OCSE: in Italia si lavora più che all’estero, ma si produce di meno
OCSE, un acronimo che ad alcuno dirà poco, ma che a molti italiani ha consegnato un dato inequivocabile: in Italia si lavora più che in altri Paesi dell’unione Europea. Il dato non fa riferimento all’impiego, ma alle cosiddette “ore lavorate”, le ore di lavoro che trascorriamo sul luogo di lavoro (o nel moderno smart working).
Il dato è stato elaborato nel 2020 appunto dall’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che ha stilato una classifica dei paesi europei per media di ore lavorate. Nella singolare graduatoria, dove tra i primi posti troviamo l’ottimo popolo lavoratore irlandese, l’Italia strappa un esaltante posizione con 1559 lavorate in media all’anno, su una media mondiale di 1687, superando i cugini francesi e restando sotto la Spagna. Le ore effettive lavorate includono, nel rapporto, le ore di lavoro regolari dei lavoratori a tempo pieno, part-time e part-time, gli straordinari retribuiti e non retribuiti, le ore lavorate in lavori aggiuntivi.
Nonostante questo, però, la statistica sembra essere impietosa per ciò che concerne la produttività. Siamo davanti a Francia e Germania, quest’ultima nella classifica delle ore trascorse al lavoro all’ultimo posto, ma finiamo dietro a transalpini e teutonici nella line up dell’efficienza. Il PIL per ora lavorata è una misura della produttività del lavoro. Misura l’efficienza con cui l’input di lavoro viene combinato con altri fattori di produzione e utilizzato nel processo di produzione. L’input di lavoro è definito come le ore lavorate totali di tutte le persone impegnate nella produzione. Sempre secondo i dati OCSE.
L’Italia nel 2020 ha una misura del PIL parametrato a 103, sulla media mondiale di 108, superando la Francia, ma restando, come dicevamo, sotto la Germania e la Francia, in una classifica che vede all’ultimo posto la Croazia con 97 e al primo la Colombia con 134.
Insomma, per chi non ne fosse ancora convinto, lavorare tanto non vuol dire lavorare bene. E, di conseguenza, lavorare di meno non vuol dire lavorare male.
Qual è la soluzione? Semplicemente, adeguarsi. Non alle ore di lavoro degli altri, che, come già detto, non implica né aumento né degrado della qualità. Bisogna adeguarsi agli standard produttivi degli altri paesi, partendo, ad esempio, dalla sburocratizzazione e dalla digitalizzazione dei sistemi di produzione.
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