo necessario che “pesce grande mangia pesce piccolo”, evitando così di divorarci gli uni con gli altri e tutti insieme cominceremo a lavorare. Per evitare di finire nelle reti dei pescatori, staremo molto attenti e ognuno avrà un ruolo: le chiocciole marine, le ostriche, i mitili faranno le sentinelle lungo le coste. È severamente vietato ai granchi e alle stelle marine di divorare i mitili. Le stelle marine non dovranno, durante questa operazione, attaccare i mitili e, con la punta delle  braccia munite  di ventose, incominciare a tirare finché le valve si socchiudano. Lo so bene come si  comportano: mandano fuori  dalla  bocca  lo  stomaco  e  lo introducono nelle loro prede, per digerirle direttamente sul posto. Ora devono collaborare e non essere nemici perché c’è bisogno di tutti, dal più piccolo al più grande. Non è certamente uno scherzo quello che andiamo a fare».

                Quando i fratelli andarono via, il nonno Tonno disse al più piccolo dei suoi nipoti: «Vai subito a chiamare i tuoi fratelli». Il piccolo tonno, senza indugiare, corse nelle acque del mare gridando: “«Fratelli, fratelli. Accorrete, vi vuole il nonno».

«Perché gridi in questo modo?» Chiesero i fratelli. Il piccolo tonno rispose tutto agitato: «Dovete venire subito ! Vi manda a chiamare il nonno. C’è da fare una cosa molto importante!»

“«Che cosa dobbiamo fare?» rispose il piccolo «Non lo so».

«Sei sempre il solito sciocco. Non sai mai niente!» Aggiunsero arrabbiati i fratelli. Il piccolo tonno, burlato come sempre, scappò via tra le braccia della mamma.

                Nonno Tonno mandò i suoi nipotini a chiamare tutti gli abitanti del mare e per giorni e giorni si lavorò senza sosta. Le ostriche, i mitili, le stelle marine, gli ippocampi, conosciuti come cavallucci  marini, restarono in vedetta e controllarono le partenze dei pescatori per dare l’allarme e per aiutare sia le chiocciole marine, le ostriche e i mitili, che da soli non potevano farcela data la lunghezza delle coste.

               Vennero a conoscenza di ciò che si voleva fare anche i polipi corallini che vivono a pochi metri di profondità, dove l’acqua è ancora tiepida e la luce assume un colore verde che appare irreale. Si trovano presso le coste perché le correnti marine sollevano verso la superficie i ricchi nutrimenti organici delle profondità . Essi hanno cibo in abbondanza e non si spostano quasi mai da lì perché hanno la fortuna di non andare a cercare il cibo perché sono immersi da esso. Per questo motivo sia le spugne che i coralli si fissano a qualche roccia del fondo e qui crescono e si moltiplicano senza fine. A quella notizia decisero in massa di staccarsi dalle rocce dove erano attaccate solidamente e di raggiungere il luogo di cui tanto si parlava.

Quando l’ebbero trovato videro oltre 50 salme piccole, disposte l’una accanto all’altra. «Come sono piccoli» disse un polipo.

«Hanno smesso di giocare», aggiunse una spugna. “«Facciamo per loro qualcosa», risposero in coro tutti.

        Come per magia i polipi corallini si disposero intorno a questi piccoli che giacevano in fondo al mare e insieme alle spugne costruirono una meravigliosa città di pietra. I coralli con la loro forma di rami di alberi ricoperti di tanti piccoli fiorellini aggiunsero colori meravigliosi. “I fiorellini” che non sono altro che piccoli polipi, piccoli molluschi che vivono in colonie e si costruiscono la casa utilizzando il calcare dell’acqua, decisero di restare lì, per sempre, per far compagnia a quei bambini innocenti che avevano perso la vita, per la crudeltà degli umani.

