AL TEATRO ELICANTROPO DI NAPOLI CAPRÒ DI VINCENZO MAMBELLA

L’INTERPRETE E REGISTA EDOARDO OLIVA PORTA IN SCENA UNA PICCOLA VICENDA UMANA, ATTRAVERSO IL TENERO E RABBIOSO RACCONTO DEL PROTAGONISTA

L’amore, il difficile rapporto col padre, il lavoro della terra, l’analfabetismo, la scienza e la religione, conflitti dovuti al confronto tra diverse visioni del mondo, diverse culture ed estrazioni sociali, sono le tematiche in Caprò di Vincenzo Mambella, lo spettacolo che debutterà giovedì 8 marzo 2018 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 11) al Teatro Elicantropo di Napoli, diretto e interpretato da Edoardo Oliva.

Presentato da Teatro Immediato di Pescara, fra le compagnie più attive del panorama teatrale italiano contemporaneo, il testo è ispirato alla tragedia del bastimento inglese affondato nel mare di Gibilterra nel 1891.

Caprò, un contadino abruzzese di fine ottocento, cresciuto nell’amore ostile dei suoi genitori, e nell’attaccamento viscerale alla terra, in assenza di sogni e desideri, vive, in età adulta e senza comprenderli appieno, quelli riflessi del giovane fratello, anima inquieta e sensibile.

La sua vita, sempre ai margini della consapevolezza, si muove per inerzia sul terreno spianato dal gretto modello paterno, scandita dal moto regolare delle stagioni. E quando accadrà qualcosa che inceppa il suo asettico e protettivo pendolo interiore, un’illusoria fuga lo soccorrerà dallo smarrimento e dall’incapacità di sopravvivere all’imponderabile.

La vicenda tragica di Cαprò incrocerà l’immane tragedia del naufragio del bastimento inglese Utopia, che nel 1891 s’inabissò al largo di Gilbilterra, provocando la morte di circa seicento immigrati, per lo più contadini italiani, in viaggio verso gli Stati Uniti. A bordo vi erano anche quattordici contadini abruzzesi di Fraine in provincia di Chieti.

“Non abbiamo voluto raccontare – scrive il regista in una nota – il naufragio della nave, che tanto ricorda gli accadimenti tragici che ogni giorno apprendiamo dalla cronaca, tenendoci lontani dalla retorica che spesso accompagna il racconto di quelle tragedie. Il fatto storico e l’emigrazione restano sullo sfondo”.

Caprò è lo smarrimento di un solo uomo, pertanto, una solitudine, un anonimo contadino di fine ottocento che si agita su un fazzoletto di terra con i pochi oggetti che scandiscono la sua vita. E’ sul quel pezzo di terra che si compie il suo vero naufragio in attesa di quello che lo consegnerà alla storia.

Una piccola vicenda umana, dunque, ancora sommersa in qualche fondale, forse immaginaria o forse no, che riemerge dal racconto del protagonista: un uomo di più di un secolo fa, con i suoi conflitti, le sue fragilità, le sue responsabilità, le sue colpe, le sue punizioni. Non un eroe quindi, ma un “eroe tragico”, o più semplicemente Caprò.

Cαprò, un contadino abruzzese di fine ottocento, cresciuto nell’amore ostile dei suoi genitori, e nell’attaccamento viscerale alla terra, in assenza di sogni e desideri, vive, in età adulta e senza comprenderli appieno, quelli riflessi del giovane fratello, anima inquieta e sensibile.

La sua vita, sempre ai margini della consapevolezza, si muove per inerzia sul terreno spianato dal gretto modello paterno, scandita dal moto regolare delle stagioni.

E quando accadrà qualcosa che inceppa il suo asettico e protettivo pendolo interiore, una illusoria fuga lo soccorrerà dallo smarrimento e dall’incapacità di sopravvivere all’imponderabile.

La vicenda tragica  di Cαprò incrocerà l’immane tragedia del naufragio del bastimento inglese  “Utopia” che nel 1891 s’inabissò al largo di Gilbilterra provocando la morte di circa 600 immigrati, per lo più contadini italiani, in viaggio verso gli Stati Uniti. A bordo anche 14 contadini abruzzesi di Fraine in provincia di Chieti.

Una storia, quella di Cαprò, che non rompe completamente il muro dell’oblio,  non approda sui libri. Una storia  che ,nel suo “giro di do”, inghiotte le piccole storie delle tante trascurabili vite di cui si nutre per garantirsi la perpetuità, le cui umanità, piene delle bellezze e delle bruttezze di ogni esistenza, si perdono per sempre.

Non abbiamo voluto raccontare il naufragio della nave “Utopia “che tanto ricorda gli accadimenti tragici che ogni giorno apprendiamo dalla cronaca, tenendoci lontani dalla retorica che spesso accompagna il racconto di quelle tragedie.

Il fatto storico e l’emigrazione restano sullo sfondo. Partendo da quei fatti  e da un substrato arcaico, senza nessuna pretesa storica o simbolica, abbiamo cercato un approdo che rendesse questa piccola storia, così lontana nel tempo, nella sua essenza archetipica, universale.

Lo smarrimento di un solo uomo, pertanto,  una solitudine, un anonimo contadino di fine ottocento che si agita su un fazzoletto di terra con i pochi oggetti che scandiscono la sua vita. E’ sul quel pezzo di terra che si compie il suo vero naufragio in attesa di quello che lo consegnerà alla storia.

Una piccola vicenda umana, dunque, ancora sommersa in qualche fondale, forse immaginaria o forse no, che riemerge dal tenero e rabbioso racconto del protagonista: un uomo di più di un secolo fa, con i suoi conflitti, le sue fragilità, le sue responsabilità, le sue colpe, le sue punizioni.

Non un eroe quindi, ma un “eroe tragico”. O più semplicemente: Cαprò

Caprò è la prima tappa di una trilogia su “Destino e destinazioni”.

Teatro Immediato di Pescara

presenta

Caprò

di Vincenzo Mambella

diretto e interpretato da Edoardo Oliva

scenografia Francesco Vitelli

aiuto regia Valeria Ferri

Durata della rappresentazione 70’ circa, senza intervallo

Foto di Carlo Pavone

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