Quando nonno Tonno alla fine del trasporto di tutte le salme che erano tantissime, soprattutto,  giovani uomini e donne si commosse nel vedere che cosa erano riusciti a fare i polipi e le spugne e vide anche tante conchiglie di varia forma sparse in quel tratto di fondo marino. I suoi occhi diventarono lucidi, nonostante la sua età. Ringraziò tutti e il suo cuore apparve leggero come quello di un bambino. Tutti i pesci lo guardavano e ciò che disse toccò le corde del loro cuore.

«Amici cari. Oggi abbiamo dimostrato agli umani di essere migliori di loro. Da anni assistiamo a ciò che fanno. La testimonianza sono quei bimbi senza vita che giacciono in un Paradiso, costruito da voi, quaggiù. Insieme ad essi ci sono tanti giovani uomini e tante mamme.  Gli uomini continuano a fare solo chiacchiere e a non risolvere un problema che, ogni giorno, diventa sempre più grande. Sono stanco di vedere tante salme abbandonate. Spero tanto che sia l’ultima volta e che gli umani abbiano ancora un cuore”.

                Tutti applaudirono e si allontanarono soddisfatti. Restarono solo i tonni e nonno Tonno rivolgendosi ad essi disse: «Vi raccomando state molto attenti perché fra alcuni giorni inizierà il periodo delle “TONNATE”. I tonni piccoli stiano sempre vicino ai genitori e non si allontanino dal branco. Dopo questi suggerimenti tutti i tonni andarono via.

In fondo al mare

                Come tutte le notti, i pescatori lasciarono le loro case dopo aver bevuto il solito caffè, preparato dalle mogli che si alzavano insieme a loro per poi tornare di nuovo a letto.

                L’appuntamento era al solito posto: alle scalette che portavano sulla spiaggia. Si  radunavano, si auguravano  un  buon  giorno  e  insieme, uno  dopo  l’altro, scendevano quei  quattro  gradini che bisognava  riparare, durante  l’inverno, ormai consumati dal tempo. Erano sempre gli stessi movimenti, fatti sin da piccoli quando andavano a pescare con i propri nonni e con i padri. Era duro il lavoro dei pescatori ma essi ce l’avevano nel sangue. Non sapevano fare altro, se non pescare: la pesca era antichissima e si faceva sempre press’a poco nello stesso modo. Le reti erano fatte, quasi sempre, a mano da loro stessi o dalle loro donne, nelle giornate d’ inverno: rammendate tante ma tante volte. Il mare con le sue bellezze era lì ad osservarli mentre spingevano le loro barche nelle sue acque splendide e poi un salto e giù i remi per prendere il largo. Ognuno prendeva la sua strada e immergeva in un immenso semicerchio la propria rete. La loro pesca era chiamata “Sciabica” e veniva utilizzata da tutti su quasi tutte le nostre spiagge, dove le acque sono basse, e serve per prendere il pesce minuto. Tra loro, Giulio era l’unico ad avere un motopeschereccio, lo stava ancora pagando a rate. Si allontanava prima degli altri e quando raggiungeva il largo, buttava in mare grandi reti verticali, munite di sugheri e di piombi, che rallentavano la velocità della barca.

                La sua pesca era quasi sempre abbondante, spesso raccontava agli amici la gioia che provava nel veder guizzare nelle sue reti grossi cefali, murene, merluzzi sogliole e tanto ben di Dio che veniva venduto al mercato.

                Dopo ore di attesa, i pescatori tiravano con le loro mani dure, callose la rete cantando una cantilena che si spandeva nell’aria. Per ore sotto il sole che era apparso e che faceva compagnia a quei pescatori che, attraverso quel dondolio monotono e ripetuto della barca, rivedevano la loro vita fatta di stenti e tanto lavoro. Prima di tirare quelle reti, nel cuore di ognuno c’era la gioia, la speranza di tirar su la rete con tantissimo pesce.

Ma quel giorno e per altri a venire ci fu delusione nel cuore di tutti. Come cani bastonati tornarono a riva.

«Non  ho pescato niente», disse Carlo ai compagni.

 «Niente! Niente di niente! » Aggiunse Giacomo. «Ho tentato più volte ma non ho preso neppure un granchio».

 «Dio mio! Dio mio!» Dissero in coro i pescatori più anziani.

              Non è mai successa una cosa del genere. Preoccupati fecero ritorno nelle loro case, con l’amaro in bocca, per aver issato a bordo delle loro barche le reti vuote, prive di pesci e al mercato i clienti ebbero una spettacolare sorpresa: come accadde alla signora Teresa. Infatti ella si svegliò quel venerdì di buon’ora per recarsi al mercato. Strada facendo disse tra sé: Stasera mio marito e i miei figli faranno salti di gioia. Gli preparerò una zuppa di pesce alla napoletana, proprio come la faceva mia madre. Si ricordò delle parole dei figli, a casa della nonna Sandra. «Brava nonna, come la prepari tu la zuppa di pesce non la prepara nessuno, nostra madre non è brava come te». Rivedeva il volto raggiante di chi da un anno l’aveva lasciata per sempre, rivedeva i suoi occhi celesti, piccoli, felici quando i nipoti la stringevano forte e la baciavano e sollevavano da terra. Lei, sorridendo, diceva: «Mettetemi giù, mi fate girare la testa. Vi prometto che, al più presto, ve la preparerò di nuovo».  I nipoti la continuavano a baciare, ripetendo «Magica nonna, in cucina, non ti batte nessuno!». Con la sua modesta pensione, cucinava quella delizia senza trascurare i minimi particolari e acquistando ciò che serviva, perché i suoi nipoti dovevano mangiare e crescere sani.

                Teresa, grazie ai suggerimenti materni, dopo anni aveva appreso come si preparavano i piatti di pesce; la spigola, la frittura di triglie e calamai e il polipo affogato. Ora che la mamma non c’era più faceva tesoro di tutto quello che aveva appreso. Risentiva i consigli e ricordava: «Per la zuppa di pesce, ti devi ricordare di acquistare: lo scorfano che, anche se brutto a vedersi, è indispensabile; una fetta di murena, i gamberetti, le vongole e il cefalotto». «Quando li cuocerai, in parte spariranno, però avranno lasciato il loro sapore, il loro profumo». Erano vere le sue parole e la sua arte culinaria era la sua passione. Quando cucinava la fragranza del mare era nell’aria. Il pomodoro rosso cotto con l’olio racchiudeva tutto quel ben di Dio, costoso ma tanto saporito e i crostini dorati del pane fritto venivano insaporiti dai corpi delle vongole liberati dalle valve, dai pesci che si erano amalgamati in quel sughetto che faceva della “zuppa  di  pesce” un piatto prelibatissimo. Giunta al mercato, la giovane donna restò di stucco.

                Vide da lontano i banchi delle pescherie completamente vuoti. Più si avvicinava e più vedeva desolazione di pesci nemmeno l’ombra.

«Sandro, perché i banchi sono vuoti, che cosa è successo! Non c’è nemmeno un ciuffo di erba!»

«Signora, da una settimana, non abbiamo più cosa vendere! Stiamo facendo la fame!»

«Perché?  Che cosa è successo?»

«Lo sapete voi? Noi, certamente, non ci capiamo più niente!»

                Sandro, scuotendo la testa, rispose con educazione alla sua vecchia cliente ma con una tristezza nella voce e nel cuore. La signora Teresa, senza aggiungere altro, cambiò programma e disse tra sé; Addio sogni di gloria! Addio zuppa di pesce. Per fortuna che non ho detto niente! Stamane! Come avrei fatto se avessero trovato un altro piatto. Certamente mi sarei presa una bella lavata di testa. Aveva ragione mia madre: «Non devi mai dire ciò che preparerai perché uno ci mette il pensiero e torna a casa con quell’idea  fissa, quasi assaporando la pietanza e poi, quando non la trova, va su tutte le furie».

                A malincuore entrò in una macelleria e acquistò un petto di pollo che avrebbe impanato, fatto cuocere al punto giusto ma come l’avrebbe fatto, fatto era sempre un petto di pollo.

                                                                                                                                      Antonietta Urciuoli

Si ringrazia per le immagini Antonio Orologio.

Print Friendly, PDF & Email